Mussolini e Grandi nel 1925 al Forte San Gallo di Nettuno, dopo l’accordo tra Italia e Jugoslavia

Con una serie di brevi ritratti, come “acquarelli” letterari, Vittorio Emiliani racconta personaggi che ha conosciuto o che comunque hanno fatto parte della Storia d’Italia che sentiamo più recente, come anche il tragico ventennio fascista. Dino Grandi ha attraversato il secolo (è nato nel 1895, è morto nel 1988) ed è stato uno dei protagonisti del Ventennio, dal quale si è salvato nonostante la clamorosa rivolta del Gran Consiglio che lo vide protagonista. Condannato a morte dalla Repubblica sociale italiana, era già oltre confine e si salvò dalla cattura. Processato (e assolto) nel dopoguerra come ex-gerarca, rientrò definitivamente in Italia sono negli anni Sessanta


◆ L’acquarello di VITTORIO EMILIANI

Dino Grandi era detto il Conte di Mordano, carica alla quale lo promosse Mussolini (che pure non lo amava, ritenendolo un antagonista se non un avversario nella guida dello squadrismo). Fu uno dei protagonisti della Marcia su Ravenna che anticipò quella su Roma e con la quale venne distrutto il grande patrimonio delle potenti cooperative socialiste create da un pioniere autentico come Nullo Baldini mandato al confino di polizia nel profondo Sud. Non partecipò tuttavia Dino Grandi alla Marcia su Roma ritenendola una inutile parata. Venne nominato da Mussolini ambasciatore a Londra sia per toglierselo di torno, sia per approfondire i non facili rapporti col mondo anglosassone. Grandi svolse bene questo complesso compito. Anche se non dissipò mai la diffidenza del Duce. Non a caso fu proprio Grandi uno dei promotori della congiura del 25 luglio 1943 ritenendo che il Duce avesse esaurito il suo compito.

Nessuno in realtà pensava che quella riunione del Gran Consiglio non convocato da anni potesse avere sviluppi così drammatici. E sul momento  non li registrò. Fino a quando alcuni gerarchi non intuirono la grande debolezza del Duce e prepararono un documento che suonava sfiducia nella condotta della guerra ormai alle porte in Sicilia. Il Gran Consiglio diveniva così inaspettatamente un processo al Duce stesso. Con Dino Grandi nella veste di leader di questo gruppo. La sospensione dei lavori non alleggerì il clima e la votazione mise per la prima volta dopo decenni in minoranza Mussolini che non si aspettava quel colpo basso, quella sfiducia. Per la prima volta il Duce era in minoranza. Né la sosta dei lavori richiesta dal segretario del Pnf Carlo Scorza provocò modifiche di fondo. Mussolini era per la prima volta in netta minoranza.

Seduta del Gran Consiglio del fascismo il 25 luglio 1943 (credit ColaImages, Istituto Luce)

Quel 25 luglio 1943 sarebbe rimasto nella storia. Alcuni gerarchi ribelli pensarono di venire arrestati, ma non successe loro nulla. La drammatica riunione poté sciogliersi senza incidenti. Quando Benito tornò a Villa Torlonia dove risiedeva con la famiglia, la moglie Rachele gli gridò che avrebbe dovuto far arrestare, anzi ammazzarli, tutti. Mussolini avvilito le rispose che non sapeva dire altro che ammazzare. Aveva chiesto al Re un incontro non intuendo che Vittorio Emanuele III sapeva tutto e dopo un breve colloquio lo avrebbe fatto salire su una ambulanza per farlo condurre di fatto in arresto. Da lì in prigione. Il Duce era finito. Cominciava un’altra fase storica. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.