Next Generation Eu e Recovery Plan erano stati pensati per non ritrovarci allo stesso punto di partenza nella pandemia prossima ventura. L’esito? A gennaio il Piano predisposto prevedeva 4 miliardi di euro per le Case di comunità: una ogni 24,5 mila abitanti, con medici di base e specialisti per ricostruire il Servizio sanitario falcidiato dai tagli. Da Conte a Draghi i fondi si sono però dimezzati. E nel 2024 torniamo dietro Germania, Francia, Svezia, Olanda e Gran Bretagna, come prima della pandemia. Risale, manco a dirlo, la sanità privata (2% del Pil): il doppio della Francia. E rispunta persino il Ponte sullo Stretto, eterno ritorno dei venditori di fumo, nell’area geologicamente più pericolosa del continente
L’editoriale di IGOR STAGLIANÒ /
A SCINTILLARE, fra alti squilli di tromba quotidiani, rimangono le mostrine del generale Figliuolo, affetto da “annuncite” acuta. Persino il fragore dei fuochi d’artificio per il governo dei migliori si è placato. E il Pnrr è partito finalmente per Bruxelles, ma non è detto che non ci torni indietro, come ci è stato spiegato su queste pagine. Ora che i mortaretti tacciono, possiamo soffermarci su due argomenti seri: sanità e lavoro.
La Next Generation Eu e il Recovery Plan erano stati pensati per non ritrovarci allo stesso punto di partenza nella pandemia prossima ventura. L’esito? Parlano i numeri. A gennaio il Piano predisposto prevedeva 4 miliardi di euro per le Case di comunità: una ogni 24,5 mila abitanti, con medici di base e specialisti per ricostruire la rete del Servizio sanitario falcidiata dai tagli. Da Conte a Draghi i fondi si sono però dimezzati, e c’è pure il taglio di un punto di Pil. Secondo i calcoli del Forum per il diritto alla salute, col 6,3% del prodotto interno lordo nel 2024 torniamo dietro Germania, Francia, Svezia, Olanda e Gran Bretagna, come prima della pandemia. Risale, manco a dirlo, la sanità privata (2% del Pil): il doppio della Francia, tanto per capirci.

E quali danze si stanno orchestrando sull’altro fronte più caldo, quello produttivo? I numeri qui ci dicono che alle imprese saranno trasferiti 50 miliardi di euro, tra Pnrr e fondi complementari. Aggiunti agli investimenti in costruzioni (il 32,6%), assommano a più della metà (51,6%) dei fondi europei complessivi. A fine aprile si sono poi aggiunti altri 30 miliardi del fondo complementare e 25 miliardi di extra deficit. Da qui verranno fuori ben 13 miliardi per la “transizione 4.0” esclusa da Bruxelles perché i progetti prospettati «arrecano danni significativi agli obiettivi ambientali».
Per l’Italia, il Pnrr dovrebbe essere l’occasione giusta per ricostruire le capacità produttive colpite dalla crisi pandemica, puntando la barra verso uno sviluppo sostenibile sul piano ambientale, avanzato sul piano tecnologico, equilibrato tra i territori del Paese. Eppure, se ci venisse qualche dubbio su dove pende la bilancia Draghi − ben oltre la perentoria marcia indietro imposta in poche ore al ministro del Lavoro Orlando sui licenziamenti post Covid −, lo stesso decreto di fine aprile annuncia ulteriori 10 miliardi per l’Alta Velocità Salerno-Reggio Calabria: per risparmiare mezz’ora di percorrenza rispetto alla linea attuale? E potrebbe pure andar bene se, in parallelo, viaggiassero meglio i treni dei pendolari e si elettrificasse, tanto per dirne una, la ferrovia jonica Reggio-Taranto, oggi a binario unico e col ciuf ciuf a gasolio. Buttati lì, quei 10 miliardi sono, invece, solo una testa di ponte puramente “concettuale” per scavalcare mentalmente lo Stretto di Messina con una bella campata di 3.300 metri, tra Scilla e Cariddi. Mentre il cavallo campa e l’erba cresce, si potranno predisporre, però, i sub-sub-sub appalti “semplificati”, utilissimi in territori appestati dalla criminalità organizzata.

A quanto pare, il magazziniere di Caltanissetta – pesce-pilota di Di Maio –, al secolo Giancarlo Cancelleri, da sottosegretario al ministero delle Infrastrutture avrebbe convinto pure Giuseppe Conte della necessità di un ulteriore approfondimento tecnico. Come se non fosse già bastato il quasi miliardo di euro inghiottito da studi preliminari e contenziosi nell’arco di cinquant’anni. Brutta storia, questa del Ponte sullo Stretto, eterno ritorno dei venditori di fumo, nell’area geologicamente più pericolosa dell’intero continente. Una polpetta avvelenata messa sul tavolo di Enrico Giovannini, che tante aspettative ha suscitato fra chi la transizione ecologica l’ha presa sul serio. La cuoca? Paola De Micheli, suo predecessore. E ci siamo detti tutto. © RIPRODUZIONE RISERVATA