I giochi online crescono a vista d’occhio e muovono valori economici colossali: nel 2022 il volume del giocato in Italia era pari a 136 miliardi, oggi si stima che si sia sfondato il muro dei 150 miliardi. Il 70% di questa cifra transita sulla rete in cui la possibilità di cadere nella dipendenza è enormemente superiore rispetto al gioco fisico (sale scommesse, sale gioco, bar, tabaccherie). «Nel 2017, quando si giocavano quasi 50 miliardi in meno di quanto si è giocato nel 2023, le patologie cliniche del gioco compulsivo riguardavano un milione e mezzo di persone, secondo l’Istituto superiore di Sanità», osserva il sociologo Maurizio Fiasco in questa intervista. Fra gli “effetti collaterali”, la distorsione cognitiva: in pratica più perdi e più giochi. «Quanto introita al netto lo Stato? Nel 2022 i ricavi erano stati pari a 10,3 miliardi di euro, in cui confluiscono l’1% dal gioco online e il 20% dal gioco fisico. Oggi saranno più di 11 miliardi». Con le nuove norme pensate dal governo Meloni, in pratica la salute viene subordinata agli interessi fiscali e ai margini di profitto dei concessionari privati


◆ L’intervista di FABIO BALOCCO con MAURIZIO FIASCO, sociologo

Maurizio Fiasco, sociologo già presidente Alea (Associazione per lo studio del gioco d’azzardo)

Maurizio Fiasco è un sociologo, è presidente dell’associazione Alea (Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio) ed esperto della Consulta nazionale antiusura. Il primo motivo di questa intervista con lui è dettato dall’attualità: in questi giorni il governo sta puntando a un riordino del gioco d’azzardo online tramite decreto legislativo, riordino che è destinato a incidere sulla gestione legale del gioco nel nostro Paese. Ma nessuno ne parla. Ci puoi aggiornare al riguardo?

«Per inquadrare quello che sta succedendo oggi a livello legislativo, occorre prendere le mosse dal decreto legge 18/2012 dell’allora ministro della Salute Renato Balduzzi che riconobbe la patologia del gioco d’azzardo e, da allora, si deve correttamente definire non come ludopatia, ma come azzardopatia. In buona sostanza, fino al 2012 il gioco d’azzardo non era riconosciuto come dipendenza. E veniamo al 2018, a un altro decreto legge, l’87/2018, il cosiddetto “decreto dignità”, che, regolamentando ulteriormente il gioco (ad esempio fissando il divieto di pubblicità), prevedeva che l’intero settore dovesse essere regolato e riformato tramite apposito decreto legislativo: “in modo da assicurare l’eliminazione dei rischi connessi al disturbo da gioco d’azzardo e contrastare il gioco illegale e le frodi a danno dell’erario”. Torniamo dunque all’oggi, e alla tua domanda: il decreto così come è stato approvato dal Consiglio dei ministri e che, sottolineo, riguarda solo il comparto online, va in direzione contraria sia alle conquiste legislative precedenti, sia all’indicazione della legge delega, sia, in buona sostanza, alla necessità di contenere il fenomeno del gioco. Infatti, la norma prevede che la governance delle ricadute sociali e sanitarie del settore del gioco si sposti dal ministero della Salute al ministero dell’Economia. In pratica la salute viene subordinata agli interessi fiscali e ai margini di profitto dei concessionari privati. Lo rivela la circostanza che il decreto prevede che anche essi compongano la futura Consulta permanente dei giochi pubblici. In pratica è come se l’emergenza sanitaria di cui lo Stato deve farsi carico passasse in secondo piano rispetto agli introiti che il fisco e i concessionari ricavano dal gioco. E teniamo conto che con il gioco online la possibilità di cadere nella dipendenza è enormemente superiore rispetto al gioco fisico (sale scommesse, sale gioco, bar, tabaccherie). Innanzitutto per il gioco fisico la legge prevede che per sei ore al giorno vi sia una interruzione. Poi nel gioco fisico ti devi spostare da casa, ti devi esporre, puoi essere notato da conoscenti. Nel gioco online tutto si svolge davanti al supporto elettronico e in tempi e con modalità molto rapide».

— Ma quanto guadagna realmente dal gioco lo Stato? Vi sono infatti un tot di effetti indesiderati che potremmo chiamare “danni collaterali” e che vengono taciuti. Innanzitutto quali sono i numeri del volume del gioco e dei guadagni?

«Si sa per certo che nel 2022 il volume del giocato in Italia era pari a 136 miliardi, dopo che aveva avuto una flessione durante il Covid per via della chiusura temporanea delle sale gioco, dove si svolge il gioco fisico. Oggi si stima che si sia sfondato il muro dei 150 miliardi. Tieni conto che nel 2000 il volume era pari a dieci miliardi. Di questi 150 miliardi si stima che circa il 70% oggi transiti sulla rete, ossia nel gioco online. Anche questo è da considerarsi un effetto post-pandemico. Quanto introita al netto lo Stato? Nel 2022 i ricavi erano stati pari a 10,3 miliardi, in cui confluiscono l’1% dal gioco online e il 20% dal gioco fisico. Oggi saranno più di 11 miliardi. Ma dicevi giustamente degli effetti collaterali. Te li elenco, distinguendo tra effetti diretti e immediati, ed effetti indiretti. Effetti diretti: essenzialmente, le patologie cliniche, le dipendenze (Dga). Nel 2017, quando si giocavano quasi 50 miliardi in meno di quanto si è giocato nel 2023, riguardava ben un milione e mezzo di persone, secondo l’Istituto superiore di Sanità. Effetti indiretti: sono rinvenibili in molti comportamenti della vita quotidiana. Innanzitutto, come rilevava l’allora Procuratore della Repubblica Raffaele Guariniello, il giocatore compulsivo tende a non osservare con scrupolo le norme di sicurezza sul lavoro. Poi, nell’ambito familiare, nascono i conflitti e le mancanze, compreso il venir meno all’assolvimento degli obblighi di assistenza familiare, e la caduta del decoro. Poi ancora vi è il sorgere di un comportamento disfunzionale, o criminogeno, tipo l’appropriazione indebita o il furto. Si alimenta il fenomeno del prestito illegale, si alimenta l’usura. E, non ultimo, c’è l’effetto sull’economia, nel senso che il gioco d’azzardo impatta sul volume dei consumi privati e di conseguenza sulla salute dell’economia: pensiamo che su quei 150 miliardi ci sono 23 miliardi di perdita che sono soldi sottratti all’economia sana, in beni e servizi ordinari».

— Quanto abbiamo detto finora riguarda il gioco legale, ma vi è anche un sommerso, il gioco illegale.

«In realtà, la distinzione tra legale e illegale non è più netta come un tempo. Oggi il volume di flusso è talmente alto che lo Stato è impossibilitato a controllare, e succede così che buona parte del gioco legale sia in realtà gestito dalla criminalità organizzata. Il gioco illegale però esiste pur sempre, ma si è evoluto. Nel 2000 c’erano il totonero, le bische clandestine, le scommesse clandestine. Questo modello è stato sostituito da un altro modello. Ad esempio imponendo l’acquisizione da parte del gestore di slot machine presso una certa ditta; oppure dirottando i clienti sul territorio da piattaforme legali di scommesse a piattaforme illegali con un semplice switch tecnologico. E vi è da sottolineare che nel campo del gioco il crimine rischia molto meno, dal punto di vista penale, che in altri traffici illeciti. Oltre al fatto che è prevista una pena molto inferiore rispetto a quella prevista per altri reati, poi i magistrati sono sguarniti di mezzi e non possono utilizzare ad esempio le intercettazioni se la fattispecie di reato riguarda il puro gioco d’azzardo. Permettimi però anche di ricordare a margine che si sta estendendo il fenomeno, pur legale, del betting exchange: cioè la possibilità di scommesse tra privati, semplicemente aprendo una piattaforma con la registrazione del nome del titolare, piattaforma su cui formalizzare le offerte. In buona sostanza, oggi non occorre più essere concessionari per essere gestori di tali scommesse. Si tratta di numeri impressionanti. Nel 2021 il volume del betting exchange era pari a 2.4 miliardi di giro d’affari, sicuramente ora saranno più di 4 miliardi. Da queste transazioni quanto ricava lo Stato? Una cifra irrisoria: ricava meno dell’1 per mille, per esattezza lo 0,98 per mille. E un terzo delle transazioni tra privati avvengono tra Italia ed estero».

Torniamo al gioco online: viene da pensare che esso favorisca il potenziale accesso anche ai minorenni.

«In realtà, nel 2018 l’Istituto Superiore di Sanità aveva stimato che almeno una volta all’anno circa 700.000 minori avevano avuto accesso al gioco fisico. Da ciò se ne evince che il divieto di accesso ai minori viene eluso perché la rete di gioco è troppo capillare perché la mano pubblica la possa controllare. Chiaro che all’online è ancora più semplice accedere per un minore appropriandosi dell’identità di altra persona».

Veniamo al divieto di pubblicità del gioco che era previsto dal decreto dignità. In realtà si assiste, soprattutto sui canali televisivi a pagamento, alla pubblicità dei siti camuffati da notiziari, ma soprattutto all’esposizione delle quote sulle partite. Non è forse questa una forma di pubblicità?

«Il divieto di pubblicità in realtà fu innocuizzato dall’Agcom con una delibera dell’aprile successivo che diede un’interpretazione singolare alla norma, definendo come una semplice comunicazione commerciale la diffusione delle quote delle scommesse. Ed oggi la stessa Figc chiede che sia totalmente rimosso il divieto di pubblicità affinché le squadre possano combattere i loro deficit. Questo appare tanto più inopportuno alla luce di quanto emerso l’anno scorso in merito ai calciatori dediti al gioco d’azzardo. E qui mi riallaccio a quanto dicevo sopra, e cioè che con il gioco online è estremamente probabile cadere nella dipendenza, specie se si scommette. Ormai infatti si scommette su tutta la durata dell’evento sportivo. Si scommette su tutto, viene fatto uno spezzatino in microeventi su cui si può scommettere. Ad esempio nel calcio quanti falli, quanti cartellini, quanti pali o traverse. Nel tennis quanti lob, quanti ace, e così via. E questo è possibile proprio grazie al fatto che la quotazione della scommessa ti arriva sul terminale mobile su cui tu stai guardando l’evento sportivo, che diventa l’equivalente di una slot machine, e così appunto diventa esponenziale la possibilità di diventare dipendenti. La Figc dovrebbe chiedere di eliminare tale possibilità che sta rovinando proprio alcuni dei suoi aderenti, piuttosto che preoccuparsi di ripristinare la pubblicità del gioco».

Un’ultima domanda, anche se ci sarebbe da parlare per ore. Ritieni che l’aumento dei giocatori sia una cartina al tornasole delle sempre più disagiate condizioni economiche di buona parte degli italiani?

«Sicuramente buona parte dei giocatori compulsivi ha redditi bassi, talora vive anche in condizioni di povertà. Tieni presente al riguardo un aspetto di carattere psichico di cui poco si parla, che è la distorsione cognitiva del gioco d’azzardo, che favorisce il gioco proprio nelle persone che hanno meno risorse economiche. Mi spiego meglio: le distorsioni cognitive sono modalità disfunzionali di elaborazione che determinano e/o sostengono comportamenti problematici. Nel campo del gioco d’azzardo, le distorsioni cognitive si presentano come convinzioni errate, che facilitano il coinvolgimento ripetuto nel gioco nonostante le perdite. In quanto tali, esse hanno un ruolo cruciale nello sviluppo e nel mantenimento di comportamenti di gioco problematici. In pratica, più perdi e più giochi».

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Nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (attualmente in quiescenza), si è sempre battuto per difesa dell’ambiente e problematiche sociali. Ha scritto “Regole minime per sopravvivere” (ed. Pro Natura, 1991). Con altri autori “Piste o pèste” (ed. Pro Natura, 1992), “Disastro autostrada” (ed. Pro Natura, 1997), “Torino, oltre le apparenze” (Arianna Editrice, 2015), “Verde clandestino” (Edizioni Neos, 2017), “Loro e noi” (Edizioni Neos, 2018). Come unico autore “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino” (Edizioni Neos, 2017), “Lontano fa Farinetti” (Edizioni Il Babi, 2019), “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo” (Edizioni Neos, 2019), “Belle persone. Storie di passioni e di ideali” (Edizioni La Cevitou, 2020), "Un'Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare" (Edizioni Il Babi, 2022). Ha coordinato “Il mare privato” (Edizioni Altreconomia, 2019). Collabora dal 2011 in qualità di blogger in campo ambientale e sociale con Il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Natura & Società e Volere la Luna.