Si susseguono gli incidenti degli impianti di risalita che crescono di numero: l’ultimo domenica sulla funivia delle Tofane con 30 persone bloccate per oltre tre ore per un guasto alla struttura e la cabina che “scivola” seminando il panico. E aumenta di molto la capacità dei passaggi/ora: da 1800 oramai l’obiettivo supera i 3000. Per fortuna il più delle volte non ci sono vittime ma restano gli effetti negativi che tale attività diffonde sulle alte quote: effetti sociali, effetti ambientali, costi di gestione. Con conseguenze a breve termine molto concrete: sull’accoglienza delle piste da sci, il potenziamento delle strutture ricettive, la viabilità di accesso, la rete idrica, i parcheggi e gli scarichi di reflui. Non sarebbe ora di fermarsi e riflettere a fondo sulla qualità del turismo montano?
◆ Il commento di LUIGI CASANOVA, presidente di Mountain Wilderness Italia
► Non è il caso di speculare sul ripetersi di incidenti che coinvolgono impianti di risalita. Fortunatamente il più delle volte non contiamo vittime: certo, provocano disagi non banali. Mountain Wilderness non si presta a simili operazioni. Ma, rimanendo in quel di Cortina, prendendo spunto dalle mancate revisioni dell’impianto di risalita di Faloria (inizio stagione) e sommando quanto accaduto domenica — 30 persone bloccate per oltre tre ore sulla funivia delle Tofane, per un guasto alla struttura e la cabina che “scivola” seminando il panico —, un certo allarme lo si deve pur evidenziare. Siamo proprio sicuri che imprenditori e specialmente gli organi di controllo della Regione siano interessati alla piena efficienza e sicurezza di tali impianti di trasporto pubblico? È molto probabile che la Regione Veneto debba rivedere a fondo la qualità degli interventi ispettivi: per garantire sicurezza, evitare danni alle persone e negative ricadute di immagine, come sta avvenendo.
Detto questo va affrontato un altro tema. Da tempo l’associazione nazionale degli imprenditori degli impianti a fune cerca di sminuire gli effetti negativi che tale attività diffonde sulle alte quote: effetti sociali, effetti ambientali, costi di gestione. È necessario che gli enti pubblici, tutti, locali e nazionali, affrontino questi temi: in modo scientifico, non con brand e messaggi di marketing per lo più superficiali come fa Anef, l’Associazione nazionale degli esercenti funiviari. Stiamo assistendo non solo a un proliferare di nuovi collegamenti sciistici, specie nelle Dolomiti. Collegamenti che frammentano territori, ambiti naturali di alto pregio, paesaggi. Si assiste, ovunque, al potenziamento degli impianti, siano questi seggiovie o cabinovie. È ormai prassi aumentare i passaggi/ora: da 1800 passaggi l’obiettivo supera i 3000.
Tali potenziamenti non sono indolori per l’ambiente, non si tratta di riqualificazioni. Si tratta di nuove strutture, veloci e capaci di incrementare gli accessi. Quando gli enti pubblici offrono queste possibilità, sempre, non ci si sofferma sulle conseguenze a breve termine: a) sarà necessario potenziare l’accoglienza delle piste di sci; b) sarà necessario potenziare le strutture ricettive, a valle come a monte; c) sarà necessario potenziare la rete idrica, non solo per l’innevamento con nuovi bacini, ma anche per i servizi; d) sarà necessario potenziare la viabilità d’accesso, i parcheggi, la rete degli scarichi di reflui, completare le aree sciabili con nuovi parchi tematici e nuove offerte. Tutto questo avverrà senza più affrontare alcuna valutazione di impatto ambientale e sociale che i nuovi manufatti impongono alle alte quote.
Nel concreto, la mercificazione delle montagne in quota porta a un’urbanizzazione diffusa, a inquinamento luminoso e da rumore, a un disturbo della fauna selvatica, a interrompere paesaggi e meditazioni. In conclusione viene da chiedersi se debba proprio essere questo il deleterio destino delle nostre montagne: venire trasformate in protesi delle città? O invece, questa ormai lunga sequenza di incidenti, non dovrebbe portare gli enti pubblici a una lunga moratoria di autorizzazioni che permetta riflessione, approfondimento sulla qualità del turismo montano e nel contempo permettere agli operatori funiviari di riqualificare, senza potenziare, la rete impiantistica esistente? © RIPRODUZIONE RISERVATA