
Pierre è un operaio socialista delle ferrovie. Rimasto vedovo, si prende cura dei figli con grande dedizione. Il minore, Louis, eccelle nello studio, il maggiore, Fus, non ha completato gli studi, gioca a calcio e frequenta gli ambienti del tifo organizzato, dove si avvicina all’estremismo nero: per lui il mondo si divide tra gli amici e i nemici, i francesi e gli immigrati, i poveri come suo padre e i ricchi che lo sfruttano. Una contrapposizione che ha come unico esito possibile la violenza del figlio e la solitudine interiore del genitore
◆ La recensione di BATTISTA GARDONCINI *
► Aveva tutto per piacere: un tema di bruciante attualità, una trama senza fronzoli e personaggi travolti da circostanze più grandi di loro. Invece non mi ha entusiasmato, e sono uscito dalla sala con la fastidiosa sensazione che a volte si prova davanti alle occasioni perse. Sto parlando di “Noi e loro”, delle registe francesi Delphine e Muriel Coulin, adattamento del romanzo “Quel che serve di notte“ di Laurent Petitmangin, pluripremiato in Francia.
Pierre è un operaio delle ferrovie. Rimasto vedovo, si prende cura dei figli con grande dedizione. Il minore, Louis, eccelle nello studio e, a prezzo di grandi sacrifici, ottiene l’ammissione alla Sorbona e si trasferisce a Parigi. Il maggiore, Fus, non ha completato gli studi, gioca a calcio e frequenta gli ambienti del tifo organizzato, dove si avvicina all’estremismo nero. I rapporti tra lui e il padre, socialista convinto, si guastano, e in breve, nonostante qualche goffo tentativo di dialogo e gli sforzi del figlio minore, i due smettono di parlarsi. Il “Noi e loro” del titolo fa riferimento a questa drammatica incomunicabilità generazionale, e anche alle convinzioni di Fus, per il quale il mondo si divide tra gli amici e i nemici, i francesi e gli immigrati, i poveri come suo padre e i ricchi che lo sfruttano. Una contrapposizione che ha come unico esito possibile la violenza.
Due sono gli elementi che a mio avviso indeboliscono questo interessante impianto narrativo. L’artificiosità di alcune scelte stilistiche, come le luci sempre crepuscolari e le interminabili camminate del protagonista, che vorrebbero forse alludere alla sua solitudine interiore. E soprattutto il protagonista stesso, un Vincent Lindon poco credibile nei panni del rude ferroviere. Francamente non riesco a capire come abbiano potuto premiarlo a Venezia con la Coppa Volpi per questa interpretazione. Molto meglio di lui i due giovani, Benjamin Voisin nei panni del tormentato neonazista, e Stefan Crepon in quelli del suo assennato fratellino. © RIPRODUZIONE RISERVATA
(*) L’autore dirige oltreilponte.org