
I giovanissimi di “Nucleare & Ragione” sono il nuovo nel vecchio dibattito tra favorevoli e contrari all’energia da fissione. Centocinquanta gli iscritti, metà sotto i ventisei anni. Negli ultimi mesi hanno mobilitato un migliaio di coetanei ai festival della Scienza e nelle giornate per la Ricerca: spiegano “i perché e i per come” della loro scelta di campo. Gli evangelici trentatré anni di media, suonerebbero profetici per la catechesi pro-atomo, in un confronto che nei toni e nelle metafore riporta all’Armageddon, lo scontro finale tra le forze del Bene e del Male. Quasi tutti laureati o diplomati in materie scientifiche, non si considerano né profeti, né crociati dell’energia da fissione e dichiarano che l’obiettivo dell’associazione è parlare non per parabole, ma con i fatti
L’inchiesta di MAURIZIO MENICUCCI
«SONO I FATTI ad averci convinto, partendo quasi tutti da posizioni critiche, o di forte dubbio su questi impianti, che nessuna fonte energetica, anche la più sostenibile, è perfetta, e a nessuna si può rinunciare, senza farsi del male. Tantomeno all’atomo, che, nonostante tutto quel che si dice e si scrive, ha causato e causerà incomparabilmente meno vittime e meno danni ambientali di tutte le altre energie». Colonna portante del loro sì, è la certezza che il futuro della fissione nucleare, per “gli altri” troppo lontano, se non impossibile, è già il presente. «I reattori sicuri e con poche scorie ci sono. Dunque è sbagliato dire che non possono servire, anzi sono indispensabili per affrontare tempestivamente il riscaldamento del clima. Al contrario, la fusione potrà dare energia illimitata, ma non è così innocente come la dipingono. Ad ogni modo, è una strada tutta da sperimentare su grandi scale: nel migliore dei casi sarà produttiva solo per la fine del secolo».

Ad argomentare così, con il coraggio — l’impudenza? — di chi sa di gettare un macigno nello stagno già molto agitato delle polemiche, è Matteo Monfrini, 35 anni, diplomato in meccatronica, progettista di stufe ad alta prestazione energetica in Treviglio. È lui, anche per il suo “profilo-tipo”, il delegato a raccontare di questo movimento, nato a Trieste nell’aprile del 2011, un mese dopo l’incidente di Fukushima, 24 anni dopo Chernobyl e 32 dopo Three Miles Island, per iniziativa di un gruppo di giovani ricercatori e tecnici dell’Università, che intendevano «sottrarre il dibattito alla tempesta delle emozioni». «Ho aderito un anno fa, dopo alcuni mesi di appoggio esterno alle attività del gruppo, in un periodo che tra l’altro, forse perché la pandemia aiuta a riflettere, ha visto raddoppiare gli iscritti». Pochi, ma molto attivi, stanno ridando slancio alle iniziative dell’Ain, l’Associazione Italia per il Nucleare, che dal 1958 è la casa madre di tutti gli atomisti di casa nostra.
L’appello alla Ragione è il loro segno: «Il nostro avversario non è chi di dice no e però accetta di mettere sul tavolo le proprie idee. È chi pretende di farlo per ideologia e scaglia anatemi e falsità di facile presa, spesso per manovre di bassa politica, sottraendosi alla fatica, e alla complessità, di un confronto sui dati». Il riferimento ai partiti pianta un paletto vistoso nel terreno della diatriba: «Siamo apolitici, e non può essere diversamente, visto che si tratta di tecnologie. Proprio per questo, chi dice che i nuclearisti sono di destra e viceversa sostiene l’ennesima sciocchezza per liquidare il tema. Io, per esempio, sono sempre stato su posizioni di sinistra: moderata e autocritica, certo, ma comunque distante anni luce da ogni populismo. Del resto, il nuclearismo del centrodestra italiano mi pare di maniera: dichiarazioni a orecchio, tanto per fare opposizione, ma nulla di serio e informato. Liberi, poi, di cavalcare, come tutti gli altri partiti, la protesta dei nimby nelle piazze, non appena se ne presenta l’occasione, come sta succedendo per il deposito nazionale delle scorie radioattive e la carta Cnapi, che individua i siti candidati a ospitarlo».

Affermare la generale ignoranza sull’argomento non vuol dire, per gli aderenti a N&R, rivendicare il diritto di parola ai soli esperti, ma, al contrario, impegnarsi a diffondere le informazioni a un livello adeguato, né troppo semplice, né troppo alto, per far decollare il dibattito. «Noi facciamo molta attenzione a uscire da un linguaggio che spesso è troppo tecnico per arrivare a tutte le orecchie». Così, da un festival della Scienza, come a Genova, alle Giornata per il Clima, spesso a braccetto con l’Avvocato dell’Atomo, Luca Romano, «un fisico nucleare che ogni tanto i colleghi no-nuke scambiano per un vero legale — ma lei che ne sa? — e mal gliene incoglie, perché ne sa», i N&R non perdono occasione per fare cultura scientifica. Nel frattempo, «cerchiamo punti d’incontro con qualcuno della variegata compagine verde che ci degni di attenzione, visto che, sia per noi, sia per loro, il primo impegno dell’agenda climatica dovrebbe essere eliminare i combustibili fossili».
In Italia, per ora, gli ambientalisti non hanno offerto sponde. «Se all’interno si è levata qualche voce critica, è stata subito sacrificata sull’altare dell’ortodossia. All’estero, invece, le medesime sigle che qui dicono di no, ad esempio i “Friday For Future” di Finlandia e Polonia, si erano dette favorevoli ad accettare l’atomo nella tassonomia verde, l’imminente elenco europeo delle fonti rinnovabili, sostenibili e finanziabili. Da poco, anche un guru dell’ecologismo internazionale, come Geffrey Sachs, consigliere del segretario generale dell’Onu per il clima, ha ribadito la necessità di guardare con attenzione agli sviluppi di queste tecnologie, che già oggi raggiungono ottimi livelli di sicurezza. E la stessa Greta Thurnberg, alla Cop26 di Glasgow, ha detto che le negatività del nucleare oggi si riducono alla gestione delle scorie radioattive e al costo per realizzare l’impianto».

Anche così, non sembra proprio una dichiarazione d’amore e nemmeno un semaforo verde, né da parte di Sachs, né da parete di Greta, ma Monfrini non elude le questioni. «La Russia ha fatto tesoro dell’incidente di Chernobyl e oggi, sta già realizzando centrali intrinsecamente sicure, cosiddette di quarta generazione, che autofertilizzano e quindi riciclano il combustibile, producendo un volume ridottissimo di scorie, tanto che si ricaricano ogni mezzo secolo. E la Corea del Sud, sta sviluppando reattori europei del tipo Epr, cioè raffreddati ad acqua pressurizzata, è in grado costruire centrali di terza generazione molto evolute in quattro anni, e non nei quindici che i no-nuke sbandierano per continuare a battere sull’insostenibilità economica della fissione».
Poi, ci sono i minireattori, sui quali, però, N&R invita a moderare gli entusiasmi. “Si possono spostare facilmente, perciò sono molto adatti ai territori isolati. Inoltre, la modularità permette grandi potenze con minor rischio in caso d’incidente. Il loro Tallone d’Achille è che il costo cresce al ridursi della taglia”. Eppure, sono i minireattori ad aver spinto Bill Gates dal campo degli obiettori a quello dei finanziatori dell’energia da fissione con la sua gigastartup TerraPower. Che fate, Monfrini, vi sparate sui piedi? “Cerchiamo di essere coerenti. Non inseguiamo il mito della soluzione unica, né siamo innamorati dell’atomo. Valutando, però, costi, rischi e benefici, non possiamo permetterci il lusso di eliminarlo dal ventaglio delle energie sostenibili, perché da sole non basteranno a tirarci fuori dalla crisi climatica. E a proposito di tassonomia, anzi, a sproposito: molte voci, giornalisti compresi, alimentano il timore che il nucleare possa sottrarre i fondi del Pnrr alle altre rinnovabili, ma non è così. La questione, ora, riguarda solo i finanziamenti privati”. © RIPRODUZIONE RISERVATA