C’erano aspettative, come mai in passato, per il 25 aprile di quest’anno. Per la prima volta a Palazzo Chigi c’è una esponente di quella destra che milita nel partito Fratelli d’Italia, filiazione storica del Movimento sociale italiano, erede esplicito della Repubblica di Salò. Ma, anche in questa occasione, Meloni — in una lettera al Corriere della Sera —, e con lei i “camerati” del suo partito al governo e nelle istituzioni, non è stata all’altezza di un taglio energico con il passato. Il Presidente Mattarella, che non abbassa la guardia, ha saputo però anche questa volta restituire al Paese il senso storico e politico di questa ricorrenza
Il corsivo di VITTORIO EMILIANI

NON C’È VERSO. Il termine Liberazione dell’Italia dal nazifascismo non entra nel lessico ordinario di Meloni e camerati malgrado le professioni di europeismo e di atlantismo. Tocca al sempre vigile Mattarella ridare un senso storico e politico a questa ricorrenza dalla quale ha origine la Repubblica Italiana. Eppure il senso della storia è chiaro. Il riscatto dei giovani, cioè quello del 1943, partì dalle caserme di Cuneo dalle quali i ventenni di allora trovarono il coraggio per rischiare la vita in montagna dove si batterono contro il nazifascismo.
Da quella mobilitazione pluralista che coinvolse azionisti, cattolici, laici, socialisti nacque la Resistenza alla quale i comunisti si unirono più tardi ligi alle direttive di Mosca. Genova ebbe la forza di liberarsi da sola costringendo alla resa i nazisti del generale Meinhold. Molto più complessa la liberazione di Milano operata dalle Brigate partigiane dell’Oltrepo con alla testa Italo Pietra (Edoardo) le quali dovevano precedere le Brigate della Valsesia al comando di “Cino” Moscatelli, ritenuto un settario inguaribile dagli stessi comunisti milanesi. E così fu coi cecchini nazisti che ancora sparavano dai tetti e dovettero essere snidati.

Qui si pose il problema della fucilazione di Mussolini che aveva invano tentato la fuga in Svizzera travestito da soldato tedesco. La sua fucilazione era stata già decisa dal ClnAi (Comitato di liberazione nazionale Alta Italia) onde evitare possibiii interventi degli Alleati, soprattutto degli americani. La fucilazione avvenne a Giulino di Mezzegra e coinvolse anche la Petacci che di slancio si era interposta. L’esposizione dei due cadaveri gonfi di percosse a piazzale Loreto a Milano suscitò, come si sa, l’indignazione di Sandro Pertini sopraggiunto solitario dalla Francia e vennero portati al vicino Istituto di Patologia da dove vennero poi trafugati con le traversie che ne seguirono.
«Ora e sempre Resistenza», ha detto il Presidente Mattarella festeggiando la Liberazione a Cuneo «nella terra delle 34 medaglie d’oro al valor militare e dei 174 insigniti di medaglia d’argento, delle 228 medaglie di bronzo per la Resistenza, la terra dei dodicimila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle duemilaseicento vittime delle stragi nazifasciste. È qui che la Repubblica oggi celebra le sue radici, celebra la festa della Liberazione». E non dovrebbe essere tanto difficile per il capo del governo italiano studiare la storia patria nelle pagine essenziali che danno legittimità istituzionale alla sua elezione e alla sua carica. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Piero Calamandrei scrisse la “Lapide ad ignominia” in memoria di Duccio Galimberti affissa nell’atrio del Palazzo comunale di Cuneo (città medaglia d’oro della Resistenza) il 4 dicembre 1952 per l’ottavo anniversario del sacrificio del comandante di tutte le formazioni partigiane di Giustizia e Libertà del Piemonte. Catturato in una panetteria di Torino dopo la soffiata di un delatore, Galimberti fu portato nella caserma delle brigate nere di Cuneo, sottoposto a sevizie e ridotto in fin di vita. I fascisti non riuscirono a estorcergli alcuna parola sulle formazioni partigiane cuneesi. La sua salma fu abbandonata ai margini di un campo dopo una finta fucilazione. Fu proclamato Eroe nazionale dal Cln (Comitato di liberazione nazionale) piemontese.
Lapide ad ignominia
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA