
In apertura di Cop27 a Sharm el Sheik, il segretario Onu, Antonio Guterres, ha configurato il cammino che abbiamo davanti come «una strada verso l’inferno, che stiamo facendo col piede che spinge sull’acceleratore». E propone, per salvare il mondo, uno «storico patto di solidarietà climatica» volto ad accelerare la riduzione delle emissioni entro questa decade, a partire dall’impegno delle più grandi economie del pianeta, Stati Uniti e Cina: «C’è solo una scelta: cooperare o morire, solidarietà climatica o suicidio collettivo». Una sfida tremenda, nella quale porre l’identità di un futuro comune. Una sfida che il Centrosinistra non è riuscito neanche a coniugare politicamente. E se davvero si vuole dare un senso in questa prospettiva alla “sovranità energetica”, secondo un vocabolario caro alla Meloni, che “sovranità” è far decidere la politica energia-clima, e non solo, al ceo dell’Eni, Descalzi, come ha fatto lo stesso Draghi? È qui che ci può essere un rinnovamento vero, non finzioni identitarie
L’editoriale di MASSIMO SCALIA
“SICUREZZA ENERGETICA” SEMBRA lo slogan adottato dalla premier Meloni a evocare una “sovranità energetica” che espliciti in modo identitario l’innovazione rappresentata dal suo Governo. E di bisogno identitario ce ne deve essere parecchio, perché mentre i sondaggi continuano a promuovere sia la Meloni, come presidente del Consiglio, che la sua forza politica, le grandi scelte di economia e politica estera continuano a muoversi nel solco tracciato da Draghi [leggi qui].

Qui val la pena aprire una piccola parentesi per auspicare che, facendo l’Italia parte della Ue, anzi essendo un socio fondatore, i lagni sui pericoli per la democrazia incombenti a causa del governo della Destra facciano un passo indietro. Cosa diversa sono le critiche puntuali e documentate agli atti del governo e ad alcuni suoi personaggi d’accatto, ma la democrazia è saldamente presidiata. Non solo dalla maggioranza degli Italiani — sarebbe pura demenza autolesionista regalarla, quale patrimonio esclusivo, ai partiti sconfitti alle elezioni — ma dallo stesso stare nella Ue, con il rispetto di quelle regole e procedure democratiche che, certo tra contrasti e qualche sbavatura, ne sono il cuore fondante. Non a caso Orbán è considerato il paria che è, leader di un Paese la cui storia recente è peraltro profondamente diversa da quella dell’Italia, nata dalla Resistenza.
Del resto, di tentativi identitari di ‘ampio respiro’ ce ne sono stati più d’uno. Proprio a proposito di “energia” — e anche la Meloni sarà bene che si abitui a coniugare l’endiadi “energia-clima”, in questo non seguendo l’esempio negativo di Draghi — viene subito in mente quello di Berlinguer, pochi anni dopo il primo grande shock energetico mondiale, quello del ’73 conseguente alla guerra del Kippur. La «austerità», propose il leader del Pci, doveva essere sottratta al monopolio culturale della ruling class per diventare un valore della classe operaia, in grado di sovvertire la deriva consumistica, i bisogni indotti dal mercato capitalistico e «porre le basi del superamento di un sistema in crisi strutturale». La proposta suscitò molte polemiche a sinistra del Pci, ma anche al suo interno, e venne messa in burla dai “creativi” del Movimento del ’77, che sfilavano con sai e finte croci sulle spalle salmodiando: “Sacrifici”. In realtà era animata da un’intuizione anticipatrice sul declinare epocale di risorse, nell’orgia di sprechi e consumi crescenti, ma sviata da un’esigenza, giustappunto, identitaria. Gli sfracelli economici e sociali compiuti in nome dell’“austerità” di Maastricht, e del “Washington consensus”, erano di là da venire e il global warming, causato primariamente dal crescente ricorso ai combustibili fossili, era peggio di Carneade.

Ma se allora l’esigenza identitaria fece premio su una riflessione molto più ampia, forse prematura ma illuminante, oggi l’accelerazione del cambiamento climatico non consente davvero spazi “identitari”. In preparazione della Cop15 di Copenaghen (2009), l’allora presidente della Ue, José Manuel Barroso, non certo un barricadero, segnalò drammaticamente la possibilità di una catastrofe climatica entro questo nostro secolo. Oggi, in apertura di Cop27, il segretario Onu, Antonio Guterres, ha configurato il cammino che abbiamo davanti come «una strada verso l’inferno, che stiamo facendo col piede che spinge sull’acceleratore». E propone, per salvare il mondo, uno «storico patto di solidarietà climatica» volto ad accelerare la riduzione delle emissioni entro questa decade, a partire dall’impegno delle più grandi economie del pianeta, Stati Uniti e Cina: «C’è solo una scelta: cooperare o morire, solidarietà climatica o suicidio collettivo».
Non essendo detrattori a prescindere, tanto meno intimiditi dalla Destra al Governo, sentiamo però con un qualche disgusto l’odore dolciastro di melensi commenti giornalistici sulle proposte della premier, a partire dal dare fondo alle risorse nazionali di gas — pochi per cento del fabbisogno, e per pochi anni —, che incrociano la tradizionale voglia di salire sul carro del vincitore con la nodosa ignoranza dominante nella grande stampa, Tv inclusa. Che hanno relegato il tema cardine del secolo, energia-clima, nel sensazionalismo degli orsi bianchi che non sanno più dove posare sui ghiacci sciolti dell’Artico. O in ottimi servizi, accuratamente lontani dal primetime. Giornalisti, poi, che sbiancano davanti a un’equazione di primo grado ma che discettano, senza patemi, di scienza, microbiologia, energia e clima nei vari contenitori del preoccupante analfabetismo di ritorno.

Con questo andazzo del “quarto potere”, in Italia segnato da particolare arretratezza, si accresce per ogni governo la difficoltà di realizzare le politiche indispensabili, da collimare in un’azione collettiva di Stati, che — sollecita Guterres — «devono sostenere a livello finanziario e tecnico la transizione energetica nelle economie emergenti e in via di sviluppo», con l’obiettivo di «mettere fine alla dipendenza da combustibili fossili entro il 2030 nei Paesi ricchi ed entro il 2040 in tutto il resto del mondo».
Una sfida tremenda, nella quale porre per davvero l’identità di un futuro comune. Una sfida che il Centrosinistra non è riuscito neanche a coniugare politicamente. E se davvero si vuole dare un senso in questa prospettiva alla “sovranità energetica”, secondo un vocabolario caro alla Meloni, che “sovranità” è, allora, far decidere la politica energia-clima, e non solo, al ceo dell’Eni, Descalzi, come ha imperturbabilmente fatto lo stesso Draghi? È qui che ci si può attendere un rinnovamento vero, non finzioni identitarie. Perché è del tutto inaccettabile — e Italia Libera l’ha spiegato per mesi, dati alla mano — lasciare alla guida del Mascellone quella che Guterres ha definito la «nostra unica speranza», quando da Cop27 ha sollecitato tutti i Paesi del mondo allo «storico patto di solidarietà climatica». © RIPRODUZIONE RISERVATA