
Moto italiana pilota italiano. Dopo mezzo secolo esatto dalla vittoria del leggendario Giacomo Agostini in sella alla mitica MV Augusta, Francesco Bagnaia detto “Pecco” vince in sella alla sua Ducati nella classe regina, un tempo classe 500 divenuta poi MotoGp. Anche se oggi la Ferrari delle moto (la Ducati) appartiene alla tedesca Audi (gruppo Volkswagen), è bene ricordare che il mito rosso, su due ruote, continua a essere prodotta in Italia nello stabilimento di Borgo Panigale da ingegneri italiani. Una rimonta clamorosa dopo che il francese Quartararo, in sella a Yamaha a metà stagione aveva un bottino di 91 punti di vantaggio, sembrava destinato alla conquista del titolo. Le quattro vittorie di fila di “Pecco” gli hanno dato, nell’ultima gara di Valencia, un vantaggio di 23 punti: con un piazzamento al nono posto, ha chiuso la stagione da campione del mondo
L’articolo di FABIO MORABITO
CINQUANT’ANNI DOPO. Mezzo secolo preciso, non un anno in più o in meno. Nella cosiddetta “classe regina” del Motomondiale, quella che vale di più – per alcuni l’unica che vale – è tornato a vincere un italiano su una moto italiana. Francesco Bagnaia detto “Pecco”, su Ducati. Cinquant’anni fa a trionfare era stato – per l’ultima volta sulla Mv Agusta – il “mito” Giacomo Agostini, oggi ottantenne. In mezzo secolo, nella classe più importante del motomondiale (quella che era classe 500, per la cilindrata, ora è MotoGp) nessun pilota italiano ha vinto su moto italiana. Ma, a dirla tutta, in questo periodo di tempo non c’è stato nessun pilota che abbia vinto su una moto della sua stessa nazionalità. Sempre occidentali che hanno corso e vinto su moto giapponesi (che hanno dominato lo scenario). Un australiano, Casey Stoner, che ha vinto un solo titolo con la Ducati (era il 2007). C’è stato il dominio di Valentino Rossi e dello spagnolo Marc Marquez, il campione in carica battuto quest’anno da “Pecco” con una rimonta clamorosa nelle ultime gare era Fabio Quartararo (francese, anche se nome e cognome farebbero pensare a un altro italiano), che guida una Yamaha.
Bagnaia ha 25 anni, nato a Torino e cresciuto a Chivasso, corre con la moto che ha dominato la stagione, la Ducati appunto, un mito nato a Borgo Panigale, quartiere di Bologna: in quella area geografica – compresa Modena e provincia – di grande gastronomia e meccanica che è stata la terra madre dei motori da corsa, da due a – soprattutto – quattro ruote. Ora la Ducati è di proprietà tedesca, acquistata dall’Audi gruppo Volkswagen, passata di mano con la Lamborghini che si era accaparrata la “rossa” a due ruote dieci anni fa. Ma la Ferrari delle moto, così chiamata per il suo tradizionale colore rosso, continua ad essere progettata (da ingegneri italiani che il Giappone ci invidia) e prodotta a Borgo Panigale.

Quest’anno è stata la casa grande dominatrice della stagione, ma nonostante questo a pochi gran premi dalla fine sembrava che Quartararo e la sua Yamaha fossero destinati alla vittoria finale per un rendimento costante e abile nello sfruttare gli errori via via commessi dai piloti Ducati. Il vantaggio a metà stagione del francese sul futuro campione era di 91 punti (per dare l’idea: chi vince prende 25 punti, ma punti vengono assegnati fino al quindicesimo posto). Un abisso, e mai nessuno era riuscito a una rimonta del genere. Bagnaia c’è riuscito prima con quattro vittorie di fila, e poi arrivando all’ultimo Gran premio della stagione a Valencia, in Spagna, addirittura in vantaggio di 23 punti. Sul circuito spagnolo ha corso in sicurezza: la gara l’ha vinta Alex Rins, spagnolo, sulla giapponese Suzuki; Quartararo ha concluso quarto, Bagnaia solo nono ma perché non ha voluto sfiorare il minimo rischio (gli sarebbe bastato un quattordicesimo posto, anche se Quartararo avesse vinto, per diventare campione iridato).
Cinquant’anni dall’ultima “doppietta” italiana, che racconta di un altro mondo: Agostini vinse 11 Gran premi su 12 in programma, l’altro se lo aggiudicò il suo compagno di squadra Alberto Pagani. Ma la scuola italiana di piloti ha sempre avuto talenti, anche se poi quella spagnola ha preso il sopravvento. Sono passati tredici anni dall’ultimo successo in MotoGp di un nostro connazionale, che è stato poi Valentino Rossi su Yamaha. Destini che si sono incontrati: Bagnaia racconta di quanto fosse emozionato – ed era già un promettente pilota – quando ha conosciuto Valentino Rossi a un ristorante. “Era così strano stringergli la mano!” ricorda ora di quell’incontro con il suo idolo.

Poi Pecco è finito proprio nel team che Rossi ha inventato per far crescere i talenti italiani (il VR46: iniziali del campione e suo numero di gara) vincendo un mondiale minore, la Moto 2, guidando una Kalex, due ruote tedesca. Suo compagno di squadra era Luca Marini, fratello minore di Valentino Rossi da parte di madre, che ora corre anche lui in Ducati. Valentino Rossi ci provò, senza successo e senza successi, a domare la “rossa a due ruote”, una decina d’anni fa famosa per essere la più potente, ma pesante alla guida.
Il soprannome del neo-campione mondiale è “Pecco” non il più classico “Checco” per Francesco. Ora lo chiamano quasi tutti così, ma è un nomignolo nato in famiglia. È stata sua sorella Carola, da bambina, a inventarsi questo diminutivo, perché – appena più grande di lui di un anno e mezzo – non riusciva a pronunciare bene il suo nome. Ora Carola è team manager nel mondo delle moto, mentre l’altra ragazza della vita del campione è Domizia (Castiglioni), come si dice nei casi di una relazione solida e collaudata come lo può essere una Ducati, la “fidanzata di sempre”. Nel primo anno del motomondiale senza Valentino Rossi (ha lasciato lo scorso anno) a vincere è un ragazzo piemontese che si è subito fatto largo nel cuore dei tifosi italiani. E proprio alla guida della mitica Rossa: di più non si poteva sperare. © RIPRODUZIONE RISERVATA