Giovanni Malagodi, segretario del Partito liberale italiano dal 1954 al 1972, poi presidente del partito fino al 1977; sotto il titolo, il Palazzo delle Arti liberali di Saluzzo

Nata in una famiglia saluzzese dalle solide tradizioni liberali, Maria Lodovica Gullino si sofferma su una appartenenza politica che rischia di estinguersi. Offre alcune riflessioni etiche e sociali che hanno voci sempre più flebili, partendo dalla definizione di se stessi: il liberale cuneese era piuttosto elitario, di buona famiglia, spesso imprenditore o dirigente, appartenente alla medio-alta borghesia, pochi erano i cosiddetti “arricchiti”. Fortemente anticlericale, anzi mangiaprete, come si dice dalle sue parti. Aperto alle innovazioni, credeva (e crede) nell’essere più che nell’avere (anche e forse perché comunque aveva ed ha). Con un gran senso del dovere, che prevale sui diritti e con un forte attaccamento al lavoro. Che spazio può avere ancora una cultura politica un po’ calvinista in un Paese “socialconfuso” come l’Italia d’oggi che lo spirito critico ce l’ha in gran dispetto?


◆ L’intervento di MARIA LODOVICA GULLINO

Sono stata per molti anni un dipendente pubblico (un civil servant, amo questa definizione anglosassone), con incarichi istituzionali che mi hanno sempre suggerito di evitare qualsiasi presa di posizione di natura politica o partitica. Questa stessa condizione di civil servant mi ha fatto sentire più che mai il dovere di andare a votare, anche rientrando appositamente dall’estero quando ero una giovane borsista, ai tempi in cui non era possibile votare a distanza. Ho sempre collaborato, a livello istituzionale, con tutte le persone chiamate a ricoprire cariche politiche, senza alcun problema e senza farmi condizionare dalle mie idee. E ho sempre coltivato amicizie con persone con visioni anche diametralmente opposte alle mie, sempre nel rispetto delle diverse opinioni. Anzi, arricchendomi dal confronto. Anche perché sono stata cresciuta coltivando quello che oggi si chiama pensiero critico (un tempo definito più prosaicamente capacità di ragionare con la propria testa). Ora che mi sento più libera da vincoli istituzionali, desidero condividere alcune riflessioni che da tempo mi accompagnano e che, per qualche tempo mi hanno anche rattristata. 

Luigi Einaudi nelle campagne cuneesi con la moglie Donna Ida Pellegrini

Sono nata in una famiglia saluzzese, dalle solide tradizioni liberali. Nelle mie vene scorre sangue liberale. Cosa significa tutto ciò? Significa sentirsi rappresentati da quel partito il cui simbolo era “la bandiera” e che aveva nell’onorevole Giovanni Malagodi il politico di riferimento. Purtroppo parecchi dei suoi successori non sono più stati, a mio modesto parere, per motivi diversi (troppo opportunisti, troppo bigotti) alla sua altezza. Il liberale cuneese era certamente piuttosto elitario, di buona famiglia, spesso imprenditore o dirigente, appartenente alla medio-alta borghesia, pochi erano i cosiddetti “arricchiti”. Fortemente anticlericale, anzi mangiaprete, come si dice dalle mie parti. Forse anche un po’ snob nel suo desiderio di stare in un partito elitario, senza confondersi nei partiti di massa di allora.  Aperto alle innovazioni, credeva (e crede) nell’essere più che nell’avere (anche e forse perché comunque aveva/ha). Con un gran senso del dovere, che prevale sui diritti e con un forte attaccamento al lavoro. Un po’ calvinista, insomma. Con una certa affinità per Giovanni Spadolini e Ugo La Malfa (ma non per tutti i repubblicani), considerati votabili in assenza di valide alternative nel nostro partito.

Matteo Renzi e Carlo Calenda, l’ultimo tentativo abortito di aggregare l’area moderata di centro

Quel mondo è finito e per lungo tempo i liberali hanno faticato a identificarsi totalmente in un partito. Tappandoci il naso, o, almeno, una narice, abbiamo a volte votato Dc, quando proprio, a nostro parere, non se ne poteva fare a meno. Scomparsa la tanto amata bandiera, a tratti ci siamo ritrovati nella Forza Italia di Antonio Martino e pochi altri e ora di Antonio Tajani. Forse, in certi momenti, chi si avvicinava di più a noi liberali, pur tra mille eccessi, erano i radicali di Marco Pannella. Da qualche tempo ci sono, fortunatamente, tentativi, non sempre di successo, di creare una casa comune per i moderati, nella cui ampia (e spesso confusa) categoria, credo si possano collocare i liberali. I tanti e purtroppo molto diversi moderati dovrebbero trovare il modo di ritrovarsi in una casa comune. Certamente un liberale, per giunta cuneese, non si può ritrovare con estremisti di ogni tipo, perché, ad esempio, non può accettare posizioni negazioniste (vedi alcuni atteggiamenti no-vax durante la pandemia da Covid 19). Facciamo fatica a riconoscerci in aggregazioni più recenti perché troppo raffazzonate e opportunistiche. Non ci piace neppure associarci a formazioni di area troppo bigotta. Sì, siamo fortemente elitari. 

Riassumendo non ci piacciono gli estremisti di ogni tipo, i bigotti, i negazionisti, chi grida e insulta, i radical-chic. Forse, però, è venuto il momento di fare un piccolo sforzo per cercare di essere propositivi nel contribuire a costruire un’area in cui possiamo ritrovarci. Ben vengano quindi alcune proposte e esempi che derivano dall’ultima tornata elettorale, che hanno dimostrato che attorno a persone serie e non troppo egocentriche ci si può aggregare. Credo che, soprattutto nel mio Piemonte, ci siano stati interessanti segnali che, con lo sforzo di tutti, potrebbero portare alla costruzione di una casa in cui tutti i moderati possano convivere. Liberali compresi. Per evitare quello che in caso contrario sarà il nostro destino: l’estinzione. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Da molti anni si occupa con passione di salute delle piante all’Università di Torino, dove è stato ordinario di Patologia vegetale e Vice-Rettore. Figlia di imprenditori agricoli e imprenditrice lei stessa, oltre che docente universitario, ha vissuto, studiato e lavorato per lunghi periodi all’estero. Quando non è in viaggio si divide tra Torino, dove ha fondato e diretto per più di vent’anni il Centro di Competenza Agroinnova dell’Università di Torino e la Liguria, dove collabora con l’Università di Genova. E’ anche giornalista pubblicista e ama molto leggere, scrivere e comunicare. A fianco dei lavori e libri scientifici, ha voluto cimentarsi con una scrittura più lieve. Cominciando con “Spore” (Daniela Piazza Editore, 2014), cui sono seguiti, sempre con lo stesso editore, nel 2015 un libro per ragazzi, “Caccia all’alieno” e nel 2016 “Valigie: cervelli in viaggio”. Nel 2018 ha pubblicato, con Gabriele Peddes, un libro a fumetti “Angelo, il Dottore dei Fiori” con Edagricole, Business Media. In occasione dell’Anno Internazionale sulla Salute delle piante ha pubblicato “Healthy plants, healthy planet” (FAO), tradotto in numerose lingue. Nel 2021 ha pubblicato Spores (Springer). Nel 2021, con Ilaria Borletti Buitoni e Ilaria Capua ha fondato weTree, Associazione che ha lo scopo di valorizzare le piante, l’ambiente e le donne e dal 2023, con Antonio Pascale, organizza a Torino, ColtivaTo, il Festival Internazionale dell’Agricoltura.