L’Indonesia ha addirittura deciso di cambiare capitale, rinunciando a Giacarta e spostando i palazzi del potere in una località remota nel Borneo, Kusantara. Il motivo: Giacarta sta sprofondando. La minaccia più evidente è il cambiamento climatico con l’innalzamento del mare. Ma non c’è solo questo. Il dissesto del suolo, le costruzioni frenetiche, segnano il destino di centinaia di grandi città nel mondo. Di Venezia sappiamo tutti, ma ci sono – tra chi corre il rischio di sprofondare – megalopoli come New York, Teheran, Città del Messico, Bangkok
L’articolo di LAURA CALOSSO
IL MONDO CHE abbiamo conosciuto nel Novecento sta cambiando fisionomia. Questo accade in particolare sulle coste dove i cambiamenti climatici determinano l’innalzamento dei mari. Un esempio per tutti è Giacarta, la capitale e la principale città dell’Indonesia, situata sull’isola di Giava. Venne costruita nei pressi di paludi e ben 13 fiumi confluiscono in quell’area. Tutte le principali città, nel tempo antico, sorgevano vicino a corsi d’acqua. Questo vantaggio si può rivelare oggi un problema e vediamo perché. Nell’area metropolitana di Giacarta vivono 30 milioni di persone. Oggi la megalopoli ha già circa un 40% della superficie sotto il livello del mare, e affonda a una media di circa 7,5 centimetri all’anno, con aree che sfiorano i 25 cm, e in dieci anni sono sprofondate di 2,5 metri. Lo sviluppo urbano è stato notevole, senza un’opportuna pianificazione. Il centro finanziario della città è in rapida crescita, ma lo è altrettanto il tasso di sommersione. Come in tante città cresciute troppo in fretta, l’acqua necessaria agli abitanti viene ottenuta attingendo alle falde sotterranee, in modo non pianificato. Il terreno quindi si è progressivamente indebolito e compattato, soprattutto nelle zone in cui si trovano gli edifici. (https://energycue.it/giacarta-citta-affonda-governo-capitale/32577/ )

La situazione è così grave che, secondo gli esperti, entro il 2050, fino a un terzo della città potrebbe essere sott’acqua. Cercare una soluzione per evitarlo, allo stato attuale, pare impossibile, perché il centro, dove vivono 10 milioni di abitanti, è colpito da forti venti e precipitazioni che stanno mettendo a rischio le infrastrutture e le fondamenta. Nel 2019 il presidente dell’Indonesia Joko Widodo ha quindi proposto di spostare la capitale in una remota località sull’isola del Borneo, a 1.200 chilometri di distanza. L’obiettivo è anche quello di distribuire meglio la popolazione e lo sviluppo dell’arcipelago, perché Java da sola ospita il 60% dei 274 milioni di abitanti. La nuova città si chiamerà ‘Nusantara’.(https://www.wwf.it/pandanews/societa/mondo/la-capitale-che-affonda/ ). La costruzione avrebbe dovuto iniziare alla fine del 2020, ma e’ stata posticipata a causa della pandemia di Covid-19. Pare che i lavori possano essere ultimati entro il 2024. Il progetto, che ha un costo iniziale di 32 miliardi di dollari, prevede una città smart progettata nel rispetto dell’ambiente. La nuova area è più vasta, più centrale nell’arcipelago, meno esposta ai disastri naturali ma soprattutto ricca di un’immensa foresta tropicale, una delle più estese al mondo, condivisa tra Indonesia, Malesia e Brunei. I primi modelli mostrano una città futuristica (utopica?) in mezzo agli alberi. Pale eoliche, ponti pedonali e un futuro palazzo presidenziale a forma di immenso Garuda, l’aquila mitologica dello stemma nazionale.

Il presidente indonesiano ha promesso la realizzazione di un luogo decisamente innovativo, dove tutto sarà “accessibile in bicicletta o a piedi”. La “città a emissioni zero” potrebbe anche essere un centro di attrazione per i talenti internazionali. Questo è l’auspicio, ma non sono poche le perplessità dal punto di vista ambientale. Innanzitutto, la nuova capitale potrà ospitare “solo” 1,5 milioni di persone, mentre quella esistente ne ospita ben 30. Gli ambientalisti sostengono che la creazione della nuova capitale necessiterebbe di circa 200 mila ettari di superficie, ora quasi tutti coperti da foreste e non lontani da due riserve naturali. Il numero di alberi che verrebbero distrutti e di animali che perderebbero il proprio habitat naturale si prevede incredibilmente alto. La superficie forestale potrebbe ridursi del 12% prima del 2050 e così, di conseguenza, anche la fauna, ad esempio più di un terzo degli oranghi del Borneo e delle scimmie con il caratteristico naso allungato. Si stima che la deforestazione possa provocare l’emissione di ingenti quantità di CO2 in atmosfera. Inoltre, il fatto che una capitale sorga così a stretto contatto con la foresta rende probabile il rischio di incendi ricorrenti. Tra le tante obiezioni, si ritiene che non ci sia sufficiente energia rinnovabile per la vita nella nuova capitale. Il rischio è che Nusantara dipenda dal carbone come accade oggi per Giacarta. Pertanto, oltre a distruggere un’area preziosissima dal punto di vista ambientale, nessuno può escludere che la città nuova vada incontro allo stesso destino della vecchia. Tutto ciò basta a spiegare il dramma del cambiamento climatico in futuro.
Ma quanto può contribuire il peso di una città alla sua sommersione? In che modo è possibile calcolare il tasso di affondamento? Il peso delle città è un argomento di cui non si parla. Alla maggioranza delle persone non viene neppure in mente che possa esistere un problema di questo tipo. Invece, l’utilizzo di enormi quantitativi di cemento rappresenta un tema rilevante in termini di impatto ambientale, ma anche di tenuta strutturale delle città. Sono questioni importantissime se si considera che nel 2050 quasi il 70% della popolazione mondiale vivrà in città. Sul peso delle metropoli esistono studi recenti. Un esempio per tutti potrebbe essere quello condotto a San Francisco. Il geofisico Tom Parsons, dell’agenzia geologica americana, United States Geological Survey (USGS), ha analizzato la situazione di San Francisco come caso di studio per valutare nel complesso il grande sviluppo urbano mondiale e l’impatto reale sulla superficie della Terra. (https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1029/2020AV000277 ).

Secondo i calcoli, San Francisco sarebbe già sprofondata di 8 centimetri dalla sua iniziale costruzione. Considerando che la Bay Area sulla quale si affaccia la città è minacciata da un innalzamento del livello del mare di ben 30 centimetri entro il 2050, uno sprofondamento aggiuntivo, dovuto alla lenta subsidenza, è piuttosto significativo e anche preoccupante. Tenendo conto di un inventario di tutti gli edifici della città e del loro contenuto, lo studio ha calcolato che il peso della San Francisco Bay Area, con una popolazione di circa 7,7 milioni di abitanti, è di circa 1,6 trilioni di chilogrammi, l’equivalente di circa 8,5 milioni di aerei Boeing 747. Inoltre, la compattazione dei sedimenti e delle falde acquifere sotto l’aeroporto internazionale di San Francisco che si trova sulla costa – e rappresenta l’edificio più pesante della città – è già stata calcolata come causa di un ulteriore sprofondamento di 4 mm all’anno. In effetti, considerando questi dati, è probabile che gli 8 centimetri di sprofondamento siano una stima prudente, poiché i calcoli del peso non hanno incluso le cose all’esterno degli edifici, comprese le infrastrutture di trasporto, i veicoli o le persone. Lo stesso tipo di affondamento è probabile in altre parti del mondo, ma ovviamente non si può generalizzare perché i fenomeni dipendono anche dalla geologia dei vari luoghi.
Oltre al peso delle infrastrutture quali sono gli altri fattori che contribuiscono allo sprofondamento delle città? Abbiamo accennato prima al fenomeno della subsidenza. In pratica, si tratta di un abbassamento della superficie terrestre dovuto al prelievo di solidi o fluidi dal sottosuolo (dall’acqua al petrolio al gas). Si sviluppa lentamente e gradualmente. Anche se il processo fisico è stato studiato in tutto il mondo sin dal secolo scorso, i ricercatori si sono solitamente concentrati sull’analisi e sulla risoluzione del problema a scala locale. I risultati di un recente studio, condotto dall’Università di Padova e dagli Istituti per la protezione idrogeologica (Cnr-Irpi) e di geoscienze e georisorse (Cnr-Igg) del Consiglio nazionale delle ricerche, evidenziano per la prima volta che la subsidenza (accompagna lo sfruttamento delle risorse idriche sotterranee) è un fenomeno globale e può causare impatto ambientale, sociale ed economico rilevanti. Il lavoro è stato pubblicato su Science ed è stato svolto nell’ambito di una collaborazione con esperti dell’Iniziativa internazionale sulla subsidenza dell’UNESCO (LaSII). (https://www.cnr.it/it/comunicato-stampa/9932/subsidenza-una-mappatura-globale ). In sintesi, a rendere sempre più incerto il futuro di molte metropoli c’è quindi un processo di emungimento delle acque sotterranee a cui si aggiunge l’erosione costiera e lo spostamento delle placche tettoniche. In diverse località del mondo l’entità della subsidenza supera in velocità l’innalzamento del mare causato dal riscaldamento globale.
Ci sono altre città che rischiano lo stesso destino di Jacarta? Quando si pensa a città a rischio affondamento la mente va a Venezia, ma non è certo l’unica città minacciata. Gli insediamenti umani, spiegano i ricercatori, sorgono per ragioni storiche nei pressi di corsi d’acqua, cioè sopra terreni ricchi di infiltrazioni liquide. Dunque il problema è diffuso. Lo sprofondamento riguarda città insospettabili come Shanghai, Tokyo, New York, Città del Messico, Bangkok, New Orleans, Teheran che ospitano milioni di persone e ogni anno scendono di qualche centimetro. Poi c’è la costa degli Stati Uniti: Miami e l’area limitrofa già oggi sono soggette ad allagamenti. Si utilizzano pompe per alleviare i danni. L’abbassamento del terreno, nella maggior parte dei casi, non è omogeneo per tutta la superficie di una città: questo provoca spaccature, buchi e danni di vario tipo, provocando anche morti e feriti. (https://www.linkiesta.it/2019/01/le-citta-pesano-troppo-per-questo-sprofondano/ ). Se il mare cresce, il sale nelle pozze acquifere di acqua dolce, aumenta l’indebolimento del suolo.

Per questo servono rimedi immediati e decisi: Shanghai ha deciso di sospendere l’estrazione di acqua dal sottosuolo (la fa arrivare dai fiumi vicini), e il processo sta funzionando. La subsidenza però è solo rallentata, non fermata. Bloccarla non è possibile. https://www.urbesmagazine.it/se-le-citta-sprofondano-e-rischiano-di-scomparire/. E in Italia, quali città affondano più velocemente? La subsidenza interessa molte aree costiere e più precisamente in Emilia-Romagna, Veneto, Puglia, Toscana, Campania, Calabria. Dove esistono pianure costiere esiste rischio. Quasi 200 km della costa adriatica settentrionale sono caratterizzati dall’essere a una quota inferiore rispetto al livello medio del mare o appena sopra di esso. In queste zone, anche pochi centimetri di subsidenza aumentano la probabilità di inondazione. (https://www.igg.cnr.it/ricerche/research-highlights/mappatura-del-pericolo-globale-di-subsidenza)
C’è modo di impedire lo sprofondamento delle città? Servono rimedi immediati e decisi. Senza un nuovo approccio all’urbanizzazione, il consumo di materiale da costruzione, nelle varie città del mondo non potrà che crescere, passando da 40 miliardi di tonnellate nel 2010 a circa 90 miliardi di tonnellate entro il 2050. La politica dovrebbe seriamente preoccuparsi delle risorse che vengono consumate e anche del cambiamento climatico che aggrava notevolmente la situazione. E’ necessario valutare il processo di urbanizzazione dal punto di vista ambientale e sociale. Non si possono fare investimenti senza tener conto della sostenibilità delle strutture che andiamo a costruire, dei luoghi in cui sorgeranno e delle previsioni su quelle aree, una per tutte quella riguardante l’innalzamento marino. Insomma, c’è moltissimo da fare ed urgente procedere. © RIPRODUZIONE RISERVATA