Naftali Bennet e Yair Lapid saranno alla guida di Israele due anni ciascuno

Dopo più di dodici anni consecutivi al potere (esercitato con cinico egoismo), il primo ministro più longevo della storia di Israele potrà ora dedicarsi ad affrontare i meritati processi: per corruzione, frode e abuso di potere. Otto partiti di opposizione hanno raggiunto un accordo di maggioranza che comprende 62 deputati: dalle destre di Yamina, Yisrael Beitenu, Tikva Hadasha ai centristi di Yesh Atid e Kahol Lavan, alla sinistra di HaAvoda e Meretz fino al partito arabo islamico Ra’am. Una svolta assoluta nei 73 anni di vita della nazione mediorientale. Perché la coalizione decolli, anche le frange islamiche più radicali e militarizzate di Gaza devono rinunciare al “tanto peggio tanto meglio”


L’analisi di CARLO GIACOBBE / 

In Israele ci sono state cinque elezioni politiche negli ultimi due anni

NON CREDO CHE, ad eccezione di qualche decina di intellettuali illuminati, in Israele ci siano molti politici, e ancor meno elettori, in grado di decodificare un’allusione a Eugenio Montale per inquadrare la svolta nella vita pubblica dello Stato ebraico, svolta verificatasi (sul filo di lana) nelle ultime ore. Eppure, per capire ciò che è accaduto, due celebri versi del nostro grande poeta sembrano fatti apposta: “Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” 

Intanto, come succede talvolta nei quiz, vorrei partire dalla seconda parte, la più facile. Ciò che gli israeliani non vogliono più è Benjamin Netanyahu, detto Bibi. Un diminutivo che oggi non suona per nulla vezzeggiativo, semmai come un suo sarcastico contrario. Dopo più di dodici anni consecutivi al potere (esercitato con cinico egoismo) preceduti da tre anni di premiership tra il 1996 e il 1999, il primo ministro più longevo della storia di Israele potrà ora dedicarsi ad affrontare i meritati processi: per corruzione, frode e abuso di potere. Un altro processo fuori dalle aule del tribunale, quello della storia, verrà celebrato con modalità e tempi che, almeno per ora, esulano dal nostro umano giudizio. I tre capi di imputazione, che seguono altrettanti iter giudiziari separati, gli hanno già fatto guadagnare l’appellativo poco lusinghiero di “crime minister”.

Gli otto leader della nuova maggioranza di governo

La sua estromissione, del resto, era nell’aria da lungo tempo. Almeno dagli ultimi due anni, in cui gli israeliani sono stati chiamati alle urne ben quattro volte, senza che si riuscisse a comporre una coalizione che alla Knesset, il parlamento di Gerusalemme, ottenesse il sostegno della maggioranza dei 120 parlamentari. La notte del 2 giugno scorso, poco prima della scadenza della mezzanotte, otto partiti di opposizione hanno finalmente raggiunto un accordo di maggioranza che comprende 62 deputati. Un margine certamente risicato, ma che è stato sufficiente al presidente (uscente) Reuven Rivlin per affidare l’incarico alla nuova coalizione, che nel giro di una settimana, per non vanificare il paziente lavoro compiuto, deve ottenere la fiducia della maggioranza parlamentare. 

Questa formazione include partiti molto lontani tra loro: dalle destre di Yamina, Yisrael Beitenu, Tikva Hadasha ai centristi di Yesh Atid e Kahol Lavan, alla sinistra di HaAvoda e Meretz fino al partito arabo islamico Ra’am. Partecipazione, quest’ultima, che rappresenta una svolta assoluta nei 73 anni di vita della nazione mediorientale e che, avendo quattro seggi,  sarà cruciale per la tenuta del nuovo governo. Questo partito, che benché si ispiri agli ideali musulmani è tra le formazioni arabo-israeliane e anche quelle palestinesi il meno restio ad affrontare in modo costruttivo i rapporti tra le due popolazioni araba ed ebraica, nelle scorse settimane è stato corteggiato anche dallo stesso Netaniahu, che con l’appoggio fondamentale dei partiti religiosi ebraici sperava, sbagliando, di ottenere i numeri sufficienti in modo da restare alla guida del governo come capo del Likud. 

In alto, Isaac Herzog (laburista) e, in basso, Mansour Abbas (Ra’am, partito arabo islamico)

La coalizione appena formatasi si regge, in sostanza, su tre leader: Yair Lapid, di Yesh Atid, cardine politico del progetto che ha estromesso Nataniahu, Naftali Bennett di Yamina e l’arabo Mansour Abbas di Ra’am. Esponenti di tre entità politiche lontane tra di loro ma che, per le strane alchimie alle quali ci ha abituati la politica israeliana, forse saranno capaci di ottenere la quadratura del cerchio. Cerchio che abbraccia a 360 gradi tutto l’arco costituzionale israeliano (si sarebbe detto un tempo con il lessico politico italiano), eccezion fatta per Likud e partiti confessionali. Se, come si ritiene, la Knesset concederà la fiducia, il nuovo esecutivo prevede un’alternanza: sino al settembre del 2023 sarà premier Bennett, seguito sino alla fine della legislatura, per i successivi due anni, da Lapid. 

Per tornare all’altra poetica citazione dell’inizio, “ciò che non siamo”, bisogna accettare che, in linea col cambio di tendenza planetario, si è registrato ovunque un “ripiegamento a destra” marcato e (ad avviso mio e di molti altri) pernicioso almeno quanto il deterioramento climatico. Per restare a Israele, e fermandosi a un’analisi appena di superficie, non è più lo stato fondato maggioritariamente dagli “olim” (nuovi immigrati) provenienti dalla mitteleuropa askenazita e sostenuto (anche economicamente) da non poche élites sefardite; non più il paese dello Histradrut, la potente e gloriosa centrale sindacale, oggi ridotta alla larva di se stessa; non più il paese dei kibbutz e dei moshav, le due forme di collettivismo agricolo nonché modelli di vita associativa e di istruzione dei ragazzi; non più il paese in cui capi di governo e fondatori dello stato come David Ben-Gurion, Golda Meir, Menachem Begin, Yitzhak Rabin o Chaim Herzog hanno esercitato il potere in forma etica e discreta. Soprattutto non hanno abusato dei privilegi inerenti alle loro cariche né durante né, ancora meno, dopo la scadenza dei loro mandati. Oggi un figlio di Herzog, il laburista Isaac, sta per tornare a occupare la massima magistratura dello Stato: è stato eletto 11/o Presidente di Israele con 87 voti, 26 contrari e sette astenuti. Una maggioranza più che bulgara, per quel paese. 

Oltre alla fiducia alla Knesset, condizione necessaria perché la coalizione decolli, naturalmente bisogna che anche le frange islamiche più radicali e militarizzate di Gaza rinuncino per una volta a demonizzare i deputati di origine palestinese che trattando con Israele sostengono la coalizione, e che smettano la consueta strategia del “tanto peggio tanto meglio”. Una ripresa delle ostilità e delle pesantissime puntuali ritorsioni che ne deriverebbero farebbe saltare gli equilibri così delicatamente conseguiti e, forse, riporterebbe in sella Bibi, obbligando la nazione ebraica a una scelta “pessima e consapevole” come è già accaduto varie volte. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Mi divido tra Roma, dove sono nato, e Lisbona, dove potrei essere nato in una vita precedente. Ho molte passioni, non tutte confessabili e alcune non più praticabili, ma che mai mi sentirei di ripudiare. In cima a tutte c'è la musica, senza la quale per me l'esistenza non avrebbe senso. Non suono alcuno strumento, ma ho studiato canto classico (da basso) anche se ormai mi dedico (pandemia permettendo) al pop tradizionale, nei repertori romano, napoletano e siciliano, e al Fado, nella variante solo maschile specifica di Coimbra. Al centro dei miei interessi ci sono anche la letteratura e le lingue. Ne conosco bene cinque e ho vari gradi di dimestichezza con altrettante, tra vive, morte e, temo, moribonde. Ho praticato vari generi di scrittura; soprattutto, ma non solo, saggi e traduzioni dall'inglese e dal portoghese. Per cinque anni ho insegnato letteratura e cultura dei Paesi lusofoni alla Sapienza, mia antica alma mater. Prima di lasciare, con largo anticipo, l'Ansa e il giornalismo attivo, da caporedattore, ho vissuto come corrispondente e inviato in Egitto, Stati Uniti, Canada, Portogallo, Israele e Messico. Ho appena pubblicato “100 sonétti ‘n po’ scorètti", una raccolta di versi romaneschi. Sono sposato da 40 anni con Claudia e insieme abbiamo generato Viola e Giulio