«Non credo che il mondo umano, in sostanza l’Occidente che ha invaso il mondo, possa rinsavire senza qualche evento globale fortemente traumatico. Personalmente, mi diverto a chiamare gli anni 70 del secolo scorso “L’Ultima Chiamata”, perché allora si parlava di questi argomenti “globali” e forse c’era ancora qualche possibilità di rinsavire: fra l’altro, la popolazione umana mondiale era circa la metà di quella attuale. Allora e oggi, nessuno ha risposto», racconta a “Italia Libera” il docente di Filosofia orientale e comparativa di Rimini. Per uno degli “apostoli” più noti dell’Ecologia profonda, il vero pessimismo è pensare che tutto possa andare avanti come negli ultimi due secoli, col tipico andamento esponenziale della civiltà industriale: «Il richiamo spirituale dell’Ecologia Profonda non è un rifiuto della razionalità o una forma di misticismo, ma una visione del mondo che trae le sue basi da: la Fisica Quantistica, la Biologia, l’Evoluzione, le Scienze Naturali, la Dinamica dei Sistemi, gli studi sulla Mente estesa, l’Ecopsicologia, le ricerche sulla mente degli altri animali e delle piante». E la decrescita economica non basta


◆ L’intervista di FABIO BALOCCO con GUIDO DALLA CASA, filosofo 

Guido Dalla Casa (foto Archivio Dalla Casa)

Guido Dalla Casa (Bologna, 1936), ingegnere elettrotecnico, all’inizio degli anni Settanta ha collaborato alla fondazione della Sezione Piemonte del Wwf. È docente presso la Scuola di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini, corso di Ecologia Interculturale. Fa parte del Movimento Italiano per l’Ecologia Profonda (Idem). E con lui appunto di Ecologia Profonda e di decrescita parliamo.

Tu sei un grande conoscitore e cultore dell’ecologia profonda, su cui hai scritto ampiamente. Innanzitutto, puoi spiegarci brevemente di cosa si tratta? Seconda domanda: quale rapporto tra ecologia profonda e decrescita?

«Le basi dell’Ecologia Profonda, movimento di pensiero fondato in Occidente dal filosofo norvegese Arne Naess nel 1972 (data convenzionale) si possono sintetizzare in questi punti:

  • tutte le entità naturali hanno un valore “in sé”, e non in funzione umana;
  • la posizione dell’uomo in Natura è quella di una specie animale, integrata in un Tutto, che è più della somma delle parti;
  • tutti gli esseri senzienti (animali – piante – esseri collettivi – ecosistemi – Gaia) hanno diritto ad una vita degna e all’autorealizzazione;
  • la Terra e tutti i sottosistemi vanno esaminati in una visione sintetica-olistica, dove niente è in realtà separabile in parti, perché tutto è collegato, è in realtà Uno
  • la Natura ha una sua spiritualità e sacralità;
  • la visione del mondo dell’Ecologia Profonda è ecocentrica, da cui consegue una nuova etica: l’Etica della Terra.
Primo piano del filosofo norvegese Arne Naess (1912-2009)

«Arne Naess ha distinto nettamente l’Ecologia Profonda dall’ecologia più diffusa, ancora completamente antropocentrica, da lui battezzata ecologia superficiale nell’articolo “The shallow and the deep” pubblicato nel 1973. Ha battezzato in particolare il suo pensiero come Ecosofia T (iniziale di Tvergastein, il suo rifugio sulle montagne della Norvegia del Sud). La decrescita economica e demografica consegue naturalmente dalla visione del mondo dell’Ecologia Profonda, dato l’enorme eccesso attuale dell’invadenza umana nell’Ecosistema complessivo (Ecosfera) e il processo di distruzione della Biosfera, dove tutti gli ecosistemi sono in pericolo: i processi della civiltà industriale continuano a distruggere la biodiversità e a sostituire materia inerte a sostanza vivente. Una volta raggiunta una situazione stazionaria (di equilibrio dinamico) nella nostra scala dei tempi, non è più necessaria alcuna decrescita, perché crescita e decrescita perdono ogni significato. Da un documento “fondante” dell’Ecologia Profonda: «L’esperimento dell’umanità, vecchio di diecimila anni, di adottare un modo di vita a spese della Natura e che ha il suo culmine nella globalizzazione economica, è fallito. La ragione prima di questo fallimento è che abbiamo messo l’importanza della nostra specie al di sopra di tutto il resto. Abbiamo erroneamente considerato la Terra, i suoi ecosistemi e la miriade delle sue parti organiche/inorganiche soltanto come nostre risorse, che hanno valore solo quando servono i nostri bisogni e i nostri desideri. È urgente un coraggioso cambiamento di attitudini e attività. Ci sono legioni di diagnosi e prescrizioni per rimettere in salute il rapporto fra l’umanità e la Terra, e qui noi vogliamo enfatizzare quella, forse visionaria, che sembra essenziale per il successo di tutte le altre. Una nuova visione del mondo basata sull’Ecosfera planetaria ci indica la via». (dal Manifesto per la Terra di Mosquin e Rowe, 2004 – reperibile in www.ecospherics.net). Il richiamo spirituale dell’Ecologia Profonda non è un rifiuto della razionalità o una forma di misticismo, ma una visione del mondo che trae le sue basi da: la Fisica Quantistica, la Biologia, l’Evoluzione, le Scienze Naturali, la Dinamica dei Sistemi, gli studi sulla Mente estesa, l’Ecopsicologia, le ricerche sulla mente degli altri animali e delle piante». 

Se non erro, i decrescisti non si riconoscono in un’unica “filosofia”.

Serge Latouche, “padre” della decrescita economica

«Nell’ambito del movimento per la decrescita c’è una componente forse anche maggioritaria che intende diminuire gli indici economici, dannosi per la Terra e la stessa vita umana, ma mantenendo l’attuale paradigma di maggioranza. Questi decrescisti tendono a declassare il problema ecologico globale riducendolo ad un problema politico-sociale. Personalmente, invece, non ritengo possibile ottenere una decrescita mantenendo l’attuale visione del mondo dell’Occidente, basata in sostanza su antropocentrismo e materialismo, derivati prima dall’Antico Testamento con la netta separazione fra Dio e il mondo e poi dalla spaccatura cartesiana fra spirito e materia.  Il “padre nobile” o fondatore del movimento della decrescita, l’economista francese Serge Latouche, ha parlato recentemente di “abolizione dell’economia”, ma molti suoi ex-seguaci lo hanno abbandonato».

Nonostante che logica vorrebbe che il mondo si orientasse verso la decrescita (quest’anno l’overshoot day in Italia è arrivato il 6 maggio) si continua ad inseguire il Pil, e adesso anche l’I.A., superenergivora. Sembra un mondo di pazzi. Tu credi che possa rinsavire?

Robert Kennedy, in un discorso tenuto all’università del  Kansas qualche mese prima di essere assassinato: «Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana … Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari … Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari o l’intelligenza del nostro dibattere»

«Non credo che il mondo umano, in sostanza l’Occidente che ha invaso il mondo, possa rinsavire senza qualche evento globale fortemente traumatico. Personalmente, mi diverto a chiamare gli anni 70 del secolo scorso “L’Ultima Chiamata”, perché allora si parlava di questi argomenti “globali” e forse c’era ancora qualche possibilità di rinsavire: fra l’altro, la popolazione umana mondiale era circa la metà di quella attuale. Allora e oggi, nessuno ha risposto. Il vero pessimismo è pensare che tutto vada avanti come negli ultimi due secoli, visivamente negli ultimi 80 anni per il tipico andamento esponenziale della civiltà industriale. Infatti in tal caso si arriverebbe a situazioni di una gravità neanche immaginabile per la Terra e per tutti gli esseri senzienti che la compongono. Per quanto riguarda il Pil, ormai adorato come una divinità, vale la pena riportare questo brano di un discorso di Robert Kennedy, personaggio che non era certo un “ambientalista”, tenuto all’Università del Kansas nel 1968: «Quel Pil – se giudichiamo gli Usa in base ad esso – comprende anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, e i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Comprende le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari o l’intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta». Come noto, chi aveva pronunciato queste parole fu assassinato tre mesi dopo. Il mandante non è mai stato trovato».

Copertina della prima edizione de “I limiti dello sviluppo” di Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers, William W. Behrens III, pubblicato dal Club di Roma nel 1972 in italiano

Non credi che la fatale diminuzione delle risorse porterà nuove guerre, e che anzi quelle già in atto siano legate appunto alle risorse? 

«Molte guerre, soprattutto quelle nate nella cultura occidentale, ormai diffusa quasi ovunque, sono legate alle risorse, ma forse ci sono anche altre componenti. Mi risulta che, delle 5000 culture umane esistite, circa 100 non abbiano mai fatto alcuna guerra. È solo il 2%, ma è una cifra significativa, anche se riguarda quasi esclusivamente culture native, ormai quasi scomparse (es. Boscimani, Aborigeni, Eschimesi, Hopi, ecc.)».  

Cosa pensi de “I limiti dello sviluppo” del Club di Roma? Non ritieni che fu profetico?

«A mia conoscenza, l’unico studio sistemico completo eseguito sul Sistema Mondiale e divulgato è stato effettivamente quello pubblicato in italiano nel 1972 con il titolo “I limiti dello sviluppo”, anche se la sua impostazione era ancora antropocentrica: infatti i termini “ambiente” e “risorse” presuppongono una centralità della nostra specie. Le proiezioni in avanti di quello studio si stanno rivelando esatte, dopo più di 50 anni. Allora fu fatto un errore da parte dei divulgatori, che misero in evidenza soprattutto l’esaurimento delle risorse, mentre il risultato essenziale era l’impossibilità di proseguire con gli andamenti della civiltà industriale perché incompatibili con il funzionamento del Sistema Terrestre. Come noto, in quello studio, promosso dal Club di Roma (Aurelio Peccei) ed eseguito da quattro giovani scienziati e un abile informatico del M.I.T. (Forrester), il Sistema Mondiale era stato suddiviso in cinque componenti (popolazione umana, risorse, inquinamento, produzione industriale e alimenti pro-capite) estrapolando in avanti tutte le interazioni e controreazioni delle entità componenti. La prima ipotesi (Bau – business as usual) portava ad una proiezione con inizio dei guai nel decennio 2020-2030, cosa che si sta verificando. Cambiando le ipotesi furono esaminate altre proiezioni: dei 12 scenari esaminati, solo due non portavano a un collasso del sistema, ma avevano come condizione necessaria e non sufficiente lo stabilizzarsi della popolazione mondiale attorno all’anno 1975, che corrisponde circa alla metà di quella attuale. Anche lo scenario-limite con l’ipotesi di risorse infinite collassava, solo qualche anno più tardi degli altri, perché la curva dell’inquinamento andava all’infinito. Questo dimostra che il problema principale non è “l’esaurimento delle risorse”, ma qualcosa di molto più profondo, cioè “il modo di vivere” o la “visione del mondo”, in sostanza l’intera civiltà industriale, incompatibile con la vita (o il funzionamento) del più grande Sistema Terrestre. 

Da sinistra, Jorgen Randers, Jay Forrester, Donella Hager-Meadows, Dennis L. Meadows and William W. Behrens III: i cinque giovani studiosi del MIT autori del libro che rivoluzionò il punto di vista sull’ambiente e l’economia commissionato dal Club di Roma, guidato fra gli altri da Aurelio Peccei

«Gli aggiornamenti successivi, passati sotto silenzio, hanno confermato lo studio precedente del Club di Roma. Anche il libro “Assalto al pianeta” di Pignatti e Trezza, pubblicato nel 2000 e di fatto ignorato, trattava il problema globale in modo sistemico. Forse il motivo di tutto questo “silenzio” e della non-prosecuzione di studi di questo tipo sul Sistema Terrestre è dovuto al fatto che molto probabilmente i risultati di ulteriori nuovi studi sistemici globali avrebbero evidenziato ancora di più l’impossibilità di persistenza della civiltà industriale, e questo avrebbe potuto spaventare le masse e probabilmente provocare disordini. Poi molti non riescono neppure ad immaginare che si possa vivere in modo diverso. Allo stile di vita aggiungasi il fatto che siamo veramente in troppi: l’Ecosistema Totale (Ecosfera) non può vivere (se preferite, non può funzionare) con una specie di 8 miliardi di esemplari (del peso di 70 Kg!) che pretende anche di mettersi al vertice della catena alimentare. Un rimedio completamente accettabile potrebbe essere una consapevolezza diffusa, ma per questo occorrono tempi lunghissimi, di alcuni secoli».

Nonostante si stia sempre peggio, l’ambientalismo ufficiale sta morendo. Tu cosa pensi al riguardo?

«A mio parere, sta morendo proprio perché è solo un “ambientalismo”, cioè vorrebbe salvare l’”ambiente dell’uomo”, mentre non riesce a rendersi conto fino in fondo che occorre una premessa essenziale, la percezione profonda e convinta sulla nostra posizione nel mondo, che è quella di un tipo di cellule in un Organismo molto più grande (la Natura, la Terra, se volete Wakan Tanka, l’Anima del mondo) e che quindi dobbiamo avere come primo valore il benessere e la buona salute del Complesso. Senza questa premessa, il cosiddetto ambientalismo è destinato al fallimento perché non è integrato in una visione del mondo che dovrebbe conseguire da quanto sappiamo già da diversi decenni ma viene sistematicamente ignorato, perché percepito come una “novità sgradita”, cioè che la nostra posizione in Natura come vista oggi in Occidente è solo un curioso delirio di grandezza. Comunque, i sintomi di un malessere gravissimo, individuale e sociale, stanno palesemente aumentando (psicopatie, depressioni, droghe, ecc.): secondo l’Ecopsicologia, la causa di questo malessere profondo è proprio l’allontanamento dalla Natura, alla quale comunque apparteniamo».

L’ecopacifismo “elementare” degli anni Sessanta durante le proteste contro la guerra in Vietnam

Essere decrescisti non può che accompagnarsi all’essere pacifisti?

«Vedo le due cose come collegate, ma non strettamente. Già abbiamo visto che fra i decrescisti vi sono posizioni diverse. Invece una decrescita vista come naturale conseguenza dell’Ecologia Profonda è anche pacifista in quanto considera molto attenuata l’idea di competizione che caratterizza la cultura occidentale, dove la competitività economica è diventata un dogma intoccabile ed è una delle cause determinanti delle guerre “attuali”, oltre che di altri numerosi guai, come la globalizzazione economica e culturale. Nelle espressioni più correnti dei mezzi di informazione di massa la competizione è esaltata continuamente, spesso in modo non del tutto cosciente: anche lo sport è reclamizzato soltanto come competizione».

Quale lettura consiglieresti per l’estate?

«Il libro che mi viene in mente è il primo di Arne Naess tradotto in italiano, “Ecosofia. Ecologia, società e stili di vita” edito da Red nel 1994, ma mi risulta esaurito e difficilissimo da trovare. Oso poi consigliare anche il mio, riassuntivo di molti argomenti, “L’Ecologia Profonda. Lineamenti per una nuova visione del mondo”, pubblicato da Mimesis nel 2011 (e anche come ebook da Arianna nel 2008). Molto consigliabili sono anche “Il punto di svolta” di Fritjof Capra, Feltrinelli, 1984 (ristampato nel 2013) e “La rinascita della Natura” di Rupert Sheldrake, Corbaccio, 1994».

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Nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (attualmente in quiescenza), si è sempre battuto per difesa dell’ambiente e problematiche sociali. Ha scritto “Regole minime per sopravvivere” (ed. Pro Natura, 1991). Con altri autori “Piste o pèste” (ed. Pro Natura, 1992), “Disastro autostrada” (ed. Pro Natura, 1997), “Torino, oltre le apparenze” (Arianna Editrice, 2015), “Verde clandestino” (Edizioni Neos, 2017), “Loro e noi” (Edizioni Neos, 2018). Come unico autore “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino” (Edizioni Neos, 2017), “Lontano fa Farinetti” (Edizioni Il Babi, 2019), “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo” (Edizioni Neos, 2019), “Belle persone. Storie di passioni e di ideali” (Edizioni La Cevitou, 2020), "Un'Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare" (Edizioni Il Babi, 2022). Ha coordinato “Il mare privato” (Edizioni Altreconomia, 2019). Collabora dal 2011 in qualità di blogger in campo ambientale e sociale con Il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Natura & Società e Volere la Luna.