Il Pnrr destina il 37% delle risorse messe a disposizione dall’Europa agli interventi ambientali. Un piano avanzatissimo per decarbonizzazione, riassetto idrogeologico, restauro e miglioramento delle infrastrutture esistenti, cambio dei modelli di uso del suolo, revisione delle fonti di energia, crescita, parità di genere, politiche occupazionali e lotta alla disoccupazione. E nonostante quel che è successo recentemente alla Marmolada e nella regione Marche, spazzata via da una tempesta senza precedenti (pagando un pesante tributo di vite umane), il tema del dissesto idrogeologico e del cambiamento climatico è rimasto ai margini estremi della campagna elettorale. E poi l’ingiustizia sociale e la povertà, le due grandi assenti dal dibattito pubblico
L’intervento di ALESSIO LATTUCA, presidente del Movimento Per la Sostenibilità

IMPERDONABILE! SAREBBE, DAVVERO, imperdonabile non cogliere l’occasione — significherebbe essere al punto di non ritorno — offerta dall’Ue con il maxi-piano New Green Deal da oltre 230 miliardi di euro. Occorre ricordare in proposito che al fine di raggiungere gli obiettivi previsti per il 2050, data fissata per le emissioni zero, il Pnrr destina il 37% delle risorse a interventi ambientali. Si tratta di un piano avanzatissimo per decarbonizzazione, riassetto idrogeologico, restauro e miglioramento delle infrastrutture esistenti, cambio dei modelli di uso del suolo, revisione delle fonti di energia, crescita, parità di genere, politiche occupazionali e lotta alla disoccupazione.
E, allora, risulta allucinante il comportamento assunto dai partiti politici: un vero “stigma sociale” che resterà impresso nella mente di chi riflette sull’accaduto. Difatti, nonostante quel che è successo recentemente alla Marmolada con la fusione del ghiacciaio sotto i nostri occhi e nella regione Marche, spazzata via da una tempesta senza precedenti (pagando un pesante tributo di vite umane), il tema del dissesto idrogeologico e del cambiamento climatico non è stato posto al centro del dibattito nel corso della campagna elettorale.
Cos’altro deve succedere per mettere al primo posto il Climate change? Perché il ceto politico non si accorga che gli eventi estremi — la cui portata attuale non si era mai vista prima — sono sempre più frequenti e che il conto economico (centinaia di miliardi nel prossimo decennio) delle calamità naturali cresca esponenzialmente, tutto questo resta un mistero. Si tratta di una questione che dovrebbe accelerare gli interventi di prevenzione, sulla quale è come se fosse calata una coltre di silenzio.
Che modello offre all’Europa un Paese in pieno caos e in una condizione di ingovernabilità che, ovviamente, spaventa i partners? E amplifica il rischio economico per un Paese già debole tra i Paesi forti e produce paura per la stabilità e, in definitiva, mette in discussione il piano di resilienza approvato dall’Ue. L’incertezza del posizionamento dell’Italia nello scacchiere internazionale ed europeo è davvero inquietante e non prevede nulla di buono. Il recente voto della Lega e di Fratelli d’Italia sulla posizione dell’Ungheria di Orbán, rispetto ai diritti e ai rapporti con l’Ue, è paradigmatico di ciò che potrà accedere in un momento così difficile per la geopolitica.

In merito poi al piano di resilienza, appaiono davvero asincrone le frettolose deliberazioni adottate in soli 20 minuti dall’ultimo Consiglio dei ministri, con cui sono stati azzerati oltre due mesi di lavoro del Parlamento e delle Commissioni, buttando al macero riforme come la delega fiscale, la riforma della giustizia, la riforma dell’Irpef e del catasto e di tutte le riforme previste come condizionalità dall’Ue per la corretta applicazioni del Pnrr.
Ed è oltremodo incomprensibile che tutto ciò accada in Paese precipitato in una gravissima ingiustizia sociale, con un dato allarmante: oltre il 20% della popolazione è in una pericolosa condizione di povertà assoluta e di povertà relativa. Al riguardo occorre ricordare, che il decreto legge n. 4 del 2019, istitutivo del Reddito e della Pensione di cittadinanza, ha assorbito il Reddito di Inclusione (ReI), la misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, che, a decorrere dal mese di aprile 2019 non è più riconosciuta, né rinnovata. Il ReI era finanziato nei limiti delle risorse del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale (Fondo povertà), istituito dalla legge di stabilità 2016. Purtroppo gran parte delle risorse del Fondo povertà sono confluite nell’ambito del nuovo Fondo per il reddito di cittadinanza, riducendo, conseguentemente, a decorrere dal 2019, le risorse del Fondo povertà, nel quale residua ora la quota destinata al rafforzamento e alla programmazione degli interventi e dei servizi sociali.
Per affrontare il problema della povertà in modo articolato, l’obiettivo 1/2030 comprende, oltre allo sradicamento della povertà estrema, anche un sotto-obiettivo riguardante la povertà relativa, che si rifà alle definizioni nazionali. Sarebbe stato salutare e giusto che l’attuale campagna elettorale fosse stata rivolta ad individuare soluzioni credibili per garantire le persone fragili ad uscire dalla condizione di povertà e per fare sì che non vi ritornino. È evidente che un obiettivo così impegnativo preveda anche misure di consolidamento della capacità di resistenza, che comprendano l’istituzione di sistemi di protezione sociale. Nulla di tutto ciò è stato oggetto del dibattito politico ed elettorale. © RIPRODUZIONE RISERVATA