Emmanuel Macron e Olaf Scholz perdono insieme con uno schianto fragoroso

In Francia le destre estreme toccano il 40% e Macron scioglie il parlamento e indice nuove elezioni fra quattro settimane. Paga il suo ottuso e protervo bellicismo assieme a Olaf Scholz, surclassato dal partito neonazista, trascinando con sé i Grünen che dimezzano i voti rispetto a tre anni fa. Uno schianto fragoroso. Giorgia Meloni consolida il suo consenso, Forza Italia sopravvive a Berlusconi e Salvini consegna la Lega a Vannacci. Renzi e Calenda si suicidano (ma continueranno, imperterriti, a migrare da un talk show all’altro, sempre bene accolti dai domatori del circo mediatico). A sinistra il Pd recupera un pezzo del suo elettorato disperso a spese di Giuseppe Conte, in un travaso a somma zero. La leadership plurale tra Verdi e Sinistra fa compiere un balzo fin quasi al 7% agli ecologisti: mai così in alto in una elezione generale. L’onda nera ora può far deragliare davvero l’Unione europea costruita dopo due guerre mondiali


◆ L’editoriale di IGOR STAGLIANÒ

Lo schiaffo più sonoro è arrivato sul volto di Emmanuel Macron, seguito da quello incassato da Olaf Scholz. Il motore delle due locomotive politiche ed economiche dell’Europa si è inceppato contemporaneamente con uno schianto fragoroso. Le spinte anti establishment generate da un disagio sociale crescente si sono saldate ad un sentimento contro la guerra in Europa, capitalizzato, paradossalmente e in massima parte, dall’estrema destra tedesca, austriaca e francese. Nel paese che quattro giorni fa ha celebrato ai massimi livelli l’ottantesimo anniversario del D-day che diede il via alla Liberazione dell’Europa dal nazifascismo, oggi avanzano le destre peggiori. Sommate, in Francia esse raggiungono il 40% dei consensi elettorali, ipotecando in buona misura il risultato delle elezioni legislative che Macron è stato costretto a tambur battente ad indire fra quattro settimane. Un D-day al contrario.

Marine Le Pen e il suo pupillo, il capolista Jordan Bardella, vincitore delle europee 2024 in Francia

Se lo schiaffo a Macron fosse solo il risultato, mai così prevedibile, della protervia sciovinista d’oltralpe — persino nei confronti della storia della Seconda guerra mondiale, riscritta ad uso e consumo del tappeto rosso da stendere ai piedi dell’incespicante Biden — potremmo fare spallucce e andare oltre. Combinata alla batosta di Scholz, surclassato addirittura da un partito dichiaratamente nazista, è la sconfitta dell’Asse franco-tedesco a terremotare l’Europa che abbiamo conosciuto sin qui. Un asse bellicista che ha risucchiato nella sua orbita autodistruttiva i Grünen tedeschi portandoli a dimezzare in tre anni i loro voti. L’opinione pubblica europea si è espressa più volte contro l’escalation della guerra in Ucraina, per chi aveva orecchi per prestargli ascolto. Eppure, cinque giorni prima del voto il ministro tedesco della Difesa, il socialdemocratico Boris Pistorius, ha detto apertis verbis che dobbiamo preparare i nostri figli a entrare in guerra entro i prossimi cinque anni. Se non è dio a togliere il senno a chi vuol perdere, chi altri sarà?

Giorgia Meloni e Elly Schlein esultano dopo il voto con due vittorie parallele

Aver voluto dirottare risorse crescenti verso la corsa agli armamenti non vuol dire solo stravolgere l’identità ideale e politica dell’Europa voluta dai padri fondatori dell’Unione. Il che è sempre bene ricordarselo. Vuol dire sottrarre nell’immediato futuro risorse vitali ad un welfare inclusivo che ha costruito settant’anni di pace e benessere nel Continente. E negarle, contemporaneamente, a un Green Deal che ha posto l’Europa dell’ultimo lustro all’avanguardia del mondo nella lotta contro la crisi climatica e per la giustizia sociale. Un’inversione a “U” che ha il volto di Ursula von Der Leyen che, pur di restare in sella per un secondo giro a capo della Commissione europea, ha ridato fiato al veleno nazionalistico, foriero — come sempre nella storia d’Europa — di altre sanguinose tragedie. E, attraverso la cooptazione della sua “amica Giorgia”, l’onda nera ora può far deragliare l’Unione europea come è stata costruita sin qui, schiudendo le porte alla destra più radicale.

La sfida ineludibile per fronteggiare la crisi e la giustizia climatica, intrecciata ad una sanità a pezzi e a un lavoro povero che si allarga a macchia d’olio, è anche il terreno per rimettere insieme i pezzi dell’opposizione politica al governo Meloni. Davanti c’è una destra, ottusa o in malafede, che ha infarcito di bugie rozze e grottesche la sua propaganda elettorale contro la conversione ecologica e sociale, per un’agricoltura che rispetti salute dei consumatori e reddito degli agricoltori. Sono, questi, contenuti che le nostre società non possono più ignorare. Meloni e i suoi alleati lo hanno fatto confondendo le acque e solleticando i bassi istinti su case e mobilità green su cui l’Europa uscita dal voto di ieri potrebbe cedere ulteriore terreno alle lobby potentissime Oil&Gas che l’hanno ghermita. A pagare un prezzo salatissimo saranno, se il progetto dovesse compiersi, i ceti sociali più deboli ingannati dalla demagogia di un negazionismo antiscientifico spudorato. 

Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, leader di Verdi e Sinistra

In Italia, il recupero di una fetta significativa dell’elettorato disperso del Pd, perseguito con umiltà e tenacia dalla leadership di Elly Schlein, è avvenuto a discapito dei 5 Stelle di Giuseppe Conte, in un travaso a somma zero. Essi pagano bizze competitive di troppo all’interno di un’alleanza di centro sinistra senza la quale la Meloni potrà dormire sonni elettorali tranquilli ancora a lungo. Un raggio di luce è venuto, invece, dal successo dell’Alleanza Verdi e Sinistra attestata attorno al 7%: mai così in alto in una elezione generale. Una leadership plurale che — stavolta — ha saputo intrecciare ecologismo, difesa della democrazia, lotta per la giustizia climatica e per la pace, contro democrature, razzismo e xenofobia. Onore al merito, dunque, e buon lavoro: occhio, però, a non disperdere un lievito prezioso che l’8 e 9 giugno è stato messo generosamente nelle vostre mani, cari Bonelli e Fratoianni. Pensate, anche solo per un attimo, ai tantissimi che non sono andati a votare, un italiano su due, disillusi e scoraggiati. E alle praterie che possono essere percorse e conquistate con loro. Territori disseminati — ahinoi — di trappole e nemici in agguato, coi lanciafiamme a sei zampe fra i denti. A Roma come a Bruxelles. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore - Da inviato speciale della Rai, ha lavorato per la redazione Speciali del Tg1 (Tv7 e Speciale Tg1) dal 2014 al 2020, per la trasmissione “Ambiente Italia” e il telegiornale scientifico "Leonardo" dal 1993 al 2016. Ha realizzato più di mille inchieste e reportage per tutte le testate giornalistiche del servizio pubblico radiotelevisivo, e ha firmato nove documentari trasmessi su Rai 1, l'ultimo "La spirale del clima" sulla crisi climatica e la pandemia.