Realismo, rassegnazione o follia? Il piano di riarmo dell’Unione europea è stato annunciato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen trovando il sostegno, sfumature a parte, dei capi di Stato e di governo. Una spesa prevista di 800 miliardi che diventa prioritaria, mettendo inevitabilmente in secondo piano l’impegno per la transizione verde e digitale e le emergenze delle politiche nazionali, dalla sanità al lavoro, dall’ambiente al contenimento del debito pubblico. Si apre uno scenario che sembrava inconcepibile fino a poco tempo fa. A proporlo è la stessa presidente del Next Generation Eu. Con qualche sorpresa di troppo: da ministra della Difesa della cancelliera Angela Merkel, tra il 2013 e il 2019 Von der Leyen aveva aumentato il budget del suo ministero del 36% ed era finita nel mirino del Bundestag per appalti illeciti. Fu eletta alla Commissione europea con soli 383 voti a favore a fronte della maggioranza necessaria di 374, grazie ai 13 voti degli ungheresi di Fidesz (Orbán) e i 26 di Pis (il partito sovranista polacco). “Die Welt” scrisse che il suo invio a Bruxelles era stata «una benedizione per Berlino»


◆ L’analisi di FABIO MORABITO

Con l’annuncio da parte di Ursula von der Leyen della proposta di un piano di Difesa europea da 800 miliardi di euro in quattro anni, il 5 marzo scorso si è sancita anche simbolicamente la frattura tra il primo mandato della leader tedesca alla guida della Commissione europea e l’attuale. L’Unione europea della transizione verde e digitale è ora quella della corsa alle armi. Da una visione luminosa, preoccupata per i destini delle nuove generazioni ma fiduciosa in un percorso di sostenibilità in grado di salvare il Pianeta, si è passati a una visione cupa, in cui ci si prepara al ritorno della guerra. «Dobbiamo essere in grado di proteggerci» ha detto von der Leyen, che prima di diventare presidente della Commissione europea era stata ministro della Difesa in Germania con Angela Merkel Cancelliera.

Missile russo sulla torre della televisione di Kiev all’alba del 24 febbraio 2022

L’idea che fece nascere l’Europa unita, in cui i Paesi che si sono combattuti con milioni di morti si sono ritrovati a fianco l’uno dell’altro nel condividere una crescita senza conflitti, sta facendo i conti con uno scenario nuovo. Realistico? Necessario? Per chi è favorevole al riarmo, entrambe le cose. L’invasione dell’Ucraina, tre anni fa, avrebbe sancito il cambiamento degli equilibri. E il riarmo avrebbe l’effetto della deterrenza. Per chi è contrario, quello che sta succedendo ora è perfino una follia. I cui segnali però non sono di oggi. Già il presidente francese Emmanuel Macron, pochi mesi fa, aveva parlato di invio di truppe da parte di Paesi europei sullo scenario di guerra. Argomento ricorrente, riformulato come “i volenterosi” al summit di Londra di inizio marzo (presenti alcuni Paesi della Nato e dell’Europa, esclusi gli Stati Uniti). Rinunciando con troppa fretta a ragionare su forze di pace con la bandiera delle Nazioni Unite, delle quali fanno parte sia la Russia che l’Ucraina, garanzia di un intervento che possa essere accettato da entrambi i Paesi.

Bruxelles che concentra le sue risorse (anche quelle che non ha, aprendo un canale di debito pubblico) sulle armi, fa un passo indietro su altre priorità. Che possono essere considerate perfino più necessarie sul fronte della pace: la ricerca scientifica, l’intelligenza artificiale, la sicurezza di rete, le nuove tecnologie, l’autonomia nelle comunicazioni sono percorsi di indipendenza prima ancora che di competitività. Appena poche settimane fa, il conflitto tra Russia e Ucraina sembrava a una svolta. Il 22 febbraio scorso, parlando con La Stampa, il ministro italiano per l’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, già vedeva il ritorno al passato: «Se si arriva a un accordo, si riapre il South Stream», cioè torna il gas russo. Ottimismo legato evidentemente a cosa sarebbe riuscito ad ottenere Trump. I negoziati continueranno, nella impalpabilità dell’Europa che non riesce ad avere un riconoscimento diplomatico che la consideri autorevole.

Il Consiglio europeo con i capi di Stato e di governo approva il Piano Von der Leyen ReArm Eu

Ma il piano chiamato “ReArm Europe” annunciato dalla Commissione europea e approvato da tutti i 27 Capi di Stato e di governo, non è collegato al conflitto in corso ma agli scenari del futuro. Quali scenari? Ed è questa la strada obbligata per un’Europa “messa in sicurezza”? Eppure la strada della pace sembrerebbe più semplice di tutto questo. Finché è impegnato con l’Ucraina, Putin non vorrà certo allargare il fronte. E dopo la guerra con l’Ucraina, Bruxelles potrebbe avere finalmente un ruolo ricucendo i rapporti. In questo “dopo” l’Unione europea potrebbe sentirsi minacciata per ora in un solo bersaglio ipotetico: i tre Paesi Baltici (Lettonia, Lituania ed Estonia) con un solo possibile aggressore: Vladimir Putin.

Quindi si tratterebbe di garantirsi con la Russia, con la quale peraltro Bruxelles ha diversi interessi comuni, e non solo commerciali. Come il contrasto al terrorismo islamico, nervo scoperto di Mosca. C’è poi il fronte africano, dove i russi e l’Europa sono diversamente impegnati. C’è da prevenire – con accordi commerciali – una futura aggressione alla Moldova. Qual è la strada più semplice? Quella di maggior vantaggio. Mosca non entrerà in guerra con Paesi della Ue se pensa che le convenga restare in pace. Ed è un Paese che ha aumentato molto le sue spese militari in questi ultimi tre anni (prima dell’invasione spendeva per la Difesa poco più della metà dei 27 della Ue), ma non è una potenza economica di primo piano. Il suo Prodotto interno lordo è inferiore a quello dell’Italia.

Mezzi corazzati sulle autostrade che collegano la Russia all’Ucraina alla vigilia dell’invasione nell’inverno 2022

Aprire un altro fronte di conflitto verso l’Europa non è nell’interesse della Russia. Mentre in Ucraina la guerra era cominciata nel 2014, e c’era stato tutto il tempo di prevedere (ed evitare) l’evoluzione che ci sarebbe stata otto anni dopo con l’invasione del 2022. Prima di questa, l’Ucraina ha cristallizzato (nel 2019) le sue aspirazioni di entrare nell’Alleanza atlantica (al punto che rinunciarvi in un accordo di pace sarebbe anti-costituzionale). Mosca ha sempre considerato ostile l’adesione dell’Ucraina, con cui confina, alla Nato, ma non ha posto veti all’aspirazione di Kiev di entrare nell’Unione europea. Il motivo sembra evidente. Lo vediamo meglio domani. — (1. continua qui venerdì 4 aprile)

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Primo articolo pubblicato a quindici anni sul "Calcio illustrato". Un libro a vent'anni sulla storia del Partito radicale da Pannunzio a Pannella. Due contratti in Rai, collaborazioni con radio e tv private, migliaia di articoli in una ventina di testate diverse in Italia e all'estero. Oltre trent'anni di lavoro al Messaggero, dove si è occupato di cronaca, politica, sport, interni, esteri. È stato presidente dell'Associazione stampa romana e componente di Giunta della Fnsi, il sindacato nazionale dei giornalisti. Ha coordinato e condotto decine di corsi di formazione professionale