In una coraggiosa narrazione del suo personale rapporto con la madre, l’ex presidente della Camera dei deputati compie un atto di profonda umiltà nel porre all’attenzione del dibattito pubblico la storia che lo ha accompagnato, né semplice da vivere né da raccontare. Quanta vita e salvezza ha generato la ribellione materna già dal ‘gran rifiuto di abortire’ per farlo nascere nelle incerte e tristi condizioni del campo di concetramento etiope di Dire Daua? Nel saggio pubblicato da Bollati Boringhieri, Violante rilegge anche il successivo doloroso abbandono da parte della madre come atto generativo e rivoluzionario, per trasformare non solo la storia familiare ma anche gli effetti asfittici di una vecchia società patriarcale. Uno sguardo che si allarga sul mondo per espellere il silenzioso protagonismo della morte, l’imperativo più urgente che s’impone a ciascuno di noi, come individui e come cittadini, ma anche al ‘sovrano democratico’ del terzo millennio per una una cultura nuova e profonda della vita


◆ La recensione di ANNALISA ADAMO AYMONE

Sotto il titolo, Luciano Violante in una foto di Angelo Carconi archivio Ansa

“Ma io ti ho sempre salvato” edito da Bollati Boringhieri irrompe nella serie delle pubblicazioni di Luciano Violante, portando la rappresentazione del privato e della storia personale “generosamente” all’attenzione non solo dei giuristi, dei politici, degli storici, degli educatori ma, soprattutto, delle nuove generazioni. Proprio a loro appartiene l’arduo compito di ricondurre la bontà dell’azione privata e pubblica alla salvezza della vita, unica strada per uscire dall’orrore dell’indifferenza per la morte. Mettere al centro della narrazione la “salvezza della vita”, attraverso il personale rapporto con la madre è un atto di profonda umiltà che Luciano Violante compie pubblicamente, perché la storia che lo ha accompagnato non è stata semplice né da vivere né da raccontare. 

Oggi noi siamo abituati ad una certa fluidità dei rapporti personali e familiari, a togliere  importanza alle relazione e al loro valore fondante per la nostra esistenza, a non considerare le nostre radici più intime come la scintilla dalla quale partire o ripartire se necessario, ma c’è stato un tempo in cui gli atti di ribellione e libertà di una madre erano estremamente difficili da comprendere, elaborare, affrontare, gestire ed anche difendere, non solo nella società ma anche di fronte a sé stessi e alla propria famiglia. Al valore saggistico, indiscusso e indiscutibile, di questa pubblicazione, densa di elevatissime riflessioni politiche e sociali, oltre che di preziose osservazioni giuridiche e culturali, si unisce la carica ispirante e creativa del pensatore. 

Nell’esortare gli intellettuali ad uscire dall’angolo delle appartenenze politiche per riconquistare spazi di libertà, tanto necessari quanto urgenti, per scuotere la collettività facendola uscire dal sonnambulismo che tralascia il sacro valore della vita di fronte a logiche economiche, egemoniche e nazionalistiche, Luciano Violante (che è tutt’ora uno dei pensatori e giuristi più citati al mondo) entra nelle maglie dei ricordi più intimi e scomodi per rilanciare un’immagine di mondo necessariamente più materno e audace. Quanta vita e salvezza ha generato la ribellione materna già dal ‘gran rifiuto di abortire’ per farlo nascere nelle incerte e tristi condizioni del campo di concetramento di Dire Daua? 

Ma se la vita ha un senso, Luciano Violante non poteva non rileggere il successivo doloroso abbandono da parte della madre come atto generativo e rivoluzionario, per trasformare non solo la storia familiare ma anche gli effetti asfittici di una vecchia società patriarcale. La sferzata subita nel profondo, l’uscita della madre dai ruoli e dalle maschere sociali, costituisce al contempo il suggello del messaggio femminile più radicale e importante: la vita non deve essere mai data per scontata. Un messaggio tanto forte e valido universalmente da travalicare la famiglia (marito e figli), giungendo con questo libro nel discorso pubblico, in un momento estremamente difficile, in cui assistiamo agli effetti sconvolgenti delle guerre in corso, delle migrazioni e delle discriminazioni. “Ma io ti ho sempre salvato” non è semplice appello alla responsabilità, ma un “urlo” destinato ad essere una delle più vivide icone culturali sul valore della vita. 

Etiopia 1942. Il campo di concentramento Dire Doua in cui Luciano Violante ha trascorso i primi due anni della sua vita

Il riferimento autobiografico che costituisce il titolo del libro è il punto di partenza per uno sguardo che si allarga sul mondo, attraverso un’autorevole lente d’ingrandimento, che non perde mai le coordinate dell’essenziale. La nascita, la vita e la morte sono atti definitivi e beni sacri e alla luce di questo bisogna capire «la storia in cui siamo immersi, per limitarne i rischi, porre con tutta la necessaria durezza il problema centrale della vita e svilupparne le potenzialità, in nome di una responsabilità etica verso l’umano». Tra grandezza e miseria del genere umano la politica – che per Luciano Violante – deve entrare come arké, potere legittimo proprio perché fondato su regole accettate, connesso al consenso, alla persuasione e quindi alla democrazia, non può che essere frutto di ragionevolezza, di una sapienza capace di leggere la complessità della condizione umana, di capire che il nesso di causalità è insufficiente per tradurre la complessità della vita. 

Espellere il silenzioso protagonismo della morte è l’imperativo più urgente che s’impone a ciascuno di noi, come individui e come cittadini, ma altresì al ‘sovrano democratico’ del terzo millennio. Infatti, la democrazia rispetto all’assolutezza della vita «non ammette contraddizione e impone il superamento della scissione tra teoria e prassi», in definitiva «non si può essere agnostici di fronte alla distruzione della vita». Viene affrontato anche il tema della ‘vita patria’, perché quando l’art. 52 della Costituzione italiana, esempio indiscusso di modernità per l’attenzione allo sviluppo della persona umana nell’esercizio dei pubblici poteri, scrive «la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino» non si riferisce «a parametri metafisici ma al rispetto totale e incondizionato che riguarda l’unità e la salvezza della patria» con chiaro riferimento da parte dell’autore alle recenti suggestioni divisive o differenziative che occupano attualmente il dibattito politico. 

Trascendere la vita dei singoli e adempiere gli obblighi di solidarietà è alla base di ogni società evoluta, nella quale il diritto alla vita è bios, cioé dignità, sviluppo, conoscenza della persona umana. «Se siamo convinti – dice Violante – della sacralità della vita, come fatto irripetibile e irriproducibile, bisogna combattere per la vita con politiche di vita». Non c’è dubbio che il diffondersi dell’insensibilità alla morte di milioni di persone, derivante da deliberate scelte politiche porta allo sfaldamento dei legami culturali che tengono insieme la società. Per Luciano Violante occorre ricostruire, anche laicamente la sacralità della vita e della morte, per non diventare preda del cinismo. «Oggi si chiede la pace. Ma la vita è più della pace perché riguarda le persone, mentre la pace riguarda gli Stati. Le ragazze iraniane rischiano il carcere gridando “donna, vita, libertà”; non vogliono la pace, vogliono la vita, perché dalla vita nasce la libertà e la pace. Forse sono più avanti di noi. Non parlo di leggi – dice Violante – , parlo di una cultura nuova e profonda della vita, da costruire attraverso la consapevole conoscenza di quanto accade attorno a noi e il libero dibattito pubblico». 

Si spiega così che, di fronte alle ricorrenti immagini di madri fuggite dai lager libici o tunisini, dalle strade dell’Ucraina, da Gaza o da Israele, disperatamente avvinghiate ai figli, che non sono riuscite a salvare, il ricordo è spesso andato a quel “Ma io ti ho sempre salvato”, perché «dovrebbero poterlo dire tutte le madri». Purtroppo la realtà è tragicamente diversa. Se, come dice il poeta Samuel in Naghrila ha-Nagid, «la saggezza dell’uomo si trova nei suoi scritti, e la punta della sua penna porta l’intelligenza delle cose» non v’é dubbio che, in questi tempi così controversi ed a tratti molto bui, Luciano Violante con la sua penna ed il suo libro è salito tanto «in alto quanto lo scettro nella mano di un re». © RIPRODUZIONE RISERVATA

È stata avvocato, formatrice e docente, ricoprendo numerosi incarichi pubblici. Da capo degli Affari generali e legali del Comune di Taranto ha promosso la prima causa risarcitoria contro i patrons di Ilva, responsabili del più grande disastro ambientale della Repubblica italiana. In seguito al giudizio è stato disposto un risarcimento di 12 milioni di euro in favore della città. È stata assessore all’Ambiente, alla legalità e alla qualità della vita del Comune di Taranto. Insieme ad una rete di associazioni, comitati e fondazioni svolge un’intensa attività di sensibilizzazione su temi inerenti diritti, ecologia, ambiente e tutele del patrimonio naturale e culturale. Ha creato #AnteLitteram rassegna di incontri con esponenti della società civile avviando un vero e proprio movimento culturale. Collabora con il Centro Ricerca Arte Contemporanea Puglia, altre istituzioni ed enti per valorizzare il ruolo che l’arte e la cultura hanno per la costruzione del valore della cittadinanza e della democrazia. Ha ricevuto il premio Tarenti Cives Delfini d’argento 2022. È stata chiamata a curare la sezione sul Mediterraneo dell’edizione 2022 del Festival del cinema promosso da Apulia Film Commission.