Dei due obiettivi messi al centro della recente visita a Tel Aviv di Joe Biden, quello di rassicurare Israele sulla sua sicurezza militare, dopo la barbarica aggressione subita dal Paese, è stato raggiunto. Sul contenimento della reazione rabbiosa dell’esercito con la stella di Davide che assedia Gaza, prima di intraprendere una strada senza ritorno, il giudizio è ancora sospeso e resta appeso a un sottilissimo filo. Lo spiega molto bene Thomas L. Friedman (tre premi Pulitzer) sul “New York Times”. E, a suo giudizio, «Israele sta per compiere un terribile errore», come recita il titolo del suo articolo. Può dirlo dall’alto della sua vita professionale in Medio Oriente, da ebreo e alla luce della sua esperienza di reporter sul campo durante la guerra civile libanese e la prima intifada in Cisgiordania condensata nel suo libro “Da Beirut a Gerusalemme” con cui ha vinto un National Book Award. E la grande stampa italiana? Scopiazza malamente o è dedita a vivisezionare lo squallore di Casa Meloni


◆ Il commento di BATTISTA GARDONCINI *

Purtroppo, quando non è impegnata a vivisezionare gli aspetti più squallidi della relazione tra i due tamarri nazionali, la grande stampa italiana trova anche il tempo per occuparsi delle guerre in Ucraina e in Palestina. Lo fa da par suo, scopiazzando a destra e a manca – di questi tempi per la verità più a destra che a manca – e inondandoci di commenti a senso unico, firmati dagli stessi tuttologi che nel corso degli anni si sono improvvisati virologi, teologi, ecologisti, scienziati nucleari e, naturalmente, allenatori della nostra disastrata nazionale.

Sul prestigioso quotidiano statunitense l’analisi lucida e spietata del terribile errore che Israele dovrebbe evitare per la sua stessa sicurezza; sotto il titolo, quel che resta in una porzione di Gaza City dopo un bombardamento israeliano e il grande reporter Thomas L. Friedman; qui in basso, una lunga fila dei tank Merkava che assediano la Striscia di Gaza dopo gli attacchi barbarici di Hamas all’alba del 7 ottobre sul territorio israeliano (foto Abir Sultan/Epa)

Così, sembra di respirare una boccata di aria pura quando capita di leggere qualche giornale vero, come il New York Times, che nei giorni scorsi ha proposto una interessante riflessione su Israele firmata da Thomas L. Friedman. Uno che può permettersi di avere un’opinione, perché ha passato gran parte della sua vita professionale in Medio Oriente e nel frattempo ha vinto tre premi Pulitzer e un National Book Award con il libro “Da Beirut a Gerusalemme”. Friedman è ebreo, e il titolo del suo articolo è “Israele sta per fare un terribile errore”. Ecco perché.

Friedman parte dalla visita del presidente Biden in Israele, che aveva due obiettivi. Il primo era quello di esprimere vicinanza dopo la barbarica aggressione subita dal paese ad opera di Hamas, anche garantendo i necessari aiuti militari, ed è stato raggiunto. Sul secondo, quello di invitare gli israeliani a contenere la rabbia e a pensarci tre volte prima di intraprendere una strada senza ritorno, il giudizio resta purtroppo sospeso a un filo che può rompersi da un momento all’altro. Per convincere Netanyahu Biden ha ricordato i disastrosi risultati della viscerale reazione degli Stati Uniti dopo l’attentato alle Torri Gemelle, finita con l’inglorioso ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan. Ma secondo Friedman questo non è stato sufficiente a far cambiare idea a un interlocutore prigioniero di se stesso, della sua coalizione di governo profondamente influenzata dall’estrema destra, e dei falchi dell’esercito assetati di vendetta.

Nessuno nega la legittimità di una reazione israeliana – spiega Friedman citando fonti dell’amministrazione Biden – ma si tratta di agire nel modo giusto. Invadere Gaza con l’unico obiettivo di distruggere Hamas è una scelta incoerente e suicida, ed è esattamente quello che Hamas e i suoi alleati, l’Iran e la Russia, vogliono. A parte il rischio di non riuscirci e di restare invischiati in una guerra lunghissima e dall’esito incerto, con una azione di questo genere Israele rinuncerebbe in modo definitivo all’unica via praticabile per stabilizzare la regione: la ricerca di un accordo con l’ala moderata dei palestinesi per la creazione di due stati di pari dignità, e l’emarginazione dei falchi nei due schieramenti. Un accordo che dovrebbe necessariamente passare per un diverso atteggiamento nei confronti dell’Autorità palestinese, e per il blocco degli insediamenti illegali dei coloni israeliani nella West Bank.

Secondo Friedman – ma ci sono buone ragioni di ritenere che l’imbeccata gli sia venuta da molto in alto – Netanyahu dovrebbe riconoscere i rischi materiali, umani e soprattutto politici, di una operazione mirata a distruggere Hamas una volta per tutte, e puntare invece su una operazione più limitata, condotta con i mezzi dell’intelligence, per giungere alla liberazione degli ostaggi. Ma non è detto che lo faccia, o abbia la forza per farlo. Si vedrà nei prossimi giorni, forse nelle prossime ore. Intanto – dice Friedman – la situazione si sta rapidamente deteriorando, e il rischio di un allargamento del conflitto cresce ai confini con il Libano degli Hezbollah e nel Mar Rosso, dove la marina degli Stati Uniti ha intercettato alcuni missili diretti verso Israele, o forse verso le forze americane dislocate in Iraq e in Siria. E resta, ovviamente, la grande incognita dell’Iran. 

Il tempo è poco – conclude Friedman – e io non sono mai stato così preoccupato per una situazione che potrebbe sfuggire di mano in molti modi, e danneggiare irreparabilmente Israele, gli interessi americani, quelli palestinesi e quelli degli ebrei ovunque nel mondo. Prego Biden di intervenire ancora su Israele, per il suo bene, per il bene dell’America, per il bene dei palestinesi e per il bene del mondo.

Fin qui Friedman e non c’è da aggiungere altro. Chapeau. © RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) L’autore dirige oltreilponte.org

Giornalista, già responsabile del telegiornale scientifico Leonardo su Rai 3. Ha due figlie, tre nipoti e un cane. Ama la vela, la montagna e gli scacchi. Cerca di mantenersi in funzione come le vecchie macchine fotografiche analogiche che colleziona, e dopo la pensione continua ad occuparsi di scienza, politica e cultura sul blog “Oltreilponte.org”.