Le associazioni di categoria già parlano di una lesione alla libera concorrenza e studiano un’impugnativa che paralizzi il corpo di norme che non considera il cinema come istituzione socioculturale che porta in sé valori artistici, antropologici, storici e politici, quindi come patrimonio del mondo, ma lo riduce ad una categoria essenzialmente economica da valutare in base a meri criteri di mercato. Le 2100 proiezioni minime previste dal decreto del ministro Sangiuliano, sono numeri da “Tolo Tolo” di Checco Zalone ma non certo per casi come “La Chimera” di Alice Rohrwacher ed altri film di qualità pluripremiati a livello internazionale. E riappare l’ombra del Minculpop, col 50% dei fondi destinati a un cinema (film e documentari) orientato ideologicamente su “personaggi ed avvenimenti dell’identità culturale nazionale italiana”
◆ Il commento di ANNALISA ADAMO AYMONE
► Non depone mai a favore la circostanza che la pubblicazione di un decreto arrivi a natale o ferragosto. Si ha subito l’idea che si voglia evitare quella certa attenzione mediatica capace di mettere in moto il dissenso dell’opinione pubblica e l’opposizione degli interessati, specie se il titolare del dicastero è già salito agli onori della cronaca per la scarsa qualità delle politiche pubbliche messe in campo. La stretta al cinema, che può trasformarsi in un ‘de profundis’ per il cinema indipendente delle piccole e medie attività produttive, ha trovato spazio nel bollettino del 14 agosto scorso nel pieno degli ozii vacanzieri e delle distrazioni estive. Se da un lato era da tempo che bisognava mettere fine ad alcune storture del settore, la riforma tradisce fortemente le aspettative non solo in merito al metodo che si vorrebbe adottare per la loro risoluzione, ma altresì per il vantaggio che le maggiori compagini produttive di fatto ne ricaverebbero da un simile sistema così fortemente sbilanciato verso gli standard commerciali piuttosto che su quelli autoriali, innovativi e sociali.
Le associazioni di categoria già parlano di una lesione alla libera concorrenza e studiano un’impugnativa che paralizzi il corpo di norme che non considera il cinema come istituzione socioculturale che porta in sé valori artistici, antropologici, storici e politici, quindi come patrimonio del mondo, ma lo riduce ad una categoria essenzialmente economica da valutare in base a meri criteri di mercato. La condizione di accesso ai fondi diventa una seriale e proibitiva distribuzione in sala i cui numeri danno l’idea di una politica orientata alla quantità piuttosto che alla qualità. Le 2100 proiezioni minime previste dal decreto del ministro Sangiuliano, sono numeri da “Tolo Tolo” di Checco Zalone ma non certo per casi come “La Chimera” di Alice Rohrwacher. Malgrado abbia avuto prestigiose presentazioni a festival internazionali ottenendo premi alla Chicago International Film Festival, al Valladolid International Film Festival e al Telluride Film festival, premiato con l’European film Awards per la migliore scenografia, candidato a tredici David di Donatello nel 2024, vincitore al Festival di Cannes del premio Afcae, inserito tra i cinque migliori film stranieri dalla National Board of Review del 2023, nel dicembre 2023 − a causa di una sostanziale assenza nelle sale cinematografiche italiane − il film fu oggetto di un accorato video messaggio della regista volto ad ottenere una maggiore disponibilità delle sale a proiettare la pellicola. Solo dopo i numerosi riconoscimenti internazionali e nazionali il film cominciò ad avere una distribuzione più consona al valore del film.
Questo caso paradossale non è stato unico ma risulta emblematico per quanto riguarda la possibilità che un’opera possa essere inizialmente cassata dal sistema e da una prima scelta, per poi trovare riconoscimenti e sostegno fuori dal sistema stesso. Tornando agli aspetti più salienti della riforma del Tax credit si evidenzia il trattamento di privilegio per i film che superano la selezione della commissione per il loro valore artistico culturale essendo previsto un numero sensibilmente più basso di uscite in sala (240 uscite a fronte delle 2100 per i film con budget sopra i 3,5 milioni o le 980 proiezioni sotto i 3,5 milioni). Se l’alto valore culturale può apparire un rassicurante criterio scriminante tra il finanziabile e non finanziabile con annessi privilegi di produzione e distribuzione, il sistema non regge ad un’analisi più approfondita se si pensa che circa la metà dei fondi sono destinati a un cinema (film e documentari) orientato ideologicamente su “personaggi ed avvenimenti dell’identità culturale nazionale italiana”. Sembra un nostalgico ritorno al MinCulPop, ministero della Cultura popolare della propaganda del Ventennio. © RIPRODUZIONE RISERVATA