La nona edizione di uno dei festival fotografici e d’arte più innovativi del panorama internazionale è dedicata a Man Ray, in corso a Monopoli fino a domenica 3 novembre. L’esposizione diffusa tra palazzi, stalle, chiese e Castello, è un omaggio alla poetica del maestro del Dadaismo e del Surrealismo con una selezione di fotografie originali tratte dalla mostra “Man Ray, testimonianza attraverso la fotografia” presentata alla Biennale di Venezia nel 1976. Molti i temi e le riflessioni sottese alle immagini delle altre mostre: dalle questioni ambientali alle diaspore migratorie, dall’inquinamento acustico alle sperimentazioni scientifiche, dalle guerre alla dignità umana, dalle credenze comunitarie al pensiero magico-antropologico, dalla libertà alla pace. Molto suggestiva la mostra dedicata alla serie “Campi di vista” (Fields of Sight), frutto di una feconda collaborazione tra la fotografa Gauri Gill ed il famoso artista Warli Rajesh Vangad, di grande interesso il progetto “Passengers” di César Dezfuli, giornalista e fotografo documentarista ispano-iraniano vincitore del World Press Photo Award 2023
◆ La recensione di ANNALISA ADAMO AYMONE
► «Or che i sogni e le speranze si fan veri come fiori, sulla Luna e sulla Terra fate largo ai sognatori!» diceva il grande Gianni Rodari. E di sogni e sognatori il PhEST di Monopoli ne ha esposti un bel po’ per la sua nona edizione contribuendo in tal modo a celebrare i cent’anni del Surrealismo, il cui primo manifesto fu scritto nel 1924 da André Breton. Nell’esposizione diffusa che, come ogni anno si snoda tra i palazzi, le stalle, le chiese ed il Castello della città, caratterizzando uno dei festival fotografici e d’arte più innovativi del panorama internazionale, l’omaggio a Man Ray e alla sua poetica ha assunto una centralità catalizzante. In seguito alla collaborazione con l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee de La Biennale di Venezia, PhEST ha presentato una selezione di fotografie originali tratte dalla mostra “Man Ray, testimonianza attraverso la fotografia” presentata alla Biennale di Venezia nel 1976. La selezione delle opere della mostra antologica “La révolution du Regard”, a cura di Roberto Lacarbonara e Giovanni Troilo, costituisce un piccolo compendio della vasta esplorazione del medium fotografico, dagli studi sul volto, sul corpo, sulle forme, alle tecniche di stampa in camera oscura di cui Man Ray fu pioniere, come la solarizzazione e la rayografia.
Un grande schermo mostra la sperimentazione cinematografica realizzata da Man Ray nell’estate del 1937, durante un soggiorno presso Vaste Horizon nel villaggio di Mougins, sulle alture di Antibes. Il film descrive le vicende di un gruppo di amici d’eccezione durante un viaggio in Costa Azzurra ed i protagonisti sono artisti che hanno lasciato un segno profondo nella storia del secolo scorso. Si tratta di personalità del calibro del poeta Paul Éluard e di sua moglie Nusch, di Roland Penrose e della sua futura moglie Lee Miller, di Picasso e Dora Maar, ma soprattutto di Man Ray e della sua giovane musa Ady Fidelin. La pellicola, la cui realizzazione era per Man Ray un’occasione per mettere alla prova il suo desiderio di sperimentazione, narra moltissimo della sua ricerca, della sua “famiglia acquisita” e del clima di libertà creativa e sessuale di quel contesto.
Seguendo il fil rouge onirico che lega tutte le altre mostre del PhEST si scoprono mondi fatti di speranze, valori, ideali, delusioni, emozioni e desideri che trasformano l’esposizione in un caleidoscopio attraverso il quale vedere la vita. Tanti i temi e le riflessioni sottese alle immagini, dalle questioni ambientali alle diaspore migratorie, dall’inquinamento acustico alle sperimentazioni scientifiche, dalle guerre alla dignità umana, dalle credenze comunitarie al pensiero magico-antropologico, dalla libertà alla pace. Se da un lato risulta chiaro che l’intelligenza artificiale non poteva mancare in un contesto espositivo dedicato al sogno e alla surrealtà, dall’altro va altresì detto che non tutte le opere dirette a mettere sul tavolo della discussione l’argomento risultano frutto di un processo creativo convincente.
Particolarmente suggestiva la mostra ubicata nella chiesa SS. Pietro e Paolo e dedicata alla serie “Campi di vista” (Fields of Sight), frutto di una riuscitissima collaborazione tra la fotografa Gauri Gill ed il famoso artista Warli Rajesh Vangad, erede dello stile pittorico Warli, forma di pittura primitivista appartenente al popolo indigeno Warli. Rajesh Vangad, che ha imparato l’arte in giovane età da sua madre e più tardi da suoi maestri, caratterizza la narrazione visiva del paesaggio attraverso segni grafici che svettano per originalità e raffinata eleganza artistica. Il PhEST di Monopoli − che si chiude il 3 novembre e che già negli anni scorsi ha fatto registrare presenze da record − può essere considerato un esempio virtuoso di valorizzazione dei luoghi storici attraverso gli eventi espositivi oltre che un esempio di come la cultura debba valorizzare, più di tutto, l’arte che dà origine al ‘senso di verità’ di cui c’è bisogno in questo momento.
A questo proposito fra le tante produzioni esposte quelle del progetto “Passengers” di César Dezfuli, giornalista e fotografo documentarista ispano-iraniano specializzato in migrazione e diritti umani su scala internazionale, si possono certamente considerare tra le più importanti sia in termini di ricerca che in termini storico-artistici. Nel 2016, il primo agosto, 118 persone furono salvate da un gommone alla deriva a 20 miglia nautiche al largo delle coste libiche e Dezfuli fotografò tutti i passeggeri della barca pochi minuti dopo il loro salvataggio, per umanizzare questa tragedia e dare nomi e volti a questa realtà. Dopo lo sbarco dei migranti in Italia, nel porto siciliano di Pozzallo, Dezfuli intraprese una lunga ricerca sui 118 passeggeri per scoprire perché avessero lasciato i loro paesi, cosa avessero vissuto lungo la rotta migratoria, come avessero continuato a vivere dopo essere stati salvati in mare e quali sogni avessero per il loro futuro. Nel 2023 il lavoro di ricostruzione storico-fotografica “Passengers” di César Dezfuli, molto chiaramente teso a creare empatia e comprensione attraverso un corpus documentario che serva da riferimento e aiuti a evitare che la difficile situazione dei migranti venga dimenticata, ha vinto il World Press Photo Award. © RIPRODUZIONE RISERVATA