Leila (Arienne Mandi), la judoista iraniana in una scena di Tatami

In sala dal 4 aprile, il film è un thriller sportivo adrenalinico con tinte da drama politico, presentato nella sezione Orizzonti alla Biennale di Venezia 2023. Narra la corsa di Leila alla medaglia d’oro nel campionato mondiale di Judo a Tbilisi in Georgia. Inizialmente sostenuta dalla sua allenatrice Maryam (Zar Amir Ebrahimi, regista e interprete protagonista), Leila dovrà scontrarsi non solo sul tatami, ma anche contro il governo iraniano che vuole costringerla a ritirarsi dalla competizione per non doversi scontrare con la judoista israeliana, e rischiare di essere sconfitta così dal Paese nemico. Le due donne dovranno far fronte ad un dilemma: rinunciare al campionato o lottare contro l’autoritarismo sociale e l’oppressione politica?


◆ L’anteprima di GIULIA FAZIO

Un deliberato atto di fratellanza e disobbedienza civile: è la scelta compiuta da Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi, un regista israeliano e una regista iraniana, nella co-direzione del lungometraggio Tatami. Una scelta ancora più eclatante data la situazione politica in Medioriente con cui esprimono l’esplicita volontà di denunciare l’oppressione attraverso un racconto, tratto da storie realmente accadute, di ostinazione e tenacia sportiva. Presentato nella sezione Orizzonti alla Biennale di Venezia 2023, il film ha suscitato favore di pubblico e critica, e dopo l’anteprima avvenuta l’8 marzo in occasione della Festa delle Donne, sarà in sala dal 4 aprile.

Tatami è ambientato durante un campionato mondiale di Judo in Georgia, e vede Leila, una judoista iraniana, interpretata da Arienne Mandi, concorrere per la medaglia d’oro. La judoista è sostenuta con fervore dalla sua allenatrice Maryam (Zar Amir Ebrahimi), tuttavia, dopo le prime gare vittoriose, ricevono l’ordine dalla Repubblica Islamica di ritirarsi, per non scontrarsi ed evitare la possibilità di perdere contro la sfidante israeliana. Maryam e Leila sprofondano in un turbine di pressione e terrore: la prima costantemente tartassata e intimata di far obbedire la sua prediletta; la seconda spinta a rinunciare al sogno per cui si allena da sempre. Ebrahimi, già vincitrice a Cannes 2022 come miglior attrice protagonista in Holy Spider di Ali Abbasi, regala una performance sensazionale. Arienne Mandi non è da meno nell’interpretazione di una donna, madre e moglie, ma soprattutto sportiva, che non vuole piegarsi alle imposizioni del proprio Paese. La narrazione viene infatti intervallata da momenti di quotidianità familiare, mostrando al pubblico la sua vita fuori dal tatami – tappeto in cui i judoisti combattono.

I due registi Zar Amir Ebrahimi (seconda da sinistra) e Guy Nattiv (al centro) sul set del film, nelle sale dal 4 aprile

Il successo di Leila, e la sua corsa all’oro, vengono ostacolati dal governo iraniano che intimidisce le due donne, minacciandole di torturare i loro cari. Maryam abbandonerà la propria judoista a bordo tatami, mentre Leila ignorerà le minacce e deciderà di proseguire la gara. Ma a quale costo? L’opera oscilla costantemente tra il dramma politico e il thriller sportivo in un conflitto che trascende il campionato e si addentra nei territori della libertà individuale. Scontrarsi con il sistema sarà così l’incontro più complesso e decisivo. Girato in bianco e nero, la fotografia di Todd Martin accentua i contrasti visivi, dando risalto alla sensazione di oppressione e censura. L’assenza di colore esalta inoltre le figure delle judoiste, cui movimenti sembrano una danza armonica più che uno scontro fisico. La narrazione è coadiuvata da un commentatore che spiega dettagliatamente cosa accade durante i matches, intuizione interessante per agevolare il pubblico di non esperti, fornendo così suggerimenti sul regolamento e le mosse adoperate; a volte però inutilmente didascalico.

Sul tatami si combatte per l’oro, ma anche contro un governo che sottopone le donne iraniane a una serrata persecuzione, controllo, intimidazione e carcerazione. Pressione magistralmente interpretata da Ebrahimi: la donna si aggiusta nervosamente il velo per non far fuoriuscire neanche una ciocca di capelli, gesto esplicativo di una paura soffocata. In un momento decisivo del film, invece, Leila si troglierà l’hijab – copricapo che anche le sportive sono costrette a indossare – simbolo del controllo, e conseguentemente di liberazione da quest’ultimo. Vincere, più che in qualsiasi altro film, non è un’opzione: in ballo c’è più di una medaglia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Classe 1994. Aspirante sceneggiatrice e critica cinefila anarchica. La grande passione per la Storia e la Letteratura la portano a laurearsi in Triennale in Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Catania con una tesi in Letterature Comparate dal titolo Jules e Jim, dal romanzo al film. Invece, per assecondare l’altra passione - il cinema - decide di laurearsi in Magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi di Roma Tre. Collabora con alcuni Festival del cinema in Italia e in Canada; e svolge il ruolo di selezionatrice e giurata. La passione per la Settima Arte si affianca a quella per l’Arte e la Letteratura, e non immagina un mondo in cui la cultura muoia senza lottare.