L’ARTICOLO SULLE CONDIZIONI dei lavoratori in Qatar nella costruzione delle strutture per i mondiali di calcio questa volta sono i lavoratori stessi a redigerlo. Parlano, descrivono le loro condizioni di lavoro e di vita. I problemi della loro famiglia, l’angoscia per il futuro. Non sono molte le parole di speranza, prevale una visione dell’esistenza segnata dalla povertà a cui è quasi impossibile sfuggire. Sono cose che non riguardano solo il Qatar ma un mondo, il mondo dei milioni di poveri. Il calcio ha fatto, senza volerlo, parlare di loro. Nel leggere le tante parole dedicate alla novità Qatar — la corruzione, il cinismo della Fifa, le enormi strutture preparate in un lampo di tempo, gli incidenti — si rimane esterrefatti. Del lavoro si parla pochissimo, di morti sul lavoro o per il lavoro quasi un danno collaterale, gli accordi fatti e non rispettati. Ma chi doveva farli rispettare? Aleggia il fantasma della fatalità, anche quello del “non esageriamo” del cinico presidente della Fifa. «La vita migliorerà per i lavoratori migranti del Qatar ora che la Coppa del Mondo è finita», scrive “Open Democracy”. Cosa si aspettano ora? La risposta è tragica: “continueremo come sempre a subire la stessa vita. A cercare il Qatar, l’isola che non c’è”, dicono in sostanza i lavoratori che hanno eretto i monumenti del Campionato del mondo di calcio più caro di tutti i tempi. Il racconto di Pramod Acharya su “Open Democracy” del 19 dicembre 2022 è nel link che segue: https://www.opendemocracy.net/en/beyond-trafficking-and-slavery/does-life-get-better-for-qatars-migrant-workers-once-the-world-cup-ends/?utm_source=oD. — (rassegna stampa a cura di Toni Ferigo) © RIPRODUZIONE RISERVATA
sabato 25 Gennaio 2025
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