Due muri sbrecciati e polverosi nella Città dei Due mari d’oggi segnavano, sotto l’Impero d’Augusto, il paesaggio dell’antica metropoli greca in vista del Mar Grande e del Golfo meraviglioso. Vi sorgeva uno splendido anfiteatro le cui vestigia il secolo scorso furono in gran parte distrutte per far posto a costruzioni e a un parcheggio asfaltato. La proposta di un suo parziale recupero fu avanzata tre anni fa da archeologi tarantini di chiarissima fama. Recenti studi indicano una lunghezza dell’edificio augusteo superiore ai cento metri. E i risultati di saggi stratigrafici permettono di ricostruire la vita all’interno dell’edificio ancora in età bizantina, tra IX e X sec.: una scoperta straordinaria. Sarebbe stato uno splendido fiore all’occhiello dei prossimi Giochi del Mediterraneo che si terranno a Taranto nel 2026. Sollecitato dal mondo della cultura, Palazzo di Città s’è chiuso invece in un silenzio tombale. Il racconto su questa occasione mancata è di Francesco D’Andria, accademico dei Lincei 

Il professor Francesco D’Andria, accademico dei Lincei; sotto il titolo, un rendering dell’anfiteatro romano di Taranto a cavallo dei Due Mari

PREMESSA. Se è vero che i problemi di Taranto, riguardano in massima parte il IV Centro Siderurgico e l’antinomia tra il diritto al lavoro e quello alla salute, nel Palazzo di Città del capoluogo ionico si vivono momenti convulsi, con una maggioranza ballerina, un sindaco che ha cambiato casacca e assessori in quota magari ad un singolo consigliere. Se Taranto non vivesse un momento quasi tragico, le vicende municipali del capoluogo ionico assomiglierebbero a quell’Ilarotragedia, inventata proprio dal tarantino Rintone, nella prima metà del III secolo avanti Cristo, dove il dramma vestiva i panni e gli aspetti del ridicolo. Tre anni fa, tre grandissimi archeologi tarantini, Francesco D’Andria, Emanuele Greco e Grazia Semeraro, avanzarono la proposta di un parziale recupero dello splendido anfiteatro romano (forse un palinsesto di un più antico teatro greco) le cui vestigia, improvvidamente, il secolo scorso furono in gran parte distrutte per far posto a delle costruzioni e, soprattutto, ad un parcheggio asfaltato. Il progetto, firmato da Francesco D’Andria e Grazia Semeraro, prevedeva una serie di accorgimenti, di scavi, di passerelle sopraelevate, di pannelli, che consentivano di prendere visione della magnificenza dell’anfiteatro romano, conservando e valorizzando i resti che erano sopravvissuti alle colate di cemento e alla colpevole incuria degli amministratori. Il tutto, per una spesa di meno di quattro milioni di euro. A quell’iniziativa portata avanti sulle pagine della “Gazzetta del Mezzogiorno” si associarono il meglio dell’archeologia italiana ed europea, la Soprintendente archeologica e perfino l’ex ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, allora assessore regionale della Puglia proprio ai Beni Culturali. Da Palazzo di città, a questa iniziativa che avrebbe rappresentato il fiore all’occhiello dei prossimi Giochi del Mediterraneo che si terranno proprio a Taranto nel 2026, il silenzio più assoluto. Più che il disinteresse all’iniziativa denotava la Ybris, la iattanza per chi sedeva e siede nella massima poltrona municipale. Ora il prof. D’Andria ritorna sull’argomento, mentre è partita anche la proposta di raccogliere una serie di firme di archeologi, cattedratici, architetti di livello internazionale, per il recupero di uno dei più splendidi anfiteatri romani del nostro Sud. — (Arturo Guastella)


Foto degli scavi eseguiti nel 1961 e, al centro, il disegno dell’ovale dell’Anfiteatro romano di Taranto

◆ Il racconto di FRANCESCO D’ANDRIA, accademico dei Lincei

Ancora una volta una morsa di rabbia, mentre passavo davanti al Mercato Coperto di via Anfiteatro per recarmi all’Archivio di Stato, dove si teneva un Incontro di studio su questo “monumento fantasma” della città, incontro promosso da istituzioni e gruppi di volenterosi cittadini. Il cortile del brutto edificio, reso ancora più squallido dall’uso improprio come parcheggio, appariva completamente ingombro di auto, tranne che in un angolo dove sono tristemente “esposti” due muri sbrecciati e polverosi del nobilissimo edificio che, sotto l’Impero di Augusto, segnava il paesaggio dell’antica metropoli greca in vista di Mar Grande e del Golfo meraviglioso. Ma non sarebbe più dignitoso per la città ricoprirli e far finta di niente? Un incontro con tanta gente, all’Archivio di Stato, cittadini che conoscono la storia della loro città; una partecipazione commovente, anche se con la convinzione che nulla si sarebbe mosso, ancora una volta. Assenti i rappresentanti del Comune, in tutt’altre faccende affaccendati.

La localizzazione degli anfiteatri di Puglia

Periodicamente si accende a Taranto l’attenzione sul suo anfiteatro fantasma, come quasi tre anni fa, quando, dopo l’articolo di Arturo Guastella, si aprì un dibattito sulle colonne della “Gazzetta del Mezzogiorno”, al quale parteciparono, insieme a chi scrive, nomi prestigiosi dell’archeologia italiana ed europea, come il tedesco Dieter Mertens, e poi Emanuele Greco, Pier Giovanni Guzzo, Giuliano Volpe e molti altri, tutti con la speranza che il miraggio di vedere valorizzato l’anfiteatro si trasformasse in realtà. Dal Comune un solo segnale, quello di “aprire un tavolo” sulla questione. E oggi ci ritroviamo al punto di partenza, con ancora maggiore sfiducia. Nulla da allora è stato fatto, come nulla si fece alla fine dell’Ottocento quando, nonostante la presenza in Consiglio comunale di un archeologo come Luigi Viola, drammaticamente silenziosa, si decise di occupare la vasta piazza dell’Anfiteatro, ai piedi della collina dei Teresiani, con l’ingombro del Mercato Coperto, a coprire (per sempre?) le prestigiose rovine.

Due destini diversi: nello stesso periodo a Lecce Cosimo De Giorgi si batteva come un leone affinché si portasse alla luce l’anfiteatro romano che oggi costituisce attrazione turistica nel percorso della città barocca e riuscì in breve a fare riconoscere la struttura romana come monumento nazionale. E da quella scelta derivarono altri vantaggi, come l’attenzione su Rudiae e, cent’anni dopo, con Adriana Poli Bortone, sindaco umanista di Lecce, lo scavo e la valorizzazione dell’altro anfiteatro, nella città di Ennio, sì che oggi nel capoluogo salentino si possono visitare ben tre edifici teatrali antichi. Anche altre città della Puglia sono impegnate a valorizzare questi straordinari edifici della civiltà romana: a Siponto gli scavi stanno riportando alla luce le strutture dell’arena sotto l’abitato medievale, e poi Lucera, Canosa, Ordona, una rete di edifici da spettacolo che rappresenta una risorsa straordinaria dell’archeologia nella nostra regione. 

Resti dell’anfiteatro romano di Taranto abbandonati alle erbacce e ricoperte da un parcheggio asfaltato

E Taranto? In vista dei Giochi del Mediterraneo nel 2026, non potrebbe essere questa l’occasione almeno per avviare un cambio di rotta su un edificio dove, accanto alle cacce ed alle tauromachie, erano vissute le attività agonistiche delle città romane? Il Progetto AnfiTar, che avevamo elaborato insieme a Grazia Semeraro, è restato lettera morta, ma forse, unendo le forze del Comune della Soprintendenza e del MarTa, oggi con la nuova Direttrice Stella Falsone, si potrebbe riprendere e ampliare, per accedere ai tanti finanziamenti, europei, regionali, al Pnrr et cetera. 

La relazione di Annalisa Biffino, nell’incontro del 20 febbraio, ha mostrato che ancora l’anfiteatro di Taranto può rivelare la sua segreta bellezza e farci capire alcuni snodi fondamentali della storia della città. Abbiamo appreso che sono conservati muri in opera reticolata, tipica dell’età di Augusto, per un’altezza di tre metri, che ancora non abbiamo raggiunto la quota dell’arena, che i saggi eseguiti nel corso del tempo permettono di ricostruire una lunghezza superiore ai cento metri. La Biffino ci ha mostrato i risultati di saggi stratigrafici che permettono di ricostruire la vita all’interno dell’edificio ancora in età bizantina, tra IX e X sec.: una scoperta straordinaria.

Come nelle altre città romane dell’Italia antica, nel Medioevo gli anfiteatri subivano la stessa sorte: alcuni, come a Milano, erano rasi al suolo, per impedire che i barbari ne facessero poli fortificati all’esterno delle città murate, ma la maggior parte, come anche a Lecce, si trasformavano essi stessi in fortezze e diventavano piccole città fortificate. Nel Medioevo erano indicate con un toponimo misterioso: le Verlasce o Vorlasce, ad indicare un perimetro ovale che riprendeva la forma dei maestosi edifici, ormai non più teatro dei combattimenti tra gladiatori e delle altre competizioni. Le nuove scoperte pongono domande storiche importanti anche sul ruolo della mole anfiteatrale all’esterno della città bizantina che si concentrava sulla penisola della Città Vecchia. Ma questo solo per indicare le tante potenzialità che la ricerca e la riscoperta dell’edificio sotto il Mercato Coperto potrebbe riservare.

Alcune foto dei resti interrati dell’anfiteatro romano scattate dal giovane archeologo tarantino Gianluca Guastella

Intanto chiediamo che si possa riprendere un’attività di ricerca, pubblicando tutto quello che gli scavi hanno sinora portato alla luce, che il parcheggio venga spostato dal cortile, dove dovrebbe essere riallestita una mostra, attraverso pannelli che raccontino le storie dell’arena tarantina, che il saggio ancora aperto sia ripulito e sistemato in modo dignitoso. E poi avviare in tutta l’area indagini geofisiche per identificare le strutture ancora sepolte: basterebbe poco più di diecimila euro per affidare il lavoro ad una ditta specializzata, che ci permetta anche, attraverso le misure geo-sismiche, di conoscere l’andamento della roccia di base. E questo per capire se, sotto i muri dell’edificio romano, si conservano tracce del probabile teatro greco. Ma anche questo è un sogno che ci sarà certamente negato! © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Questo articolo è pubblicato anche dalla “Gazzetta del Mezzogiorno”

Professore emerito nell'Università del Salento (già Prof. ord. di Archeologia e Storia dell'Arte greca e romana). Ha insegnato presso l’Università Cattolica di Milano, l’Università della Basilicata (Matera) e l’Università di Lugano (Svizzera). Dal 2001 al 2010 ha diretto l’IBAM (Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali) del Consiglio Nazionale delle Ricerche con sede a Lecce. Dal 1993 al 1997 è stato membro eletto del Consiglio Nazionale Beni Culturali e Ambientali. Dal 2000 al 2015 ha diretto la Missione Archeologica Italiana a Hierapolis di Frigia (Turchia). Nel 2005 il Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, lo ha insignito del titolo di “Cavaliere dell’Ordine della Solidarietà Sociale”.