Turandot di Puccini con la regia di Franco Zeffirelli al Metropolitan di New York (credit Metropolitan Opera); sotto il titolo, l’Orfeo di Claudio Monteverdi in una rappresentazione del 2018 al Teatro Regio di Torino

Cominciò Claudio Monteverdi con l’Orfeo, il precursore di un sorprendente fenomeno musicale che caratterizzò la cultura italiana per oltre due secoli. In poche righe, Vittorio Emiliani ci accompagna in un breve viaggio nelle fortune del melodramma, del quale il musical può essere considerato l’erede culturale


◆ Il corsivetto di VITTORIO EMILIANI

Il melodramma ha avuto una prosecuzione col musical? Probabilmente sì, perché nel musical si ritrovano canto, danza, recitazione. Che sono alla base fin dalle origini dell’opera in musica. Cioè nell’Orfeo di Claudio Monteverdi ritenuta la prima forma di recitar cantando della storia. Alla corte dei Gonzaga a Mantova nel 1616. Poi ci sono stati due secoli almeno di melodrammi: buffi, giocosi e seri. Durante la Quaresima non ci potevano essere spettacoli e quindi si ricorreva alle Sacre Rappresentazioni. Che, con un corredo di musiche, anticipavano il melodramma. In tanti teatri italiani, dalla Fenice di Venezia alla Scala di Milano, dal Comunale di Bologna (il primo nel suo genere storicamente) si eludeva il divieto ecclesiastico di organizzare spettacoli durante i 40 giorni della Quaresima con sacre rappresentazioni.

Più tardi al di fuori dello Stato Pontificio le restrizioni quaresimali sarebbero state eluse con vari stratagemmi. I Teatri non potevano restare vuoti e fermi per quaranta giorni. Le esigenze del pubblico più giovane vennero fatte proprie dagli agenti musicali, dai circoli privati e sociali. Non poterono venire organizzate Veglie e Veglioni e però si superarono non pochi ostacoli chiesastici.

Uno dei protagonisti di questa stagione fu l’impresario teatrale Domenico Barbaja principalmente a Napoli dove diffuse fra l’altro la Barbajata cioè un caffelatte col cioccolato che riscosse un grande successo. Più difficile superare gli ostacoli quaresimali a Roma, nella città del Papa. Più facile a Milano dove l’Arcivescovo non aveva per tradizione questi poteri di divieto e dove in Galleria in vista della Scala erano sedimentate abitudini laiche o addirittura laiciste. Insomma la stagione del melodramma dalle Corti debordò nei Teatri pubblici con stagioni ricche di novità e di “prime” attraenti, allettanti. Dalla Scala al San Carlo. Per tutto l’Ottocento e oltre con Bellini, Donizetti, Ponchielli, Verdi fino al primo ‘900 con Mascagni e Puccini.  

“Musica alla Corte dei Medici” di Antonio Domenico Gabbiani (1652-1726). Palazzo Pitti, Firenze (credit Stacey Clarkson, Harper’s Magazine)

Si può parlare di un fenomeno culturale che ha caratterizzato il nostro Paese dall’800 al primo ‘900 con una conclusione clamorosa come la Turandot di Giacomo Puccini non completata per la prematura morte dell’autore e portata a termine in differenti versioni da musicisti del ‘900. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.