Stefano Mariani, ricercatore dell’Ispra

La siccità è già la causa di diverse emergenze in questa primavera. Ma, unita al gran caldo, è soprattutto una minaccia concreta per l’estate che si sta avvicinando. Cosa fare? Come contrastarla? Secondo Stefano Mariani, ricercatore dell’Ispra, non bisogna limitarsi a ragionare nell’ordine di “misure tampone”. La strategia corretta è la prevenzione. Partendo da un assunto: vanno contrastate e contenute prima di tutto le emissioni di gas serra. Se non lo faremo, avremo con sempre maggiore frequenza fenomeni di siccità estrema dovuti alla mancanza di precipitazioni


L’intervista di ANNA MARIA SERSALE

IL TERRITORIO ITALIANO, morfologicamente fragile, è segnato da profonde ferite. Colpa di eventi estremi, inondazioni, frane, siccità, provocati dal riscaldamento globale che non dà tregua. Da anni l’equilibrio ambientale si è rotto. Il Pianeta è vicino al punto di non ritorno e occorre agire subito o sarà troppo tardi. E’ l’appello (finora inascoltato) lanciato dagli  scienziati di mezzo mondo; l’ultimo, in ordine di tempo, a fine marzo in occasione del rapporto (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’Onu. Lo sconvolgimento climatico continua a produrre un pesante impatto sull’ambiente, la salute, l’economia, la vita di tutti. Associazioni e movimenti ambientalisti premono perché il climat change sia al centro dei programmi dei governi, che però si limitano a vaghe dichiarazioni di intenti. Fino allo scorso novembre un’ondata anomala di caldo ha colpito tutta Europa fino alla penisola scandinava e da allora le nostre regioni del Nord fanno i conti con terreni assetati, fiumi e laghi sotto la media, e il sistema idrico che va in crisi. Ne parliamo con Stefano Mariani, ricercatore dell’Ispra, l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale; che da oltre vent’anni si occupa del monitoraggio e dello studio del ciclo idrologico e dei suoi estremi (alluvioni e siccità) ma che si occupa anche da  alcuni anni della gestione sostenibile delle risorse idriche. Dal 2020, inoltre, partecipa al team di coordinamento per l’intervento sul Bilancio Idrologico Nazionale, promosso dal Ministero dell’Ambiente nell’ambito del Piano Operativo Ambiente, finanziato sul fondo di sviluppo e coesione 2014-2020.

— Dottor Mariani, per la prossima estate in alcune zone dell’Italia si parla di possibile razionamento dell’acqua potabile. La siccità avanza inesorabile, ha colpito in particolare il Nord. Perché?

«Dall’inizio del 2022, e in alcune aree già da fine 2021, stiamo assistendo a una lunga e prolungata siccità, con caratteristiche estreme soprattutto nel Nord Italia, ad esempio in Piemonte e Lombardia, dove si sono registrati valori di pioggia e neve molto al di sotto delle medie di riferimento. Nei corsi fluviali soggetti a questo minore afflusso meteorico sono state osservate portate inferiori ai valori tipici e su alcune sezioni, come quelle del fiume Po, sono state registrate portate inferiori alle portate caratteristiche di magra. Il prolungato deficit di precipitazioni ha molto ridotto la disponibilità di acqua per ricaricare le falde, i fiumi e i laghi. Inoltre, l’effetto combinato del calo delle precipitazioni e dell’aumento delle temperature ha aggravato la riduzione della disponibilità media di risorsa idrica».

Il fiume Po

— Che cosa sta accadendo?

«Le ultime riunioni degli Osservatori distrettuali permanenti per gli utilizzi idrici, a cui l’Ispra partecipa, mostrano una situazione a scala nazionale divisa a metà: i Distretti idrografici dell’Italia centro-settentrionale, ovvero quelli del fiume Po’, Alpi Orientali, Appennino Settentrionale e Appennino Centrale, sono in severità idrica “media”, mentre i Distretti idrografici dell’Appennino Meridionale e di Sardegna e Sicilia in severità idrica “bassa”. Inoltre sono presenti situazioni localizzate in cui lo stato di severità idrica è inferiore o superiore rispetto a quello osservato a livello di Distretto idrografico (ad esempio, nel caso dell’estremo settore alpino nord-occidentale e dell’Appennino piacentino-parmense, che presentano una severità idrica “alta”)».

— Quanto durerà la siccità? E di quanto si sono ridotte le nostre risorse idriche?

«Bisogna ricordare che la siccità è un evento naturale, che si presenta ogni qual volta si registrano precipitazioni inferiori a quelle previste dalla climatologia dell’area considerata, la cui durata non è prevedibile. Tuttavia, più è prolungato il deficit di precipitazione più aumenta la gravità della siccità. Il trend sembra essere negativo sulla disponibilità di acqua, da uno studio che abbiamo fatto risulta che in Italia la disponibilità annua media calcolata negli ultimi 30 anni (1991-2020) si è ridotta del 20 per cento rispetto al trentennio 1921-1950».

— Su tutto questo quanto incide la crisi climatica in atto?

«Quello a cui stiamo assistendo è proprio la conseguenza del cambiamento climatico, che ha impatto sul ciclo idrologico e sulla disponibilità di risorsa idrica. La situazione futura che emerge è poco rassicurante. Da prime analisi, si prevede che per effetto dei cambiamenti climatici ci possa essere a livello nazionale una riduzione della disponibilità di risorsa idrica del 10 per cento nella proiezione a breve termine (nel caso si adotti un approccio di mitigazione aggressivo nella riduzione delle emissioni di gas serra); e del 40 per cento con punte del 90 per cento per il sud Italia nella proiezione a lungo termine (ipotizzando che la crescita delle emissioni di gas serra mantenga i ritmi attuali)».

— Il 40 per cento di risorsa in meno nel lungo termine è davvero preoccupante. Quello che è accaduto ora potrebbe essere solo l’inizio

«Certamente. Se consideriamo uno scenario in cui non si attua alcuna politica di riduzione dei gas serra, nel 2100 potremmo trovarci con una riduzione media annua del 40 per cento delle risorse idriche sull’intero territorio nazionale».

— Al momento chi soffre di più della crisi idrica?

«Attualmente il settore in maggiore sofferenza è quello agricolo, che secondo le stime Istat in un anno assorbe il 50 per cento dell’acqua prelevata. Comunque, quando c’è una situazione di emergenza l’acqua potabile per uso civile e per l’ambiente ha la priorità su tutto».

— Dunque, la siccità è conseguenza della crisi climatica

«Abbiamo rilevato che dagli anni ‘50 ad oggi è aumentata la percentuale del territorio nazionale coinvolta da eventi di siccità estrema su scala annuale. Certamente, quello a cui stiamo assistendo è strettamente legato ai cambiamenti climatici, che agiscono sulla frequenza e sulla intensità sia dei fenomeni di siccità che di alluvioni, sui quali non è possibile fare previsioni relativamente al quando e al dove. Ci sono stati anni in cui il territorio nazionale non è stato colpito da siccità ma da eventi alluvionali caratterizzati da precipitazioni maggiori rispetto alla climatologia di riferimento, mentre in altri periodi è andata diversamente, per cui non è possibile dire dove, quando e con quale gravità il fenomeno della siccità estrema potrà presentarsi».

— Che fare?

«Le risposte non possono essere “misure tampone”. Non basta risolvere l’emergenza, bisogna prevenirla. Se non ci impegneremo per favorire la riduzione delle emissioni di gas serra avremo con sempre maggiore frequenza fenomeni di siccità estrema dovuti alla mancanza di precipitazioni. Viviamo già gli effetti dei cambiamenti climatici e, sia a livello globale che nazionale, non sono più rinviabili i provvedimenti per ridurre le emissioni. Questo si può ottenere anche con una gestione sostenibile delle risorse, cominciando dalla riduzione degli sprechi, in tutti i settori, da quello agricolo a quello industriale, a quello civile; richiedendo innanzitutto di disporre di un monitoraggio sistematico e omogeneo su scala nazionale delle portate, dei prelievi e delle restituzioni. Affinché la gestione possa essere effettuata correttamente è necessario conoscere i due aspetti principali della domanda e dell’offerta. Quest’ultima corrisponde alla disponibilità di risorsa idrica, aspetto che può essere ricostruito sulla base dei dati del monitoraggio idrologico. Ciò che, invece, risulta ancora alquanto deficitario è la conoscenza, dettagliata e puntuale, di quanto è prelevato dai corpi idrici per essere impiegato nei diversi usi (civile, agricolo, industriale, ecc.)».

— E gli investimenti?

«Naturalmente occorrono anche investimenti per le infrastrutture, secondo una visione di medio e lungo termine».

— Servono anche nuovi invasi?

«Nella pianificazione di nuovi invasi bisogna tenere conto anche dei possibili impatti ambientali. Potrebbero, per esempio, creare un impatto sull’impermeabilizzazione del suolo, se da una parte si otterrebbe lo stoccaggio dell’acqua, dall’altra però si ridurrebbe la ricarica delle falde, che sono un’altra fonte di approvvigionamento. Ecco perché la soluzione è a monte, riducendo l’emissione dei gas serra». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Documentarsi, verificare, scrivere richiede studio e impegno
Se hai apprezzato questa lettura aiutaci a restare liberi

Dona ora su Pay Pal

Giornalista professionista, ha lavorato al “Messaggero” dal 1986 al 2010. Prima la “gavetta” in Cronaca di Roma, fondamentale palestra per fare esperienza e imparare il mestiere, scelto per passione. Si è occupata a lungo di degrado della città, con inchieste sugli abusi che hanno deturpato il centro storico. Dal 1997 ha lavorato alle Cronache italiane, con qualifica di vice caposervizio, continuando a scrivere. Un filo rosso attraversa la sua carriera professionale: scuola, università e ricerca per lei hanno sempre meritato attenzione, con servizi e numerose inchieste.