I proprietari si sono avvalsi nel tempo degli immigrati marocchini, poi di macedoni esperti di viticoltura, di rumeni forti lavoratori e ora di africani spesso senza permesso di soggiorno. Questo utilizzo di manodopera non è quindi una novità sulle colline del barolo e del barbera. Marocchini, macedoni e rumeni, se lavorano, si sono integrati trovando casa e mandando i figli a scuola. Ora è più conveniente per il proprietario contare su persone di recente immigrazione che accettano bassi salari. Il vino si fa anche con lavoro nero o “poco emerso”, scompare il tempo mitico della vigna che emozionava tanto lo scrittore di Santo Stefano Belbo: «Sotto le viti è terra rossa dissodata, le foglie nascondono tesori, e di là dalle foglie sta il cielo…»
◆ L’articolo di LAURANA LAJOLO
► Ha fatto scandalo la notizia dello sfruttamento del lavoro salariato nelle Langhe famose per il barolo, ma da molti anni ormai sono lavoratori stranieri a coltivare le vigne patrimonio dell’umanità e a fare la vendemmia. La vigna, al contrario di altre coltivazioni, va curata ogni giorno lungo tutto l’anno con lavori stagionali specifici, che devono essere fatti al momento giusto.
Nelle Langhe da molto tempo e più recentemente nel Monferrato si è verificato e si sta verificando l’accorpamento di proprietà, ritornando alla situazione precedente a Napoleone, che aveva confiscato i beni ecclesiastici e aveva favorito la formazione di piccole proprietà contadine, rette dalla conduzione familiare in un’economia di sussistenza. È quel lavoro contadino ad aver creato la vigna opera d’arte, che appare allo scrittore Cesare Pavese una porta magica sul mondo: «Sotto le viti è terra rossa dissodata, le foglie nascondono tesori, e di là dalle foglie sta il cielo. È un cielo sempre tenero e maturo, dove non mancano – tesoro e vigna anch’esse – le nubi sode di settembre. Tutto ciò è familiare e remoto – infantile, a dirla breve, ma scuote ogni volta, quasi fosse un mondo».
Oggi a fare e a commerciare il vino sono grandi imprenditori agricoli e cantine cooperative, la piccola proprietà e la mezzadria con le loro modalità di vita e di lavoro sono scomparse, come la mentalità e la sapienza contadina. Oggi occorrono tecnologia e conoscenze scientifiche per liberare le viti dalla flavescenza dorata, dallo oidio e dalle altre infezioni. C’è l’agronomo in vigna e l’enologo in cantina, che hanno bisogno di manodopera esecutiva. I proprietari si sono avvalsi nel tempo degli immigrati marocchini, poi di macedoni esperti di viticoltura, di rumeni forti lavoratori e ora di africani spesso senza permesso di soggiorno. Questo utilizzo di manodopera non è quindi una novità sulle colline del barolo e del barbera. Marocchini, macedoni e rumeni, se lavorano, si sono integrati trovando casa e mandando i figli a scuola. I rumeni, essendo comunitari, possono essere assunti con contratto stagionale e nell’inverno fruire della cassa integrazione, continuando in realtà il rapporto lavorativo con il proprietario.
Ora è più conveniente per il proprietario contare su persone di recente immigrazione che accettano bassi salari. Il vino si fa anche con lavoro nero o “poco emerso”. Spesso questi lavoratori sono gestiti da cooperative dirette da stranieri regolari, a cui si rivolgono i proprietari. La recente denuncia di sfruttamento ha irritato i grandi imprenditori vinicoli preoccupati che la notizia danneggi soprattutto il commercio con l’estero e hanno espresso “meraviglia” della loro stessa gestione del lavoro. Ma sono pratiche note, che consentono ampi margini di guadagno, utilizzate non solo dai grandi produttori, ma anche da imprenditori agricoli con medie proprietà. Nel periodo della vendemmia gli stagionali hanno sistemazioni molto precarie e spesso devono intervenire associazioni di assistenza per provvedere a un pasto e a un materasso. Recentemente i prefetti delle province interessate hanno fatto protocolli (già sperimentati in anni passati), ma il costo di produzione dei vini è molto alto e richiede tanto, tanto lavoro manuale, molto faticoso in filari su ripide colline, che non può essere sostituito dalle macchine.
Dieci anni fa la dichiarazione del riconoscimento Unesco a Langhe Monferrato e Roero ha descritto «il panorama delle colline ben coltivate in cui sono riconoscibili le antiche divisioni di proprietà con costruzioni che caratterizzano la visuale spaziale: villaggi sulla cima delle colline, castelli, chiese romaniche, cascinali, ciabots, cantine, stabilimenti vinicoli e luoghi di distribuzione commerciale di vini nei paesi ai margini delle vigne. Le diverse caratteristiche architettoniche e storiche degli elementi legati alla produzione vinicola, che rievocano l’arte autentica e antica di fare il vino, si coniugano armonicamente con le qualità estetiche dei paesaggi che rappresentano un archetipo delle vigne europee». Ma oggi è finito il tempo mitico della vigna e ha preso il sopravvento l’accorpamento, la commercializzazione, il marketing del neocapitalismo, così lontano dalla millenaria civiltà contadina, che emozionava Cesare Pavese. © RIPRODUZIONE RISERVATA