Ai “Mamuthones” riuniti a Davos ci ha pensato Oxfam a far presente che nel mondo oltre ottocento milioni di persone — una su dieci — soffrono la fame, che molti Paesi sono sull’orlo della bancarotta e quelli più poveri spendono, per ripagare i debiti che contraggono, quattro volte di più che per la spesa sanitaria. Per quasi due miliardi di lavoratori l’incremento medio del salario è inferiore a quello dell’inflazione. La Banca mondiale ha affermato che stiamo vivendo il più grande aumento di disuguaglianze e di povertà globale dal Secondo dopoguerra. In questo quadro di fondo c’è chi si spinge a dire che la guerra in Ucraina può essere, dal punto di vista climatico, una sorta di benedizione: «Investiremo molto di più nelle energie rinnovabili e nelle soluzioni per il risparmio energetico», sostiene Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale. E la Ue accelererà sull’eliminazione dei fossili, a partire da quelli russi. Come ha osservato Fatih Birol (capo della Agenzia Internazionale dell’Energia), in cima all’agenda di tutti ci sarà la sicurezza energetica, che dipende dalle rinnovabili


L’analisi di MASSIMO SCALIA

ORA CHE CE lo ha detto anche il capo della Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea), Fatih Birol, “amo svortato” come si dice a Roma. Infatti, intervenendo a un panel al World Economic Forum, davanti ai “Mamuthones” di Davos, il direttore esecutivo della Iea ha sostenuto la tesi che dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia la sicurezza energetica è diventata il principale fattore che traina gli investimenti per il clima: «La crisi energetica che stiamo vivendo ha dato un grande impulso allo sviluppo dell’energia pulita. In passato la ragione principale per sostenere l’energia pulita erano le considerazioni di natura ambientale, mentre ora il motore principale sono le preoccupazioni per la sicurezza energetica». (AGI, Gav 170951 GEN 23). Che ardimento! 

La premier italiana Giorgia Meloni ha colto la palla al balzo per dire, con la sua baritonale pronuncia romanesca, che la “sicurezza energetica” — il mantra del suo Governo, al punto che un ministero è stato così ribattezzato — è come Dante, di Destra. Sfidando così le ire di alcuni padri nobili, che già avevano obbligato Sangiuliano, il ministro della Cultura e titolare del conio di questa solenne minchiata, a fare un passo indietro farfugliando che “era solo una provocazione”, ovviamente al buon fine della lettura, ri o ex novo, del sommo poeta [leggi qui nota 1].

No, la premier non è così perspicua come il suo ministro e non lo ha detto. Si è limitata a dare un calcetto sullo stinco a Salvini, nel tentativo di svegliarlo dal suo imbambolarsi. “Ponte sullo Stretto”, sentono ripetere, a intervalli periodici e a prescindere, il vicepremier. En passant, ai “Mamuthones” di Davos ci ha pensato Oxfam a far presente, col suo rapporto, che nel mondo oltre ottocento milioni di persone — una su dieci — soffrono la fame, che molti Paesi sono sull’orlo della bancarotta e quelli più poveri spendono, per ripagare i debiti che contraggono, quattro volte di più che per la spesa sanitaria. Che per quasi due miliardi di lavoratori l’incremento medio del salario è inferiore a quello dell’inflazione. E che la Banca mondiale ha affermato che stiamo vivendo il più grande aumento di disuguaglianze e di povertà globale dal Secondo dopoguerra.

Insomma, l’annuncio di Birol è l’unica nota in qualche senso positiva che può uscire dai “Mamuthones”, che hanno tempo per sorprenderci, se vogliono, da qui al 20 gennaio.

Come sempre dal Dopoguerra, quel che succede nel “pianeta energia” è motore della storia non solo sul piano economico-industriale. E questa volta il motore, ci si perdoni il meccanicismo, lo ha acceso la scellerata guerra di Putin. Consolidati modelli di domanda-offerta sono saltati come anche rapporti commerciali di lunga data. Come nella prima grande crisi energetica mondiale, quella del 1973, si è ricorso, a ripetizione e soprattutto dalla parte dell’Opec, al taglio della produzione di petrolio con la conseguenza, in contemporanea con la crisi del gas, di elevare il rischio di una recessione globale. 

Allora, come sostenemmo, non isolati, la crisi energetica fu una scelta “premeditata” attraverso il conflitto arabo-israeliano, preannunciato da Kissinger addirittura varie settimane prima: la “guerra del Kippur”. Il blocco delle forniture di petrolio e il conseguente aumento del prezzo a livello mondiale danneggiava fortemente i Paesi alleati, ma competitors sul mercato, degli Usa, mentre rivalutava il petrolio americano compresso dagli alti costi di estrazione. Nel giro di poco più di un anno si completava così la manovra iniziata da Nixon a Ferragosto del 1971 con la rottura unilaterale dei patti di Bretton Woods (1944) — la dichiarazione dell’inconvertibilità del dollaro — che erano stati il sacramento dell’accordo economico-monetario dell’Occidente capitalistico. Il risultato netto fu il sostanziale scarico di una rilevante parte del deficit Usa, alla base della rottura dei patti, sulla schiena dei cari alleati. 

Oggi, francamente, è assai difficile rintracciare un disegno analogo, così netto, frutto anche della relativa “linearità” della geopolitica dell’epoca. I soliti cultori del “grande vecchio” si imbarcheranno nel sostenere che in realtà Putin è cascato come un pero nel tranello delle manovre Usa-Nato, “Defender Europe 2021”, che nella primavera del 2021 si svolsero a ridosso del territorio russo come risposta alla mobilitazione militare russa ai confini dell’Ucraina [leggi qui nota 2]. O quelle, nell’estate, del “Sea breeze”, condotte da Washington e Kiev nell’area Nord orientale del Mar Nero [leggi qui nota 3]. E, autocelebrandosi come campione del “diagramma del cretino”, Putin ha scatenato la guerra contro l’Ucraina, anche perché non dispiace neanche a lui tenere sotto l’Europa. Figuriamoci poi agli Stati Uniti, qualunque sia l’Amministrazione. I quali, inoltre — risultatone! — si possono giocare oltre al ruolo egemone, quello di cospicue forniture di armi all’Ucraina, del generoso invio di metaniere di Gnl alla Ue e di mettere nell’angolo l’altro impero, la Cina, che in tutta questa vicenda non può far molto di più. Ora, anche se questi fatti possono essere singolarmente veri, è difficile vederli come esito di un disegno unitario. Il quadro geo-politico è assai più variegato di quello di cinquant’anni fa, con l’affermarsi sempre più rilevante dei due colossi, Cina e India, allora in qualche modo marginali e che rappresentano, oggi, più di un terzo della popolazione mondiale. In un futuro non remoto, un preponderante potere economico.  

A spiegare le cose, spesso non c’è bisogno di un “grande vecchio”, può bastare un mediocre minchione. E, in ogni caso, il rasoio di Occamla soluzione giusta di un problema è quella più semplice — verrà sempre di più dall’evolversi dei fatti. Traguardiamoli sulla domanda di fondo: che ne sarà delle transizioni energetiche? La Ue accelererà sull’eliminazione dei fossili, a partire da quelli russi, e, come ha osservato Birol, in cima all’agenda di tutti ci sarà la sicurezza energetica, che dipende dall’energia dominata dalle rinnovabili. E avrà ragione Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, per il quale, forse con un po’ troppo “realismo”, la guerra in Ucraina può essere, dal punto di vista climaticouna sorta di benedizione: «Investiremo molto di più nelle energie rinnovabili e nelle soluzioni per il risparmio energetico». È quel che sta già accadendo ed è probabile che la sfida lanciata dalla California con i suoi piani “green” per raggiungere la neutralità climatica cinque anni prima, a colpi di energia eolica e solare, divenga il punto di riferimento un po’ per tutti. 

In questi mesi tremendi, con un 2022 candidato a essere, oltre che uno degli anni più caldi anche uno degli anni più bui, e sia pure nel bel mezzo di una crisi energetica globale, forse la prima di queste dimensioni, «ci sono ragioni di ottimismo, se il 2023 confermerà che qualcuna delle lezioni dei passati mesi è stata finalmente appresa e qualcuno dei progressi fatti verrà consolidato e ulteriormente accresciuto» [leggi qui nota 4]. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Scienziato e politico, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente. Primo firmatario, con Alex Langer, dell’appello (1984) per Liste Verdi nazionali. Alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. Presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”): traffici illeciti nazionali e internazionali; waste connection (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin); gestione delle scorie nucleari. Tra gli ispiratori della Green Economy, è stato a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e consulente scientifico nelle azioni contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14). Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico, suo un modello teorico di “stato stazionario globale” (2020) (https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia)