C’è da fare ill “tifo”, c’è da parteggiare, oppure non è più giusto commuoversi e indignarsi? C’è una classifica dell’orrore? Si può definire come giusta reazione una strage di innocenti? La guerra tra Hamas e Netanyahu va vista da una prospettiva diversa da quella che infiamma – anche da noi, in Italia – il confronto, anche politico, a cominciare dai dibattiti nei talk show. Provando a riflettere senza preconcetti su quanto è successo, e perché è successo


◆ Il commento di GIANLUCA VERONESI

La prima reazione – in tutti – è stata: siamo alle solite. Ma non era così. L’attacco a freddo di Hamas è stato una orrenda novità. Per le tecniche con cui è stato condotto, per le dimensioni raggiunte, per l’innovativo e massiccio sequestro di ostaggi. Due aspetti mi hanno particolarmente colpito: il compiacimento con cui i terroristi hanno ripreso e diffuso le immagini truculente dei loro crimini e l’attacco al rave party. Quei ragazzi che nel deserto cantano e ballano spensierati non somigliano affatto agli stereotipi dell’ebreo in tenuta militare o in divisa nera da ortodosso, treccine comprese. Sono sicuro che molti di loro hanno protestato per settimane sotto le finestre di Netanyahu per le sue leggi liberticide. 

Due scelte apparentemente insensate se vuoi conquistarti un consenso internazionale. Ma non dimentichiamo che Hamas non agisce autonomamente, per il bene e la difesa del popolo palestinese. È eterodiretto da ben altri interessi. Intanto ha impedito la firma di accordi con i Sauditi che facevano seguito a quelli con gli Emirati. E infatti tra le ragioni addotte per spiegare la mossa di Hamas – costata mesi di preparazione nonché centinaia se non migliaia di morti tra i militanti – quella che mi convince di più è il tentativo di riservarsi uno spazietto nel “disordine mondiale” che farà seguito alla fine della guerra di Ucraina. Forse per questo la famosa e insuperabile “intelligence” israeliana ha clamorosamente fallito: difficile interpretare a scala locale, con logica territoriale, iniziative che servono semplicemente ad aumentare quel caos globale che deve convincere un pianeta monogovernato a dotarsi di una “governance” multipolare. 

L’attacco di Hamas al rave party nel sud di Israele; sotto il titolo e in alto, gli effetti della reazione dell’esercito israeliano

Ora è evidente che chi ha subito tutto ciò ha “diritto” a una risposta. Non è solo una vendetta ma è una legittima difesa che provvede a non rendere più possibile quanto accaduto. Ma una democrazia – caratteristica che rende Israele diversa da tutti gli altri – deve mettere in pratica una reazione “proporzionata” e, se possibile, dotata di una qualche ipotesi di futuro e di rispetto delle ragioni degli altri. Guardando alcune fotografie dall’alto di Gaza City non appare così scontato. Chi è stato vittima di olocausto non credo possa pensare di applicarlo ad altri. Dopo ogni colluttazione i protagonisti diretti ed indiretti della trattativa diplomatica tirano fuori la soluzione dei due Stati indipendenti, sapendo che subito dopo ciascuno si affretterà a prendere decisioni che contribuiranno a rendere la prospettiva impossibile. 

Per finire vi dico ciò che mi ha scandalizzato di più: la reazione dell’opinione pubblica che ha trattato la questione come fosse un derby calcistico: io sto con questi, no preferisco gli altri. Parlo dell’opinione pubblica mondiale perché quella locale è evidentemente partecipe dell’appartenenza e del “tifo” per i propri colori. Nella partita Israeliani contro Palestinesi non può esserci un vincitore perché non c’è un colpevole e una vittima. Entrambi sono colpevoli e vittime. Sono passati più di 120 anni da quando gli Inglesi cominciarono a studiare come fare convivere due popoli pienamente legittimati ma il mondo evidentemente non è affollato di uomini di buona volontà. Propongo due derby differenti: Palestinesi contro Hamas e Israeliani contro Netanyahu. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Si laurea a Torino in Scienze Politiche e nel ’74 è assunto alla Programmazione Economica della neonata Regione Piemonte. Eletto consigliere comunale di Alessandria diventa assessore alla Cultura e, per una breve parentesi, anche sindaco. Nel 1988 entra in Rai dove negli anni ricopre vari incarichi: responsabile delle Pubbliche relazioni, direttore delle Relazioni esterne, presidente di Serra Creativa, amministratore delegato di RaiSat (società che forniva a Sky sei canali) infine responsabile della Promozione e sviluppo. È stato a lungo membro dell’Istituto di autodisciplina della pubblicità.