
Il fascismo che ancora arde nella fiamma missina del suo partito va rinnegato coi fatti e non solo a parole. E i fatti dicono che numerosi rappresentanti di FdI, e per la cronaca anche della Lega, nelle amministrazioni locali, provengono da movimenti neofascisti, come Forza Nuova e Casa Pound, e hanno le palme delle mani perennemente abbronzate a forza di saluti romani. A smentire le continue dichiarazioni di fedeltà all’Europa e al Patto Atlantico del partito della Meloni, basta ricordare il caso dell’assessore alla Cooperazione internazionale, Maurizio Marrone, di FdI. Fino allo scorso ottobre, il sito governativo della autoproclamata Repubblica del Donetsk lo definiva “capo della Rappresentanza dei separatisti filorussi” e in tale veste Marrone aveva aperto un consolato ‘non ufficiale’ nel centro di Torino. Ieri, intanto, la senatrice a vita Liliana Segre ha invitato la Meloni a compiere un gesto chiaro e netto: «Tolga la fiamma dal simbolo del partito»
L’intervento di MAURIZIO MENICUCCI
NEL TUTTI CONTRO tutti che, al di là delle alleanze contingenti e coatte, frantuma lo scenario della politica e ancor più la platea degli elettori di sinistra, sollecitati a una letale diserzione delle urne da logiche e similitudini più conviviali che politiche — del genere ‘vota chi inviteresti a cena’ —, occorre salvare alcuni punti capaci di ricollocare la questione dentro i termini delle attuali emergenze. Evitando gli sdegnosi massimalismi tanto cari, per motivi ovviamente diversi, sia alla sinistra, sia al campo opposto. Il primo punto dovrebbe riguardare la ‘vecchia’ distinzione tra fascismo e antifascismo, che la destra deplora in nome della sua nuova e moderna identità, e che anche tra i progressisti qualcuno vorrebbe consegnare al Novecento.
Ora, ai venditori di Meloni, in particolare nei Tg Rai — ogni giorno che passa più intenti a spacciare Giorgia e i suoi per un prodotto fresco e fragrante di democrazia — vorrei, non sommessamente, far notare che il fascismo che ancora arde nella fiamma missina del suo partito va rinnegato coi fatti e non solo a parole. E i fatti dicono che numerosi rappresentanti di FdI, e per la cronaca anche della Lega, nelle amministrazioni locali, ad esempio a Lucca, provengono, e se ne vantano, da movimenti di destra estrema e neofascista, come Forza Nuova e Casa Pound, e hanno le palme delle mani perennemente abbronzate a forza di saluti romani. Saranno pure manifestazioni private di folklore nostalgico, come è solita liquidarle la Sorella d’Italia, accompagnando la blanda scomunica dei reprobi con l’assicurazione che il partito è solidamente approdato al liberalismo, eterna Terra Promessa mai avvistata della borghesia italiana, ma la verità è questa.

“Noi guardiamo avanti”, dice la giovane leader dei conservatori, e senza dubbio non le è difficile trovar credito e consensi a spese, prima di tutto, della sgangherata truppa dei suoi vice-leader a corto di idee, Salvini e Berlusconi, che di qui al 25 settembre le saranno per forza di cose sempre più avvinghiati e subalterni. Del resto, l’amicizia per la pelle e per gli affari di Silvio con Putin, così come le spericolate liaison della Lega con Mosca — da Savoini fino agli attuali sospetti che il Kremlino non si limitasse a fregarsi le mani durante la crisi del governo Draghi — non sono novità, ma cose che da loro ti aspetti, salvo, semmai, stupirti del contrario. Peccato, però, che dietro la Meloni scalpiti una realtà politica ben diversa, non meno inquietante del passato che lei vorrebbe esorcizzare. Senza ridursi a rimestare nella fanghiglia dei social, dove esponenti leghisti e fratellini d’Italia, al nuovissimo grido ‘Dio, Patria e Famiglia’, fanno a gara a chi è più omofobo e grottescamente reazionario, a smentire le continue dichiarazioni di fedeltà all’Europa e al Patto Atlantico, basta ricordare il caso, incredibile nella sua emblematicità, e infatti minimizzato con visibile imbarazzo dalla Giunta piemontese, dell’assessore alla Cooperazione internazionale, Maurizio Marrone, di FdI. Fino allo scorso ottobre, il sito governativo della autoproclamata Repubblica del Donetsk lo definiva “capo della Rappresentanza dei separatisti filorussi” e in tale veste Marrone aveva aperto un consolato ‘non ufficiale’ nel centro di Torino.

Questi, i fatti. Quanto alle parole, quelle lanciate in Spagna dalla Meloni al ‘Vox Popolo’, poche settimane fa, non erano sbagliate solo per i toni, come lei sostiene in un tardivo e patetico mea culpa per rassicurare gli elettori italiani. Il problema sono i contenuti: i soliti di quel catechismo reazionario che da anni colloca Giorgia in alleanza organica, e a questo punto difficilmente revocabile, con i peggiori ceffi del suprematismo globale. Ad esempio, con il sinistro pagliaccio magiaro, Orbàn, picconatore della democrazia e dell’Unione Europea e professo estimatore di Trump e del suo ideologo Bannon. Molto, dunque, se non tutto, conferma che la destra, a dispetto di quel prefisso ‘centro’ a far da specchietto per le allodole di benpensanti e moderati, non è cambiata: è la solita destra-destra fascista, un’ideologia primitiva che basa il suo successo sulla falsificazione della realtà per renderla semplice, tranquillizzante e tradizionale a chi non ha voglia, o ha paura, di pensarla moderna e complessa; oggi, più che mai, anche sotto il profilo scientifico e tecnologico, con tutto il seguito di negazionismi sociali, ecologici e sanitari che questo ‘riduzionismo sistemico’ induce milioni di sprovveduti ad abbracciare.
La riflessione non sarebbe, tuttavia, completa se non si rivolgesse anche a coloro che da sinistra difendono Putin: quelli che lo ammettono e quelli che lo negano con acrobatici esorcismi pre e postliminari ai loro scritti, ai quali, vorrei, altrettanto non sommessamente, far notare questo. Qualsiasi torto, presente e passato, abbiano commesso l’Occidente, gli Usa e l’Europa — e ne hanno commessi a tonnellate, anche contro l’umanità — la Russia di oggi non è l’Urss. Non è più, se mai lo è stata, quel modello di socialismo reale e internazionalista al suono del cui inno noi, giovani ‘tovarish’, eravamo abituati a scattare in piedi con una lacrima sul viso, postura che, per dirla con Pavlov, alcuni di noi sentono ancora l’irresistibile impulso ad assumere. Incarna, al contrario, uno dei più antiquati, feroci, ignoranti e corrotti dispotismi nella Storia degli ultimi secoli. Una sorta di caricatura mafiosa e ancor più suprematista della Russia imperiale, simile, per molti versi, a quel nazismo che Putin sventola cinicamente come drappo nemico per la sua crociata ultranazionalista e ultraortodossa contro l’Occidente corrotto.

Se questo non bastasse, i guitti al soldo di Mosca, che oggi, pur negandolo, continuano obiettivamente a far di tutto per favorire, non sembrano proprio una compagnia raccomandabile, almeno se le posizioni di sinistra e di destra hanno ancora un minimo valore distintivo. Per questo, rimanderò ancora una volta la rivoluzione a tempi migliori, meglio senza Conte, Di Battista e Grillo, ai quali, per terrore del fuoco amico, non consegnerei neanche una fionda, né ora, in vista delle urne, né mai più, e andrò diritto a votare. © RIPRODUZIONE RISERVATA