La grandezza e lo spettacolo che la natura offre sembra non bastare più quando la si ammira stando in piedi su una vetta. Oggi per apprezzarla bisogna sedersi su una big bench. O forse è lo spettacolo della natura che viene soppiantato da panchine enormi colorate, posizionate su vette e rilievi a dare spettacolo? Di certo dalla prima panchina di grandi dimensioni, installata nel 2010 dal designer americano Chris Bangle, l’iniziativa sembra aver trovato i favori delle amministrazioni comunali “attratte dall’attrazione” del momento, che trainano altre opere “big” come croci giganti e impianti di risalita altrettanto grandi
L’analisi di TONI FARINA, consigliere Parco Nazionale Gran Paradiso

GRANDI PANCHINE, GRANDI croci, grandi funivie. E potremmo aggiungere alla lista anche i grandi eventi, che ormai imperversano anche nei piccoli borghi.
“L’idea di installare una panchina di grandi dimensioni in un punto panoramico è partita, nel 2010, da Chris Bangle, designer americano trapiantato a Clavesana (sede della prima installazione), ed ha avuto un notevole successo. Seduti sulle panchine giganti ci si sente bambini, con i piedi a penzoloni, pronti a meravigliarsi della bellezza. Le Grandi Panchine sono un’attrazione simbolo che, grazie all’iniziativa Big Bench Community Project (Bbcp), sostiene le comunità locali, il turismo, gli esercenti e le eccellenze artigiane dei paesi in cui si collocano”. Così si legge sul sito di Turismo Torino e Provincia.
La prima Big Bench l’ho scoperta sulla collina astigiana, in quel di Vinchio, in località Monte del Mare, durante una pedalata autunnale. Salgo a piedi su un poggio per fare una foto e mi trovo quel “coso” enorme. Lì per lì non ho capito e mi sono pure intimorito. Ma come, non avevamo deciso che “piccolo è bello”? E mi sono chiesto: non basta questo bel paesaggio collinare? Le geometrie di vigna, i paesi sui crinali, il profumo di barbera, le parole di Davide Lajolo, il Capitano Ulisse della Guerra di Liberazione: Vinchio è il mio nido, ci sono nato nel tempo del grano biondo.

Nel tempo del grano biondo quel coso enorme non c’era… Nel Nord Ovest, Piemonte in particolare, ormai le grandi panchine impazzano, o meglio, “fanno impazzire” comuni e pro loco. Le trovi viaggiando su google maps tra un agriturismo e un ricambi auto. Ma soprattutto le trovi sui cocuzzoli collinari, nel Monferrato, nell’Astigiano e nelle Langhe, le colline di Fenoglio e Pavese (immagino i loro possibili commenti). Come un virus senza controllo e senza regole, ora il fenomeno contagia anche la montagna: ha fatto scalpore e sollevato vivaci polemiche una big bench collocata sul Pian della Mussa, Comune di Balme, nelle Valli di Lanzo, “giardino dei torinesi”. Un luogo iconico, storico dell’alpinismo: Balme si fregia del titolo di “villaggio degli alpinisti” del Club Alpino Italiano. Alpinisti che ora possiamo immaginare in riposo sulla grande panchina di ritorno dalla “lotta con l’Alpe”.
Battute a parte, le grandi panchine sono ormai un fenomeno antropologico, culturale: per godere di un bel paesaggio si sente il bisogno di impapocchiarlo con queste installazioni. E non potevano non prendere piede anche appositi tour organizzati, alternativi alla ormai consunta Via Francigena… Per legge fisica “a ogni azione corrisponde…” è sorto un movimento di contestazione che parla di dilagante banalizzazione del paesaggio (vivaci polemiche social). Fra le molte voci critiche c’è quella di Pietro Lacasella, giovane blogger veneto:
«Il pacchiano, in montagna, può assumere diverse forme. Una di quelle che più lo caratterizza è indubbiamente rappresentata da panchine giganti, spesso verniciate con i colori più improbabili. Una distorsione disneyniana della vita per offrire al turista un’esperienza molto ludica e poco educativa». Sotto la panca la montagna crepa, Pietro Lacasella (pagina FB Alto-rilievo/Voci di Montagna, 13 giugno 2022). Alle big bench si contrappone il valore delle panchine “normali”, la loro funzione originaria: «La panchina è un luogo di sosta, un’utopia realizzata. È vacanza a portata di mano. Sulle panchine si contempla lo spettacolo del mondo, si guarda senza essere visti e ci si dà il tempo di perdere il tempo, come leggere un romanzo». La poetica definizione è dello scrittore Beppe Sebaste che alle “Panchine” ha dedicato un libro (ed. Laterza). Illuminante il sottotitolo: “Come uscire dal mondo senza uscirne”.

Sempre le torinesi Valli di Lanzo hanno guadagnato l’anno scorso l’eco della cronaca locale per l’abbinamento “grande panchina – grande croce”, entrambe collocate a breve distanza sul crinale e sulla cima della stessa montagna, la Rocca Moross, e inaugurate a pochi giorni l’una dall’altra. Croce alta 4,5 metri, e portata in elicottero sulla cima. Segno di una spiritualità malata, misurata in metri. Fuori tempo e fuori anche da regole a tutela del paesaggio:
Ormai non si occupano solo le vette più significative. Questa discutibile abitudine sta tracimando su ogni cima, purché visibile dal fondovalle, e sta insidiando l’integrità naturale di crinali magari poco battuti ma reputati favorevoli alla promozione turistica del luogo. È sufficiente che singole associazioni o perfino singoli personaggi chiedano l’autorizzazione e ogni cosa viene concessa, spesso a prescindere dai valori qualitativi dell’opera, dall’impatto paesaggistico e ambientale, dai negativi risvolti psicologici, etici e culturali che il progetto porterà come conseguenza, una volta realizzato. Ciò purtroppo avviene anche all’interno di aree particolarmente delicate e tutelate da disposizioni nazionali e internazionali, come parchi naturali e riserve, siti Sic e Zps. Basti pensare al dinosauro (3 x 6 m) spuntato sulla cresta del Pelmo, montagna dolomitica inserita nei Monumenti del Mondo dell’Unesco . Così l’Associazione Mountain Wilderness.
E visto che siamo nel Nord Est, non si può non citare la grandeur olimpica e relativi sperperi di danaro pubblico descritti da Gian Antonio Stella in un articolo relativo alla pista da bob di Cortina pubblicato sul Corriere della Sera: «I bobbisti in Italia sono solo 17, possibile che non abbia insegnato nulla la catastrofe economica e d’immagine dell’impianto costruito a Cesana Torinese per le olimpiadi invernali del 2006?». Domanda opportuna quella di Stella. Soprattutto alla luce degli altri scheletri lasciati sul terreno nelle “valli olimpiche” torinesi, come il trampolino per il salto di Pragelato, in Val Chisone.

Rimaniamo sui monti del Nord Ovest per concludere questa rassegna di grandi follie con i progetti funiviari dell’Ossola e della Valle d’Aosta. Il primo ha il suggestivo nome di Avvicinare le Montagne, in questo caso collegando la L’Alpe Ciamporino con la bucolica Alpe Devero, parco naturale fra i più noti del Piemonte. Il secondo si propone di collegare Cervinia a Champoluc con un impianto nel Vallone delle Cime Bianche, ultima area integra, priva di impianti, intorno al massiccio del Monte Rosa. Si prospetta dunque un tempo in cui si andrà in giornata dal Colle di Cadibona a Trieste, saltando di valle in valle su avveniristiche funivie e sostando su ogni crinale ad ammirare il panorama assisi gambe a penzoloni su grandi panchine. Distopie alpine? © RIPRODUZIONE RISERVATA