Conoscenze che avevamo da sempre trovano una smentita in laboratorio: una verdura può germogliare e svilupparsi senza fotosintesi. Lo rivela una ricerca condotta dal Dipartimento di Biologia e Biotecologie della Sapienza, in collaborazione con l’Institute of Experimental Botany, l’Agenzia Spaziale Italiana e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. Non siamo ancora alla possibilità di verdure commestibili coltivate a… centimetri zero, come in una navicella spaziale per nutrire gli astronauti, ma si aprono senza dubbio scenari nuovi e gradevoli: mandare il comandante Elon Musk dritto su Marte

◆ L’articolo di MAURIZIO MENICUCCI
► Per milioni di anni abbiamo pensato che la luce e la vita fossero una coppia indissolubile e che rompere questo legame fosse contronatura. La stessa Scienza l’aveva confermato, scoprendo la fotosintesi, il processo fondamentale che attraverso la clorofilla trasforma la luce del sole in energia chimica. Ebbene, ci eravamo sbagliati due volte. La prima, perché la natura ha sempre soluzioni di riserva. La seconda, perché la Scienza, che, come dicono gli epistemologi, è condannata a contraddirsi, prima o poi le svela.
In questo caso a svelare la soluzione di riserva è stato un team coordinato da Raffaele Dello Ioio e Paola Vittorioso del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie della Sapienza, in collaborazione con l’Institute of Experimental Botany, l’Agenzia Spaziale Italiana e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. Dopo aver identificato un meccanismo molecolare alternativo che promuove la crescita dei vegetali in modo indipendente dalla luce, quindi non fotosintetico, i ricercatori sono riusciti a isolare e a sviluppare alcune linee genetiche di microverdure capaci di germinare al buio.
Questa capacità è dovuta a due fattori: agli alti livelli di acido gibberellico (GA), ormone presente in tutte le piante e responsabile della loro crescita; e al regolatore DAG1, che è coinvolto nel processo a prescindere dalle condizioni luminose. Una volta scoperto il metodo, la prima applicazione, tra le tante aperte dalla possibilità di disporre di piante in grado di crescere in ambienti estremi, non poteva che essere quella di coltivare verdure nello spazio, per rifornire di cibi freschi gli astronauti durante i viaggi interplanetari.
La notizia è di quelle che colpiscono la fantasia. Dopo un primo momento di entusiasmo, però, uno si domanda quali e quante siano queste verdure: se fossero solo due, o perfino tre, è probabile che dopo qualche anno di viaggio possano venire a noia anche al più incallito dei vegani. Certo, i ricercatori assicurano che gli studi in corso «permetteranno di traslare queste conoscenze anche ad altre microverdure attraverso le tecnologie Tea (tecniche di evoluzione assistita), aumentando il plafond di colture resilienti e adattabili a contesti naturali sempre più complessi per via del cambiamento climatico». Però è proprio la Sapienza a resuscitare qualche preoccupazione, rendendo noto che lo studio «si è focalizzato sulla Cardamine hirsuta, più comunemente nota come crescione amaro peloso». Come biasimare, allora, l’astronauta di turno che a lungo andare si lamentasse con la base a Terra per la monotonia di un vitto già di sé abbastanza repellente? E che cosa potrebbero mai rispondergli, da lì giù, se non suggerirgli di cambiare ricetta, provando, magari, a fare una minestra con i medesimi ingredienti?

È chiaro che dopo altri due o tre anni, il problema si ripresenterebbe. A quel punto, lui chiederebbe giustamente di rientrare. E nessuno potrebbe richiamarlo all’ordine intimandogli: «O mangi la minestra, o salti la finestra!», perché un oblò non si può assolutamente spalancare, nemmeno di quel poco sufficiente a gettare via il contenuto di una scodella spaziale. Il problema diventerebbe un enorme rompicapo, sì. Ma alla fine, è ammissibile che due o tre microverdure possano impedire la conquista di nuovi pianeti? È evidente che non lo è, e una soluzione, infatti, esiste, ottima sotto ogni punto di vista. Quella di imbarcare subito sull’astronave ‘veggy’ il comandante Elon Musk, ovviamente con destinazione Marte, e senza fermate intermedie. Lui sarà contentissimo di coronare di persona il suo sogno, noi di salutarlo per molti anni, o forse decenni, in modo che abbia tutto il tempo di aprirci la strada.
PS. La notizia è vera. Il resto si spera! © RIPRODUZIONE RISERVATA