
Il rinvio a ottobre del punto più controverso (aumento della temperatura entro 1,5 °C) non deve oscurare i passi avanti compiuti. La drammatica accoppiata energia-clima è stata ignorata dalle grandi masse e dai grandi media italiani, nonostante la tenace azione ambientalista degli ultimi trent’anni. Ha cominciato ad affacciarsi con qualche evidenza nel “discorso pubblico” con gli appelli di Greta Thunberg e i FridayForFuture. Su questo tema l’odiata politica è sempre stata avanti alle masse. La maggior convenienza economica delle rinnovabili è una forte spinta per trasferimenti di tecnologie e incentivi alla decarbonizzazione con un cospicuo fondo da gestire presso le Nazioni Unite dove ce ne è più bisogno. Utopia? Se non ora quando?
L’analisi di MASSIMO SCALIA, fisico matematico
PER RENDERE FEROCE il sarcasmo contro “Questo è il migliore dei mondi possibili” di Leibnitz, Voltaire scrisse un pamphlet – “Candide ou de l’optimisme” – il cui protagonista, Candide, viaggia tra violenze, stupri, orribili torture e spietati conflitti, indefettibile nella sua fede nel miglior mondo possibile. Quella mezza sega, di statura intendo, del grande illuminista francese banalizzava in questo modo la filosofia di Leibnitz, ma la simpatia per l’eroe dell’ottimismo non è tanto riferita al genio universale di Leibnitz, quanto all’essere io un Candide, confesso e reiterato, nella valutazione sostanzialmente non negativa della lunga vicenda delle Conference of Party (CoP). È vero, quello del 22-23 luglio scorsi a Napoli era un G20, ma la sostanza non cambia visto che affrontava ad alto livello la questione energia-clima.

Sento già gli “alzoguardisti” militanti per i quali i risultati di queste riunioni sono sempre dei passi indietro, delle rese più o meno vergognose ai signori dei fossili. E incombe su di me il poter essere accomunato, ahimè, al ministro della Finzione ecologica, che ha celebrato l’approvazione, conseguita in quella sede, di 58 articoli su 60 e l’ampliarsi dei governi disponibili all’accordo. Ma, a parte il fatto che quelli sono dati inconfutabili, l’aver rinviato al G20 di fine ottobre a Roma la decisione sul punto più controverso – l’impegno a contenere l’incremento globale della temperatura entro 1,5 °C – è un ulteriore riprova della difficoltà dell’obiettivo, peraltro posto solo come raccomandazione nella ratifica dell’Accordo di Parigi (22 aprile 2016).
Un passo indietro. La drammaticità dell’accoppiata energia-clima è stata ignorata dalle grandi masse, nonostante la tenace azione ambientalista degli ultimi trent’anni, e ha cominciato ad affacciarsi con qualche evidenza nel “discorso pubblico” con gli appelli di Greta Thunberg e le mobilitazioni Fff (FridayForFuture), purtroppo precocemente stroncate dal Covid 19. Al contrario, il dramma dell’accelerazione del cambiamento climatico fu notificato ai vertici della politica mondiale da ben due statement rivolti nel 2005, G8 di Gleneagles, e nel 2006, G8 di San Pietroburgo, dalle Accademie delle Scienze dei Paesi del G8 più quelle di Brasile, Cina, India e Sud Africa. In essi si affrontava il nesso energia-clima e si affermava che, nonostante la complessità del sistema climatico, «The scientific understanding of climate change is now sufficiently clear to justify nations taking prompt action» (La comprensione scientifica del cambiamento climatico è ora sufficientemente chiara da giustificare le nazioni che intraprendono azioni tempestive) [nota 1].

Una vicenda rilevantissima, totalmente ignorata all’epoca dai grandi media italiani, sempre impegnati a spartirsi le “cedole” della pubblicità fossile e a non infastidire Confindustria. Fu invece Angela Merkel che, nel Consiglio d’Europa del marzo 2007, rispose da grande statista a quegli appelli coi “tre venti per cento al 2020”, piegando a quell’obiettivo i riottosi Paesi ex comunisti appena entrati nella Ue e coi quali Berlusconi aveva vergognosamente tentato un improbabile “patto di Varsavia” a difesa della “Cortina di Carbone”. Anche allora, come oggi, letterati da bar e ingegneri si levarono contro, in nome dell’esiguità degli effetti che sarebbero derivati da un’area così piccola come l’Europa rispetto al contesto globale. Digiuni delle dinamiche di competizione sul mercato, ove non valessero riferimenti più nobili, non capivano che quello era l’inizio di una grande sfida che, guidata dalla Ue, avrebbe scandito la roadmap fino all’Accordo di Parigi. Un percorso tribolato, dove i capitalisti hanno continuato a fare il loro mestiere nello sdegno stantio di quelli che pensano di essere di sinistra. Piena di satanassi del fossile e di pigolanti quaquaraquà al seguito. Però ci si è poi arrivati, con le rinnovabili passate dal 2% del 2001 (solo Hydro) all’odierno 20% dei consumi mondiali d’energia.
Dell’azione determinante degli ‘stakeholder’ – la sparuta minoranza che in questi decenni ha combattuto ogni giorno e a ogni livello di Governo contro il global warming, contaminando le sedi politiche con le loro proposte e con la loro cultura – ho dato ampio riconoscimento anche in termini di modello di governance per la sostenibilità, laddove si celebrano i fasti dei Triple Helix Model [nota 2].

Allora tutto bene, Candide? Candide sì, ma ancora compos mei. Ho solo accennato al tormentato percorso politico e socio-culturale e alle tremende difficoltà da superare. Ora Cina e India difendono il carbone, loro risorsa energetica principe. Ma non può più essere accolta la maggior responsabilità dei Paesi ricchi, per decenni i maggiori inquinatori, oggi che anche l’Antartide si sta frantumando. La sempre maggior convenienza economica delle rinnovabili è una forte spinta, ma bisognerà pensare a trasferimenti di tecnologie ed a meccanismi fortemente incentivanti la decarbonizzazione là dove ce ne è più bisogno. A carico di un cospicuo fondo da gestire presso le Nazioni Unite precisandone modalità di costituzione, d’intervento e obiettivi. Un’utopia? Se non ora quando?
E gas e Ccs qui da noi? Mai pensato che la battaglia fosse chiusa, nonostante alcuni significativi passi avanti. E poi, Vasco docet, “siamo ancora qui”. © RIPRODUZIONE RISERVATA