
Il potere della Dc e la sua volontà di mantenere il controllo dei Consorzi agrari; poi la nazionalizzazione dei colossi dell’energia elettrica; e intanto gli esiti trascinanti del Piano Marshall, nell’Italia demolita dal finale tragico della guerra, che si risvegliava alla democrazia, alla rinascita economica, e si preparava alla stagione del boom economico che avrebbe sorpreso il mondo
◆ Il corsivetto di VITTORIO EMILIANI
► Nel 1947 andarono negli Stati Uniti sia Gian Lupo Osti futuro presidente della Italsider e amministratore delegato della Terni (società acciai speciali, ritornata lo scorso anno a controllo italiano, ndr) sia Paolo Sylos Labini economista di punta nella programmazione economica. Entrambi, al di là della propaganda, mi dissero di essere rimasti colpiti da qualità e quantità del Piano Marshall, del suo impatto positivo su di una economia post bellica come quella italiana bisognosa di interventi decisivi.
Certo poi ci furono gli interventi diretti del Vaticano come le forniture di farina della Poa, Pontificia Opera di Assistenza, e che furono gestite dall’organizzazione che si sarebbe per decenni impossessata con Paolo Bonomi della rete dei Consorzi Agrari che il primo centrosinistra proverà a riscattare con Ercole Bonacina. Inutilmente. La Dc non ha mai voluto allentare la sua presa sulla politica agricola. Ha accettato con Fanfani una grande riforma di struttura come la nazionalizzazione, in tredici mesi, dei colossi elettrici privati. Ma non si è mai lasciata spiazzare sulla politica agricola e sui Consorzi Agrari che garantivano posizioni di potere uniche. © RIPRODUZIONE RISERVATA