Un libro di Amitav Gosh — scrittore e antropologo indiano — racconta un genocidio, quello di una popolazione indigena che viveva in un villaggio in un arcipelago di piccole isole, quasi sperdute nell’Oceano Pacifico. Un villaggio che aveva la ricchezza (e la “maledizione”) di essere allora l’unico posto conosciuto al mondo dove cresceva la pianta della noce moscata. Il genocidio — siamo nel 1621 —  fu commesso dai colonizzatori olandesi per il monopolio di quella preziosa spezia. Allora fu annientato un popolo, e anche la sua idea di una vita in connubio con la natura. La Memoria dell’Olocausto possiamo onorarla con una riflessione che abbia la consapevolezza della sequenza di orrori che sono all’origine della civiltà occidentale come oggi è intesa

Bambini ebrei dietro il filo spinato di un campo di concentramento nazista; sotto il titolo, spedizione nelle Indie Orientali in una stampa d’epoca

L’articolo di FABIO BALOCCO

È STATO GRAZIE al caro amico Paolo Berdini se l’ho letto. Un giorno al telefono mi ammonisce: «Ma come, Fabio, non hai ancora letto La maledizione della noce moscata?». Ebbene no, Paolo, ma ho provveduto immediatamente. E il libro di Amitav Gosh l’ho letto in un amen, manco fosse un thriller. Ci sono dei libri nella vita che ti segnano, ma, mano a mano che vai avanti negli anni, le possibilità che ti segnino diminuiscono: ti sembra di sapere tutto ciò che ti serve. Bene, questo saggio mi ha fatto ricredere. Mi ha segnato. Come fece quando ero ragazzo Seppellite il mio cuore a Wounded Knee. E i due libri hanno anche molto in comune perché ci fanno riflettere su quella che noi occidentali chiamiamo “civiltà”.

I coloni bianchi presidiano le fosse comuni con i corpi di vittime indiane a Wounded Knee, 1891; secondo le stime più accreditate furono soppresse 80-90 milioni di persone nella conquista del West

Prendendo lo spunto da un episodio minimo, se vogliamo, il massacro degli abitanti delle isole Banda nelle Molucche da parte della marina olandese nel 1600, Gosh ci porta per mano dentro la storia del colonialismo, che poi è la nostra storia, e lo fa puntando il dito specialmente su ciò che avvenne nelle Americhe, come bene spiega in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: «L’Europa ha conquistato le Americhe. Un evento che ha comportato una violenza su una scala mai vista prima, con la soppressione di 80-90 milioni di persone. Quella violenza ha creato una nuova società» [leggi qui]. Ma la tesi di Gosh è che quelle distruzioni di nativi e la cultura illuminista che le sorreggeva siano alla base anche della distruzione dell’orbe terracqueo cui attualmente stiamo assistendo e di cui la pandemia — durante la quale Gosh ha scritto il saggio e a causa della quale ha perso persone care — è figlia.

Ho ripensato negli scorsi giorni, in occasione della Giornata della Memoria, a quanto scrive il saggista indiano. Anche perché in occasione della commemorazione la senatrice Segre ha lamentato il fatto che tra un po’ di tempo sui libri di storia non ci sarà più neanche una riga riguardo alla Shoah. Gosh giustamente ricorda che il massacro degli ebrei non è molto diverso da quelli su cui la nostra storia poggia. Anzi, noi bianchi occidentali siamo quello che siamo perché abbiamo massacrato milioni di nativi e ci siamo fatti beffe della loro cultura ancestrale. Di cui un altro recente, bellissimo libro, Horizon di Barry Lopez, sottolinea l’importanza. Eppure di questo proprio in quei libri di storia citati dalla senatrice Segre non si trova traccia.

Fotogramma da “Iraq: distruzione di una nazione” film documentario di Jean-Pierre Canet

Tutto troppo scomodo, meglio non sapere, meglio sapere solo e semplicemente che Cristoforo Colombo scoprì le Americhe piuttosto che fosse «un uomo violento e selvaggio. Un puro sadico». Per questo viene da pensare come la stessa Giornata della Memoria si inserisca in questa visione omissiva della storia, quasi che l’uomo sia stato “cattivo” solo con la nascita del Terzo Reich. Una memoria a senso unico che dimentica tutto ciò che purtroppo ci sta a monte. Ma non solo a monte. Basti pensare al genocidio gratuito e cosciente (anche questo taciuto dai media occidentali) dei bimbi iracheni a causa delle sanzioni applicate dagli Stati Uniti denunciato sempre di recente da Jean-Pierre Canet nel suo coraggioso e documentato film “Iraq: distruzione di una nazione”. La storia non ci ha insegnato nulla. “La storia siamo noi, nessuno si senta escluso”. La violenza purtroppo continua tutti i giorni tra gli uomini e da parte degli uomini sulla natura.  © RIPRODUZIONE RISERVATA

Nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (attualmente in quiescenza), si è sempre battuto per difesa dell’ambiente e problematiche sociali. Ha scritto “Regole minime per sopravvivere” (ed. Pro Natura, 1991). Con altri autori “Piste o pèste” (ed. Pro Natura, 1992), “Disastro autostrada” (ed. Pro Natura, 1997), “Torino, oltre le apparenze” (Arianna Editrice, 2015), “Verde clandestino” (Edizioni Neos, 2017), “Loro e noi” (Edizioni Neos, 2018). Come unico autore “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino” (Edizioni Neos, 2017), “Lontano fa Farinetti” (Edizioni Il Babi, 2019), “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo” (Edizioni Neos, 2019), “Belle persone. Storie di passioni e di ideali” (Edizioni La Cevitou, 2020), "Un'Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare" (Edizioni Il Babi, 2022). Ha coordinato “Il mare privato” (Edizioni Altreconomia, 2019). Collabora dal 2011 in qualità di blogger in campo ambientale e sociale con Il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Natura & Società e Volere la Luna.