La locandina di “American Fiction” in streaming su Prime Video

Il solo titolo del racconto breve “The Artificial Nigger” scritto sulla lavagna dallo scrittore Jeffrey Wright che insegna letteratura inglese all’università fa insorgere una studentessa. La parola “nigger” la urta. Lui le fa notare che si tratta del titolo di un racconto, e che in ogni caso l’unico ad essere urtato dovrebbe essere lui, visto che è l’unico in classe ad avere la pelle nera. Lei insiste, lui la caccia dall’aula e l’università lo sospende senza stipendio. Seguono depressione, alcolismo e l’inaspettato successo editoriale di un romanzo senza capo né coda scritto con un linguaggio artefatto che rifà il verso al presunto modo di parlare dei neri. Ma i suoi problemi non sono finiti. Premio Oscar per la migliore sceneggiatura non originale


◆ La recensione di BATTISTA GARDONCINI *

Se non ne potete più degli eccessi della cosiddetta cultura woke, che negli Stati Uniti – ma anche in parte qui da noi – ha trasformato una sacrosanta battaglia contro le ingiustizie razziali e sociali in una insensata caccia alle streghe nei confronti del passato, allora “American Fiction”, del regista afroamericano Cord Jefferson, è il film che fa per voi.

Il film si apre con una scena emblematica. Thelonious Ellison, interpretato dall’ottimo Jeffrey Wright, è uno scrittore che insegna letteratura inglese all’università. Oggetto della lezione è il racconto breve “The Artificial Nigger”, di Flannery O’Connor, scritto nel 1955. Ellison scrive il titolo sulla lavagna, e una studentessa insorge perché la parola “nigger” la urta. Lui le fa notare che si tratta del titolo di un racconto, e che in ogni caso l’unico ad essere urtato dovrebbe essere lui, visto che è l’unico in classe ad avere la pelle nera. Lei insiste, lui la caccia dall’aula e l’università lo sospende senza stipendio. Nelle settimane successive sua sorella muore, sua madre si ammala, e il suo ultimo libro viene rifiutato da molti editori perché “troppo raffinato e non abbastanza nero”. Depresso, si dà al bere, e nei fumi dell’alcol butta giù un romanzo senza capo né coda, che propone tutti gli stereotipi dei romanzi di genere e li racconta con un linguaggio artefatto che rifà il verso al presunto modo di parlare dei neri. Il successo è travolgente, ma i suoi problemi non sono finiti.

Il film è uscito nel 2023 e ha avuto un buon successo negli Stati Uniti, dove evidentemente il problema degli eccessi del politicamente corretto è molto sentito. Dalle sale italiane è scomparso presto, ma da qualche giorno è disponibile su Prime Video. Tra l’altro, ha vinto l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, perché  segue fedelmente la trama del romanzo “Erasure”, scritto nel 2001 da Percival Everett. Anche lui, manco a dirlo, afroamericano. © RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) L’autore dirige oltreilponte.org

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Giornalista, già responsabile del telegiornale scientifico Leonardo su Rai 3. Ha due figlie, tre nipoti e un cane. Ama la vela, la montagna e gli scacchi. Cerca di mantenersi in funzione come le vecchie macchine fotografiche analogiche che colleziona, e dopo la pensione continua ad occuparsi di scienza, politica e cultura sul blog “Oltreilponte.org”.