Un’imposta intorno al 4 per mille sulla sola ricchezza finanziaria del 10% delle famiglie più ricche consentirebbe al nostro Paese di recuperare ogni anno 13 miliardi di euro per rimborsare una parte del debito pubblico. Sarebbe una tassazione priva di effetti recessivi, più equa − i grandi patrimoni sono frutto quasi sempre di redditi da capitale non tassati in modo progressivo − e più giusta del taglio ulteriore di quel poco che resta dei servizi pubblici. Per i più ricchi sarebbe un peso piccolissimo da sostenere ma di grande valore etico e sociale. Guido Ortona, economista fuori dal coro, ci spiega perché né la destra né la sinistra sono sfiorati dall’idea di fare un passo in questa direzione


L’intervento di GUIDO ORTONA, economista

A quanto pare l’Italia dovrà usare ogni anno 13 miliardi per rimborsare parte del suo debito pubblico. Questa cifra potrebbe essere ottenuta con una minuscola tassa sulla ricchezza: basterebbe un’aliquota media intorno all’1,3 per mille. Ma si potrebbe fare di meglio: basterebbe un’imposta sulla sola ricchezza finanziaria del 10% più ricco delle famiglie con un’aliquota forse non minuscola ma comunque piccolissima – intorno al 4 per mille. Si tratterebbe di un’imposta non eludibile, praticamente senza costi di esazione, priva degli effetti recessivi di un’imposta sul reddito, giusta dal punto di vista dell’equità fiscale (i grandi patrimoni sono frutto perlopiù di redditi da capitale, che non sono tassati in modo progressivo, come prescrive invece la Costituzione) e ovviamente più giusta dal punto di vista etico del taglio di quel poco che ancora si può tagliare nei servizi pubblici. 

Questa scelta lancerebbe inoltre due messaggi importanti. Il primo all’Europa: “guardate che se continuate con le vostre politiche di austerità noi cominciamo a tassare i ricchi, proprio per obbedire agli obblighi che ci imponete”. A questa Europa non piace affatto che le politiche di austerità vengano pagate dai ricchi.  Il secondo messaggio è all’Italia. “Il nostro paese deve fare dei sacrifici per adempiere ai suoi impegni con l’Europa. Chiediamo che siano i ricchi a farli” (eventualmente aggiungendo che sono loro che hanno tratto il maggior giovamento dalle politiche di austerità e dal pagamento degli interessi sul debito pubblico; ma sarebbe troppo pretendere). I sacrifici richiesti ai ricchi sarebbero piccolissimi, ma si comincerebbe ad affermare il principio che la politica economica deve basarsi sulla solidarietà. 

C’è anche un terzo messaggio, il più importante di tutti, che per ora non affiora ma che ha un gigantesco potenziale esplosivo. Non affiora perché l’attuale governo è sostenuto da esponenti politici talmente balordi da non capire nemmeno quali sono i loro interessi elettorali, e talmente ignoranti da non conoscere la storia dei loro ispiratori. Se il governo facesse quanto qui suggerito avrebbe un successo enorme – così come facendo qualcosa di analogo l’hanno avuto Mussolini e Hitler. Il consenso per costoro (poi tragicamente strumentalizzato, come sappiamo) veniva dalle politiche sociali. Dobbiamo ringraziare la pochezza politica di questa destra se Meloni non può seguire questa strada, e non ha quindi un consenso plebiscitario. 

Giunti a questo punto è inevitabile chiedersi perché la politica qui suggerita non venga rivendicata dal Pd. Il motivo, temo, è che quanto scritto sopra sull’incapacità di capire quali sono i propri interessi elettorali e sull’ignoranza degli insegnamenti dei maestri di riferimento valga pienamente anche per il Pd. Con due aggravanti. La prima è che essere ignoranti e buzzurri è normale per la destra, che di ciò ha spesso menato vanto; non lo è per gli eredi della sinistra, che affermano di avere ancora quella superiorità culturale che un tempo era reale. La seconda, e più grave, è che se e quando la destra deciderà di far pagare i ricchi, sia pure poco, per il Pd sarà troppo tardi per proporlo lui. Si troverà a dover scegliere se dire no a una tassa sui ricchi o dire sì a un provvedimento che porterà molto consenso alla destra. Ma come è possibile che non se ne rendano conto? © RIPRODUZIONE RISERVATA

Ha studiato economia a Torino, dove è stato allievo di Siro Lombardini, e ad Ancona, dove è stato allievo di Giorgio Fuà. È stato professore ordinario di politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale; in precedenza ha insegnato all’Università di Torino e alla Luiss di Roma. È in pensione dal 2017. Si è occupato di politica economica, scelte collettive ed economia sperimentale. È autore di un’ottantina di pubblicazioni scientifiche e di un romanzo di fantaeconomia, I buoni del tesoro contro i cattivi del tesoro, Biblioteca del Vascello, 2016.