Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni e, due passi indietro come sempre, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani; sotto il titolo, la torre della Banca Unicredit, multinazionale del credito nella city milanese

Anche in Italia esiste un’imprenditoria d’eccellenza, come quella che esporta i suoi prodotti nel mondo a partire dalla Germania. Ed è un bene che esista. Ma non surroga, né pretende di farlo, quel peso, non solo sociale ma anche politico e culturale, che in Francia come in Germania o in Spagna hanno alcuni grandi gruppi storici legati a nomi noti in tutto il mondo. Quello che resta, pesante come uno sversamento petrolifero in mare e con analoghi effetti inquinanti e ammorbanti, è il “Disgusting” che ha imposto all’Italia la politica energetica dell’Eni, cioè la sua. A coronare la sua “presa del potere” concorre Confindustria, incapace di grandi progetti per il Paese, concentrata com’è sull’ombelico delle sue sempiterne richieste, cui — spesso evase positivamente — non corrisponde mai un ritorno per la società. La Meloni premier sarebbe assai debole sul piano internazionale? Niente paura, ci penserà il loro buon nome


L’articolo di MASSIMO SCALIA

MENTRE LE VACANZE hanno superato la boa e i più si stanno attrezzando alla ripresa, valgano alcune riflessioni. Abbastanza generali, e quindi il loro bacino di utilizzabilità ha misura nulla (come un punto su una retta). O forse no? Nel profluvio di appelli e lettere su energia/clima/sviluppo del Paese hanno brillato per numero quelle rivolte alla politica, segnatamente al Presidente del Consiglio. Anche io ho peccato, ma non da solo! In questo panorama campeggia, come un buco nero, l’assenza di ogni interlocuzione col mondo ufficiale dell’imprenditoria, coi “padroni”. Una totale sfiducia in quella che in ogni stato moderno delle democrazie occidentali ha assunto il compito di ruling class”?

In prima battuta verrebbe da dire di sì: i “padroni”, più o meno, sempre italiani sono. E quindi con la stessa propensione ad assumersi delle responsabilità pari a quella di usare la carta vetrata in luogo di quella igienica. Se poi si parla di responsabilità per il Paese… Intendiamoci, esiste un’imprenditoria d’eccellenza, come quella che esporta i suoi prodotti nel mondo a partire dalla Germania, in parte rappresentata nelle iniziative di “Symbola” di Ermete Realacci o del “Futuro sostenibile” di Edo Ronchi. Ed è un bene che esista. Ma non surroga, né pretende di farlo, quel peso, non solo sociale ma anche politico e culturale, che in Francia come in Germania o in Spagna hanno alcuni grandi gruppi storici legati a nomi noti in tutto il mondo: la ruling class, appunto, di ognuno dei Paesi citati. Per non parlare della Gran Bretagna o degli Stati Uniti.

Gianni Agnelli, presidente della Fiat, sullo sfondo la celebre pista di collaudo del Lingotto a Torino

A noi c’è andata male. Con l’Avvocato, che, a smentire il suo celebrato aspetto di fascinoso gentiluomo, è stato lì come un villico in cioce a succhiare la mammella dello stato che neanche Romolo e Remo con la lupa. E con alcune grandi “rapine”. Storico il passo indietro imposto all’Olivetti nei primi anni Sessanta, insieme a quello del nucleare “made in Italy”, a esemplificare quel che si intendeva per “divisione internazionale del lavoro” — leggi: all’Italia non è concesso di mettere piede nei settori di tecnologia avanzata. E poi, nel corso degli ultimi trent’anni, altri grandi “espropri capitalistici” resi possibili dalla debolezza dell’insieme, Capitale e Stato italiani. Certo, qualcosa d’importante c’è rimasto, che si permette anche acquisizioni di significativi gruppi esteri, ma che non ha la massa critica per esprimere una vera direzione capitalistica dell’Italia. O, forse, se ne guarda bene all’insegna del: I know my chicken”. Troppa fatica essere lungimiranti.

E quindi? È una situazione simmetrica di quella quando, tanti anni fa, si poneva la questione di “stare a fianco della classe operaia” — espressione un po’ bolsa che nascondeva, male, la volontà di orientarla e dirigerla — e spiriti arguti obiettavano: “E se non avesse fianchi?”. Ecco, vale anche per la nostra ruling class, il “capitalismo delle cinque famiglie” come ebbe a osservare anni fa pure un ministro non particolarmente perspicuo. Ma se non ha fianchi, che rimane?

Una risposta diversa da quella un po’ moralistica proposta in prima battuta. Per non dare sempre la croce addosso ai milioni di concittadini che hanno ragione e titolo per ribellarsi ma non lo fanno, bisogna rimarcare che l’assenza di una vera ruling class confonde le carte, rende più difficile individuare programmi e obiettivi dei “padroni”, vista l’assenza o l’indeterminatezza o l’opportunismo mercantile di una loro “strategia”. Problematico, e assai faticoso, è, poi, costruire e far marciare un progetto a partire dalla società, dai suoi spunti migliori, anche se, qualche volta e solo in parte, è accaduto.

Claudio Descalzi e Carlo Bonomi: il buon nome del duo per accreditare la Meloni nei circuiti internazionali che contano?

Quello che resta, pesante come uno sversamento petrolifero in mare e con analoghi effetti inquinanti e ammorbanti, è il “Disgusting”, che già ai tempi del “governo dei migliori”, abbattuto in omaggio a Putin, ha imposto all’Italia la politica energetica dell’Eni, cioè la sua. Mica è da solo. A coronare la sua “presa del potere” concorre la Confindustria, incapace di grandi progetti per il Paese, concentrata com’è sull’ombelico delle sue sempiterne richieste, cui — spesso evase positivamente — non corrisponde mai un ritorno per la società. 

La Meloni premier sarebbe assai debole sul piano internazionale? Niente paura, ci penserà il “governo” Descalzi-Bonomi, con il buon nome del duo. Chi agita il timore del “neocapitalismo” della transizione energetica a fonti rinnovabili si dia pace, avanti tutta col vecchio e caro capitalismo a idrocarburi! Ambiente alla malora, fusione dei ghiacciai, ondate di calore e morti aggiuntivi? Un doveroso tributo della plebe alle “magnifiche sorti e progressive”. Ma è roba da Ottocento! Appunto.

Il brulicare di sottopoteri e clientele, l’orgia di burocratiche corruttele, il degrado ulteriore di Pubblica amministrazione e giustizia, il conformismo del consenso mediatico a pagamento, l’infeudamento della ricerca nei vari enti preposti e anche in sedi universitarie saranno il corollario. Non difficile da immaginare. Roba che rende il greenwashing di “Plenitude” un merletto di virginali mani claustrali.

Ma allora, se non ora, quando? Difficile che la risposta positiva diventi esigenza di una maggioranza di italiani, ma questo non esime dal provarci. E qualcosa, di sicuro, si guadagnerà pure. Per l’Italia. © RIPRODUZIONE RISERVATA


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Scienziato e politico, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente. Primo firmatario, con Alex Langer, dell’appello (1984) per Liste Verdi nazionali. Alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. Presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”): traffici illeciti nazionali e internazionali; waste connection (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin); gestione delle scorie nucleari. Tra gli ispiratori della Green Economy, è stato a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e consulente scientifico nelle azioni contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14). Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico, suo un modello teorico di “stato stazionario globale” (2020) (https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia)