In uno specchio di mare di 131 mila metri quadrati a ridosso della costa tarantina è in costruzione il primo Parco eolico offshore del Mediterraneo, con torri di centodieci metri di altezza e rotori di 135 metri di diametro. La produzione energetica è stimata in 55.600 MWh annua. Il progetto di Renexia del Gruppo Toto aveva avuto i pareri contrari della Regione Puglia, del Comune di Taranto e della Soprintendenza, superati con sentenze del Tar di Lecce e, successivamente, del Consiglio di Stato. Di piantare le pale eoliche nelle aree industriali (dismesse e no), manco a pensarci. A due chilometri di distanza da dove i progettisti pensano di catturarne il fiato, forse Eolo smetterebbe di spirare? Meglio mettere le mani sull’ultimo lembo ancora integro del paesaggio tarantino frequentato ancora da delfini e procellarie
L’analisi di ARTURO GUASTELLA

“YES, BUT NOT in my courtyard”. Locuzione inglese, questa, abbondantemente usata, quando si vuole stigmatizzare la contraddizione tra la necessità di costruire qualcosa, un impianto, un termovalorizzatore, un qualcosa di utile alla comunità e che comporta un qualche disagio (sacrificio) ambientale, a patto che non venga costruito nel nostro territorio. Succede, però, che il “court yard”, il cortile di Taranto sia già strabocchevole di impianti, che, come è stato ampiamente dimostrato, collidono pericolosamente, non solo con la salute dei cittadini tutti, ma, particolarmente, di quelli più indifesi: i bambini. Così aver saputo che lo Stato considera strategica per il nostro Paese la produzione di acciaio nello stabilimento siderurgico più grande d’Europa, non consola gli sfortunati abitanti della città bimare, del picco dei tumori che colpisce non solo i lavoratori dell’Ilva, ma anche gli abitanti tutti. Nell’arco di 14 anni (Studio epidemiologico Sentieri, pubblicato nel sito del ministero dell’Ambiente), dal 2002 al 2015, sono nati a Taranto seicento bambini malformati, e si sono registrati oltre 40 tumori in età pediatrica e nel primo anno di vita.
Altro impianto “strategico, ma inquinante”, è stato lo stabilimento della Cementir, dismesso solo qualche anno fa, dopo aver riempito di polveri sottili il cielo della città di Archita. Dal 1964, inoltre, il courtyard di Taranto, si era impreziosito (sic!) con la gigantesca raffineria dell’Eni, dove viene convogliato, in enormi cisterne, anche il petrolio che proviene dalla Basilicata, con un carico incalcolabile di inquinanti. Tanto che, esattamente 21 anni fa, nel 2002, il ministero dell’Ambiente si rese conto della necessità di regolare l’emissione di questi veleni per la salute umana, stabilendo, per legge, le quantità di policlorodibenzodiossina e policlorodibenzofurani”, mentre nel 2010, a livello nazionale, è stato presentato il Dlgs 155/2010 volto al contenimento dei livelli di benzo(a)pirene]. Nel 2012, poi, la Giunta Regionale della Puglia, con DGR 1980/2012 ha adottato il Piano Straordinario Salute Ambiente per la provincia di Taranto, con norme di emissioni ancora più stringenti.

Nonostante questo grido di allarme ambientale, nel 2007 l’Eni ha presentato il progetto «Taranto Plus» per ottenere la Via (Valutazione di Impatto Ambientale) per l’ampliamento della capacità di lavorazione da 6,5 a 11 milioni di tonnellate l’anno di greggio, ma l’autorizzazione fu negata a causa delle criticità ambientali dell’area di Taranto. Malgrado questo diniego, successivamente è stato presentato il progetto Tempa Rossa, riguardante lo stoccaggio e lo spostamento del greggio proveniente dalla Basilicata presso la raffineria Eni e il porto di Taranto. Il progetto Tempa Rossa è stato definitivamente approvato dal Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) nel 2012. Contro il progetto Tempa Rossa il “Comitato Legamjonici”, in collaborazione con “Greenaction International”, ha denunciato al Parlamento Europeo la violazione del D.Lgs.334/1999 relativo alla direttiva Seveso (96/82/CE) [11] «relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose», e ha chiesto la revoca del decreto di compatibilità ambientale rilasciato dal ministero dell’Ambiente.
A seguito di questa petizione (n.1107/2011), il Parlamento Europeo ha avviato un’inchiesta chiedendo alla Commissione Europea lo svolgimento di un’indagine preliminare. Nel gennaio 2013 il Parlamento Europeo ha discusso la petizione e ha deciso di proseguire con una indagine più approfondita in seguito alle informazioni acquisite. Nel febbraio 2013, è stato depositato presso il comune di Taranto il rapporto preliminare di sicurezza per l’ottenimento del N.O.F. (Nulla Osta di Fattibilità). Il Comitato Tecnico Regionale, accogliendo le osservazioni del “Comitato Legamjonici”, ha fissato delle prescrizioni alle quali l’azienda dovrà ottemperare. D’accordo, dunque, il cortile di Taranto è già pieno.

Accidenti, c’è, però, la sua piscina, il Golfo di Taranto, in Mar Grande. E poco importa che lo specchio d’acqua sia ancora, e stranamente, frequentato da delfini, procellarie e che, poco vicino, ci siano gli impianti per la coltivazione dei mitili. Così, in nome dell’energia green, cui nessuno può opporsi, per non essere tacciato come fautore dell’energia fossile, è stato progettato ed è in avanzata fase di realizzazione, un mega Parco eolico. Si tratta di un investimento di ottanta milioni di euro di fondi privati che fanno capo a Renexia, che, a sua volta, ha inglobato i progetti del gruppo Toto; occuperà uno specchio di mare di ben 131 mila metri quadrati, pari ad 1,31 chilometri quadrati, a un paio di chilometri dalla costa. La produzione energetica è stimata in circa 55.600 MWh annua, mentre l’intero progetto prevede installazioni monopalo sul fondale, con torri di oltre centodieci metri di altezza e rotori con ben 135 metri di diametro. Progettato dagli ingegneri, padre e figlio, Luigi e Alessandro Severini, che hanno firmato anche i progetti di altri due parchi in Sicilia e in Sardegna, la realizzazione di questa altra “perla” nel courtyard tarantino, aveva avuto i pareri contrari della Regione Puglia, del Comune di Taranto e della Soprintendenza, poi superati con sentenze del Tar di Lecce e, successivamente, del Consiglio di Stato.
«Qualcuno — ha commentato il consigliere regionale salentino, Paolo Pagliaro, che si è opposto ad un parco eolico “floating” al largo di Otranto — ha avuto la faccia tosta di affermare che oltre all’occupazione, ne potrà beneficiare anche la pesca, grazie alle zone d’ombra delle pale». Ora il cortile di Taranto, ha un’altra “piscina”, il Mar Piccolo. Avanti, dunque, con altri progetti analoghi. Piantare le pale eoliche nelle aree industriali manco a pensarci; eppure la sola Ilva ha una superficie industriale di 1545 ettari. A due chilometri di distanza da dove gli ingegneri Severini pensano di catturarne il fiato, forse Eolo smetterebbe di spirare? © RIPRODUZIONE RISERVATA