Francesco D’Andria, archeologo e accademico dei Lincei

La Città dei Due Mari non è soltanto acciaio e fumi mefitici e può sperare in un futuro diverso, se solo volesse valorizzare quelle vestigia che le derivano dal suo illustre passato. Ridare a Taranto e al suo futuro una parte di quei monumenti che testimoniano il suo straordinario passato di capitale magnogreca, anche solo attraverso il parziale recupero dell’Anfiteatro romano, significherebbe percorrere la strada vincente già percorsa vent’anni fa da Lecce. Il recupero dei monumenti teatrali nella città salentina, così come a Metaponto e in Turchia, è avvenuto proprio ad opera del professor D’Andria, archeologo stimato in tutto il mondo. A favore del recupero si sono già pronunciate le quattro Università pugliesi (Unibari, Politecnico, Foggia e Unisalento) disposte a mettere in campo le loro migliori professionalità per dare un seguito all’accorato appello dell’accademico dei Lincei tarantino. Basteranno a smuovere qualche coscienza torpida, se non peggio, a Palazzo di Città? Si può e si deve contribuire a disegnare per Taranto un futuro più articolato, che attinga dal suo nobilissimo passato offrendo anche quelle risorse culturali che purtroppo sono state fin qui neglette


◆ L’articolo di ARTURO GUASTELLA

“Philotimo” è una delle parole più affascinanti del greco antico (ma anche di quello moderno) e l’etimo si compone delle parole “filòs”, amico e “timi”, onore, ed quasi intraducibile nella nostra lingua. Semplificando, il termine “philotimo” sta ad indicare un intreccio molto complesso di virtù, il desiderio di fare le cose al meglio delle proprie possibilità per il bene comune. Insomma quello che gli Anglosassoni sogliono chiamare “the right way of life”. E “philotimo” mi è venuto in mente a inizio settimana mentre il prof. Francesco D’Andria, in una conferenza stampa organizzata con Gianni Liviano, rivolgeva un appello accorato per il progetto di un recupero almeno parziale dell’Anfiteatro romano di Taranto, i cui resti giacciono sepolti, insieme ad un insopportabile e maleodorante ciarpame, sotto il cemento del parcheggio dell’omonima via. 

Le vestigia dell’anfiteatro romano di Taranto sepolte sotto una coltre di cemento e asfalto di un parcheggio

Francesco D’Andria, uno degli archeologi più illustri dell’intera Europa, e Accademico dei Lincei, in questa sua iniziativa è mosso solamente dal suo “philotimo”, che è anche amore sviscerato per la sua città e la speranza di poter smuovere qualche coscienza torpida, se non peggio, e contribuire a disegnare per Taranto un futuro più articolato, che attinga dal suo nobilissimo passato per offrire anche quelle risorse culturali che, purtroppo sono state fin qui troppo neglette. Del resto, è quasi passato un lustro, quando il prof. D’Andria scrisse un articolo sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” per avvertire che Taranto non era soltanto acciaio e fumi mefitici, ma che avrebbe anche potuto sperare in qualcosa di diverso, se solo avesse potuto valorizzare quelle vestigia che le derivavano dal suo illustre passato. E, sull’argomento, scrissero, sempre sulla “Gazzetta”, il fior fiore dell’archeologia italiana ed europea: da Emanuele Greco a Piergiovanni Guzzo, da Dieter Mertens a Grazia Semeraro. E la ex Soprintendente Barbara Davidde e Giuliano Volpe, e l’ex Ministro dei Beni Culturali, Massimo Braj e la ex Soprintendente archeologica della Calabria, Irene Berlingò, e molti altri archeologi e architetti e storici e giornalisti, tutti concordi che almeno qualcosa andava fatto per ridare a Taranto e al suo futuro una parte di quei monumenti che testimoniavano il suo straordinario passato. Tutti interventi che non hanno avuto la minima udienza a Palazzo di Città. 

Certo di un parziale recupero dell’Anfiteatro romano di Taranto se ne era parlato una ventina di anni fa, con una serie di riflessioni e di ricerche cartografiche del compianto prof. Nicola Cippone, senza che nessuno, tranne pochi, fosse disposto ad andare oltre qualche bella parola solidale. E, tuttavia, l’intervento del prof. Francesco D’Andria, ha una ben diversa caratura, nel senso che viene da uno studioso che del recupero di monumenti teatrali, a Lecce, come altrove (a Metaponto e in Turchia) ha un’esperienza diretta e che è riuscito a mobilitare gran parte del mondo accademico, se è vero che le quattro Università pugliesi (Unibari, Politecnico, Foggia e Unisalento), si sono dette disposte a mettere in campo le loro migliori professionalità per dare un seguito al suo accorato appello. E cadrebbe in grave errore chi pensasse che questa iniziativa di Francesco D’Andria, sia un semplice velleitarismo culturale, una sorta di onanismo cattedratico, senza riscontri di natura turistica e, perciò stesso, economica per Taranto. E l’esempio, viene ancora da Lecce, dove i suoi quattro monumenti teatrali attirano una valanga di turisti, qualificandola, anche oltre il barocco, una città d’arte tout court. 

Foto degli scavi eseguiti nel 1961 e, al centro, il disegno dell’ovale dell’Anfiteatro romano di Taranto

“Se non ora, quando?”, verrebbe da dire a questo punto, parafrasando Primo Levi. Anche perché la raccolta di firme, avviata dal prof. D’Andria e dall’ex assessore regionale Liviano, ha destato l’attenzione delle migliori università italiane (fra cui, La Sapienza, Pisa, Urbino, Cosenza, ecc.) e di mezza Europa. E questo interesse si spiega anche con un’altra benemerita eccellenza della città di Archita: il Museo Archeologico Ma.r.Ta., sicuramente il più importante per l’archeologia del nostro Mezzogiorno e il Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, che nei decenni della sua vita ha visto venire a Taranto studiosi e studenti di tutto il mondo, che da sempre si sono meravigliati per la scarsità a Taranto di evidenze archeologiche. La speranza più immediata?  Oltre a quella che la nuova Soprintendente archeologica, Francesca Paolillo, possa raccogliere l’appello di Francesco D’Andria (e la sua professionalità e la sua esperienza sul campo del Parco Archeologico dell’Appia Antica, fanno ottimamente sperare), è anche quella che il “philotimo” possa finalmente fare il suo ingresso anche a Palazzo di Città e che il Primo Cittadino possa farlo suo ed uscire, finalmente, da quel torpore ipnotico che sembra aver colpito un po’ tutti.  Per occupare il ruolo di protagonista che, in questa vicenda, spetta proprio al capo della massima assise cittadina. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giornalista dal 1971. Ha alternato la sua carriera di biochimico con quella della scrittura. Ha diretto per 14 anni “Videolevante”, una televisione pugliese. Ha tenuto corrispondenze dall’Italia e dall’estero per “Il Messaggero”, “Corriere della Sera”, “Quotidiano”, “La Gazzetta del Mezzogiorno” per la quale è editorialista. Con la casa editrice Scorpione, ha pubblicato “Fatti Così” e, con i Libri di Icaro, “Taranto - tra pistole e ciminiere, storia di una saga criminale”, scritto a due mani con il Procuratore Generale della Corte d’Assise di Taranto, Nicolangelo Ghizzardi. Per i “Quaderni” del Circolo Rosselli, ha pubblicato, con Vittorio Emiliani, Piergiovanni Guzzo e Roberto Conforti, “Dossier Archeologia” e, per il Touring club italiano, i “Musei del Sud”.