Dagli anni ’80 l’Europa registra incrementi di temperatura doppi rispetto al tasso medio globale ed è quindi particolarmente esposta agli effetti della crisi climatica: tra il 1980 e il 2022 ha subito perdite economiche per 650 miliardi di euro. Dopo le elezioni europee un rallentamento degli sforzi per contrastarne gli effetti ambientali e sulla salute umana avrebbe anche gravi conseguenze sul tessuto industriale del continente. L’accelerazione verso le auto elettriche è destinata comunque ad aumentare con la riduzione dei loro costi. Secondo uno studio della Bocconi, i nuovi dazi sulle importazioni a partire dal 4 luglio costeranno per i consumatori europei almeno 10.000 € in più per auto, consentendo ai produttori europei di mantenere i prezzi più alti e riducendo notevolmente il mercato dei veicoli elettrici. Con una previsione di 2 milioni di auto elettriche vendute quest’anno, i dazi si tradurrebbero in un costo per i consumatori europei di oltre 20 miliardi di euro. Per aggirare i nuovi dazi, le case automobilistiche cinesi costruiranno nuovi stabilimenti in Europa: in Ungheria è già arrivato il colosso dei veicoli elettrici Byd


◆ L’analisi di GIANNI SILVESTRINI, direttore scientifico Kyoto Club, presidente Exalto Energy&Innovation

Quanto sono rischiosi i risultati delle elezioni per il Parlamento europeo sul fronte degli impatti ambientali? Appare scontato un rallentamento delle politiche climatiche alla luce del rafforzamento delle destre e dei problemi di Parigi e Berlino. Un dato preoccupante, anche per il rincorrersi di eventi estremi che colpiscono il pianeta, con il nostro continente che tra il 1980 e il 2022 ha subito perdite economiche per 650 miliardi di euro. Peraltro, ricordiamo che dagli anni ’80 l’Europa registra incrementi di temperatura doppi rispetto al tasso medio globale ed è quindi particolarmente esposta. Ma un rallentamento degli sforzi sul fronte climatico avrebbe anche gravi conseguenze sul tessuto industriale del continente.

Per capire quali evoluzioni potranno avere le politiche climatiche in Italia e in Europa occorre fare qualche considerazione di contesto. Rinnovabili, batterie, mobilità elettrica sono tutte aree destinate ad una inevitabile crescita esponenziale su scala globale. Da un lato abbiamo la Cina che in maniera lucida ha capito un quarto di secolo fa che la transizione verde sarebbe stata vincente ed ha investito cifre colossali in questi settori diventandone leader mondiale. Gli Usa hanno agito su due fronti: da un lato hanno lanciato l’Inflation Reduction Act (Ira) per far recuperare alle proprie industrie i ritardi accumulati e dall’altro hanno introdotto una barriera alle importazioni cinesi. La tassa del 100% per le auto elettriche, ad esempio, bloccherà le importazioni da Pechino. 

E l’Europa? È indubbio che abbia avuto un ruolo storico con la definizione di obbiettivi ambiziosi. Dopo l’aggressione russa all’Ucraina ha spinto molto, in particolare, sulle rinnovabili con risultati interessanti. La produzione eolica e solare ha ridotto, tra il 2019 e il 2023, la generazione elettrica da carbone e gas di un quinto con un aumento del 113% della potenza solare. E nel 2023, per la prima volta, l’eolico ha prodotto più elettricità del gas. Ma va detto che la sua politica industriale green è partita in ritardo. Nelle tecnologie di punta della transizione – auto elettriche, batterie, rinnovabili – si trova quindi in una fase molto delicata.

Fig. 1 – La crescita esplosiva delle tecnologie green è destinata a continuare

Su questo fronte i risultati delle elezioni europee, pur non provocando scossoni drammatici, certamente indurranno ad una moderazione delle politiche ambientali ed in particolare di quelle climatiche. Questa cautela potrebbe però trasformarsi in un grave contraccolpo industriale ed economico in Europa, che dovrebbe avviare politiche intelligenti nel nuovo contesto internazionale. È vero che una eventuale elezione di Trump rallenterebbe anche la corsa climatica negli Usa. Ma, allargando lo sguardo, i prossimi anni saranno caratterizzati su scala globale dalla continuazione della fortissima accelerazione della transizione energetica, a partire dalle rinnovabili e dalla mobilità elettrica, come anche gli ultimi rapporti della Iea sottolineano. Per cui l’Europa rischia di venire fortemente ridimensionata. E, a maggior ragione, il ruolo di un’Italia politicamente defilata ne determinerà una crescente marginalità.

Tentativi inutili di frenare la corsa delle auto elettriche. L’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea) ha presentato il suo manifesto intitolato “Un’industria automobilistica europea competitiva alla guida della rivoluzione della mobilità”. Secondo Luca de Meo, presidente dell’Associazione: «Faremo tutto il possibile per garantire che le nostre aziende siano in grado di raggiungere gli obbiettivi. Siamo qui per rendere l’Europa innovativa e l’elettrificazione è uno dei campi di innovazione nei trasporti, non è possibile tornare al punto di partenza, perché non ha senso ed è dannoso per l’ambiente», ma aggiunge anche una riflessione importante: «È un vantaggio per l’Europa imparare dai produttori cinesi, che sono una generazione avanti in termini di prestazioni e costi dei veicoli elettrici».

Ecco, dunque. L’obbiettivo delle case automobilistiche europee, e anche di quelle statunitensi con l’eccezione di Tesla, dovrebbe essere quello di accelerare la corsa verso l’elettrico. Mentre le forze di destra hanno attaccato con incredibile miopia gli obbiettivi europei sulla fine della vendita delle auto a combustione interna nel 2035: una follia in grado di mettere in ginocchio l’industria del Continente. Una posizione questa tutta ideologica, e pericolosa proprio per le nostre industrie che, al contrario, devono recuperare il tempo perduto. Ed è significativo il fatto che lo stop del 2035 sia stato successivamente adottato anche dalla Gran Bretagna, Canada e altre importanti realtà, come 11 Stati Usa, ad iniziare dalla California.  Ancora una volta l’Unione Europea ha fatto da apripista.

Fig. 2 – Il drastico calo dei prezzi delle auto elettriche in Cina, inferiori rispetto a quelli delle auto convenzionali

L’accelerazione verso le auto elettriche è destinata ad aumentare con la riduzione dei loro costi. Già oggi alcuni modelli vengono messi sul mercato occidentale con prezzi molto interessanti. Peraltro, secondo la Iea, se nel 2018 meno del 15% delle auto elettriche vendute in Cina aveva prezzi inferiori rispetto a quelli delle auto tradizionali, lo scorso anno questa quota aveva già superato il 60% (Fig.  2). Va inoltre sottolineato il vantaggio ambientale di questa transizione. La diffusione dei mezzi elettrici aiuterà infatti a ridurre il contributo delle emissioni climalteranti dei trasporti in Europa, un comparto molto critico che ha visto un loro aumento del 25% dal 1990. In effetti, secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, le emissioni medie di CO2 di tutte le nuove auto immatricolate in Europa nel ’23 sono state inferiori dell’1,4% rispetto al ’22, proprio grazie alla quota crescente di veicoli elettrici.

Che fare con “l’invasione” prossima di auto cinesi? La Commissione europea che aveva aperto ad ottobre una indagine sui rischi legati alle importazioni di auto elettriche cinesi, ha concluso che i produttori di Pechino “beneficiano di sussidi ingiusti” e rappresentano una minaccia per i produttori europei. L’Ue sostiene che ogni fase del processo di produzione dei veicoli elettrici, dalle miniere che producono il litio utilizzato nelle batterie alla spedizione delle auto a Rotterdam e Zeebrugge, è sovvenzionata in Cina a livello nazionale, regionale e locale. L’indagine ha anche evidenziato il caso di terreni ceduti gratuitamente a fabbriche di automobili. A partire dal 4 luglio verranno quindi imposti dazi compensativi sulle importazioni. Si va dal 17,4% per Byd al 36,1% per Saic, valori che si aggiungerebbero al 10% già esistente. Secondo uno studio della Bocconi, il costo per i consumatori europei sarebbe di almeno 10.000 € per auto, consentendo ai produttori europei di mantenere i prezzi più alti e riducendo così notevolmente il mercato dei veicoli elettrici. Con una previsione di 2 milioni di auto elettriche vendute quest’anno, i dazi si tradurrebbero in un costo per i consumatori europei di oltre 20 miliardi di euro. 

Assemblaggio robotizzato nello stabilimento Byd (Build Your Dreams) nella provincia di Xi’an, Shaanxi

Ma qual è la situazione? I veicoli elettrici provenienti dalla Cina venduti nell’Ue sono passati da meno dell’1% all’8% nel 2022. Questa quota, provvisoria, potrebbe salire al 15% entro il 2025. Va però chiarito che due terzi di queste importazioni sono prodotte da aziende europee e statunitensi operanti in Cina. In realtà, l’ipotesi della Commissione che si tratti di incentivi ingiusti è piuttosto debole, considerando che sia negli Usa che in Europa esistono molteplici sostegni alle aziende locali. Concordo con quanto Alberto Mingardi ha scritto sul Corriere: «Se la priorità è la transizione, la strategia che ha senso è avere più macchine elettriche possibile, al prezzo più basso possibile. Se la priorità è l’industria europea, i tempi della transizione dovrebbero essere rivisti. Rischiamo di trovarci in una specie di “mercantilismo di sussistenza”, il cui unico esito sarà produrre prezzi più alti per il consumatore». E, aggiungiamo, con un minore stimolo all’innovazione per le nostre industrie.

Va però detto che queste tensioni potrebbero portare anche all’apertura di fabbriche di Pechino nel nostro continente. Non a caso Stellantis ha siglato un accordo con la cinese Leapmotors con lo scopo di «trarre vantaggio» da «un processo ormai avviato», che non si può fermare. L’accordo per ora è commerciale, ma potrebbe portare all’insediamento di fabbriche in Europa. L’Ungheria, che ha prodotto circa 500.000 veicoli nel 2023, si è assicurata il primo investimento in uno stabilimento europeo da parte del colosso cinese dei veicoli elettrici Byd, che sta anche valutando un secondo stabilimento europeo nel 2025. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Questo articolo esce anche su Qualenergia.it

Ha svolto attività di ricerca presso il Cnr e il Politecnico Milano, dove è responsabile del master “Ridef – reinventare l’energia”. È stato direttore generale del ministero dell’Ambiente e consigliere di Pierluigi Bersani al ministero dello Sviluppo economico. È direttore scientifico del Kyoto Club un’organizzazione non profit, creata nel febbraio del 1999, costituita da imprese, enti, associazioni e amministrazioni locali, impegnati nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas climalteranti. È anche direttore scientifico della rivista e del portale “QualEnergia” promossi da Legambiente e da Kyoto Club. È presidente di Exalto, una società impegnata nella transizione energetica in atto. Autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche e di cinque libri, fra cui “2 °C - Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia”, 2016, e “Le trappole del clima”, 2020, scritto insieme a GB Zorzoli, Edizioni Ambiente.