Il clero ebraico, spiega il rabbino Alberto Moshe Somekh di Milano, ha una sola preoccupazione: l’annientamento totale del nemico e il fare in modo che Dio non si impietosisca per il suo sterminio. Il nemico è l’eterno Amaleq che rivive in spiritu presso tutti quei popoli che cercano di distruggere Israele e la sua Torah. «Se comprendo bene», scrive Alfredo Antonaros, «questo Amaleq è, nella versione che ne danno oggi lo stato e l’esercito israeliano e il governo di Netanyahu, tutto il popolo palestinese, bambini compresi, e larghe fette di popolazione mediorientale. E se si riflettesse, invece, sulle sole quattro lettere della parola pace? Potrebbe far piacere persino a Yahweh (o El, Eloah, Elohim, Elohay, Shaddai, Tzeva’ot) sempre così paziente con tutti. Perfino con imam, preti e rabbini»: è finito nel tritacarne dell’antisemitismo. “Corrono brutti tempi e peggiori incalzano…”


◆ Il commento di ALFREDO T. ANTONAROS

Ho trascorso gran parte della mia vita, non più troppo lontana dallo striscione del finale, a denunciare l’orrore della Shoah e il genocidio nazista. Ho ripetuto in mille occasioni, in privato e in pubblico, che, come diceva Amos Oz, lo scontro tra i palestinesi e Israele non è un conflitto fra un torto e una ragione ma il confronto fra due ragioni. Eppure sono finito anch’io in quell’assurdo tritacarne che vuole che chiunque si azzardi a denunciare quanto stanno facendo le armi e i carrarmati del governo israeliano a Gaza venga immediatamente accusato di antisemitismo. Me ne farò una ragione. Intanto sono mesi che mi domando per quale motivo anche dal mondo rabbinico, come da quello del clero cristiano, e spesso anche da quello islamico che non inneggia alla guerra santa, non si levino voci a favore della pace in Palestina. Poi ho letto “La riflessione” del rabbino Alberto Moshe Somekh di Milano (pubblicata nel sito Opinioni a confronto del ‍‍23 maggio 2024) e credo di aver svelato il mistero. 

L’uccisione di Agag, illustrazione di Gustave Doré, English Bible, 1866 (Lo sterminio di Amalek)

Il clero ebraico, spiega Rab Somekh, ha una sola preoccupazione: l’annientamento totale del nemico e il fare in modo che Dio non si impietosisca per il suo sterminio. Tutto il resto, secondo lui, sono bubbole.  Saltabeccando tra le sacre Scritture con l’abilità di un funambolo il rabbino Somekh spiega che il nemico – due, tremila anni fa, ma pure oggi − è Amaleq che rivive in spiritu presso tutti quei popoli che cercano di distruggere Israele e la sua Torah. Se comprendo bene questo Amaleq è, nella versione che ne danno oggi lo stato e l’esercito israeliano e il governo di Netanyahu, tutto il popolo palestinese, bambini compresi, e larghe fette di popolazione mediorientale. I nemici del “popolo eletto”. Inoltre, aggiunge il rabbino, c’è la Mitzwah (il comandamento giunto da Dio per essere eseguito come un dovere religioso) di distruggerne pure il ricordo di questi avversari: «Distruggerai il ricordo di Amaleq da sotto il cielo. Non dimenticarlo» (Devarim 25,19). Amaleq è il «nemico» del Cielo per antonomasia in quanto personificazione del Male assoluto «da quando Sennacherib re di Assiria ha conquistato l’Oriente e ha confuso le popolazioni antiche». 

In alto, i soldati israeliani raccolgono i cadaveri delle vittime del progrom di Hamas nel kibbutz di Kfar Aza il 7 ottobre 2023; in basso, i bambini palestinesi di Gaza terrorizzati dai bombardamenti dell’esercito israeliano

Per chi non sapesse va spiegato che questo Amaleq (o Amalek) corrisponde al capostipite degli Amaleciti (o Amalechiti), un antico popolo che abitava nel Negev, ricordato più volte nella Bibbia ebraica, combattuto da Saul (1Sam 15,7), contro cui si scontrarono gli Israeliti a Refidim, nel deserto del Sinai, durante l’esodo dall’Egitto (Pentateuco ed Esodo 17,8). Poi gli Amaleciti attaccarono ancora gli Israeliti a Corma (Num 14,45) e si allearono con i Moabiti (Giudici 3,13) e i Madianiti (Giudici 6,3) sempre contro gli Israeliti. Questi attacchi degli Amaleciti non verranno perdonati e il Dio d’Israele, ricorda Rab Somekh, ha finito per ordinare il loro sterminio (Es 17,14-15 e Dt 25,19 ma anche 1Sam 15,2-3) cosa cui provvide, con tutta la crudeltà necessaria, una spedizione di Saul contro la «città di Amalek» (1Sam15). Anche «David intraprese una guerra santa di sterminio contro gli Amaleciti», ricorda la Jewish Encyclopedia, ma ne sopravvisse sempre qualcuno, pronto a combattere contro il popolo di Israele. 

Ora il problema, sottolinea il rabbino Somekh è che, anche una volta sterminato il nemico, resta «inopportuno gioire della sua caduta, per il fatto che potrebbe ancora rialzarsi e nuocere. Solo allorché siamo certi che egli soccombe in modo definitivo, che la sua malvagità ha trovato tutta intera la retribuzione che merita, senza rischio di ripercussioni. Solo allora, archiviando definitivamente il caso, possiamo manifestare la nostra soddisfazione: non per la sofferenza del malvagio, ma per il trionfo del Bene». «Non gioire quando il tuo nemico cade, affinché l’Eterno non se ne accorga, se ne dispiaccia e ritragga da lui la sua ira (per riversarla su di te)», ricorda Rav Alberto Somekh citando la massima di Shemuel ha-Qatan, nel quarto capitolo dei Pirqè Avot. D’altronde è scritto, ricorda ancora, che «quando i malvagi vengono distrutti è giubilo» (Mishlè 11, 10). E qui il rabbino arresta la sua eruditissima disquisizione senza fare alcun cenno ai trentacinquemila morti palestinesi di queste settimane. A lui non interessano. 

Leggiamo che Rav Somekh non vive sulla luna ma insegna Studi Ebraici presso il Liceo Ebraico e la Scuola Rabbinica di Milano, dove è nato. Ha studiato alla Yeshiva University di New York e alla Cattedra Rabbinica di Bologna, dove ha avuto incarichi alla locale Università. È sicuramente un rabbino colto. Forse anche una brava persona. Posso solo augurargli che se, passeggiando per Milano, gli capiterà di incontrare, scritta con la vernice su un muro, la parola pace, possa fermarsi. E prendersi un paio di minuti per interrogarsi sul significato stuzzicante che potrebbe avere per la Palestina, ma anche per Israele, quella breve parola di sole quattro lettere. Parola che forse potrebbe far piacere anche al suo Yahweh (o El, Eloah, Elohim, Elohay, Shaddai, Tzeva’ot) sempre così paziente con tutti. Perfino, nella sua immensa bontà, con imam, preti, rabbini e gente del genere. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Scrittore di romanzi, drammaturgo, sceneggiatore di film, saggista, direttore di teatro, autore e conduttore tv. Nei suoi romanzi centrale è il tema dell’esilio. Nei suoi saggi si è occupato in particolare dell’evoluzione sociale e culturale dell’alimentazione.