La Regione Emilia-Romagna dal 2006 al 2022 ha cementificato oltre 11mila ettari, ovvero 110 chilometri quadrati e quasi tutto, per giunta, in aree alluvionabili. Un disastro ambientale silenzioso che ha cambiato completamente il ciclo naturale dell’acqua in quella Regione. La quantità d’acqua che rimane sulla superficie di un suolo sano e naturale è sei-sette volte meno di quella che rimane in superficie in un’area urbanizzata. Ed è esattamente quello che è accaduto, di nuovo, in Romagna, come in altre Regioni. E che non diciamo abbastanza: il consumo di suolo aumenta i danni delle piogge, per di più piogge che saranno sempre più aggressive. Numeri alla mano, a seguire l’analisi di Paolo Pileri, docente di Pianificazione territoriale e ambientale


◆ L’analisi di PAOLO PILERI, docente Politecnico di Milano *

Abbiamo cambiato il clima: questo è chiaro anche se non a tutti, purtroppo. Proviamo però a uscire dalla trappola dell’emotività con cui ci viene presentato il dramma delle alluvioni. Lo facciamo con pieno rispetto per vittime e danneggiati. E lo facciamo usando un grafico messo a disposizione dalla Agenzia ambientale dell’Emilia-Romagna (Arpae), ovvero l’ente istituzionale che monitora l’ambiente e fornisce a tutti, politici inclusi, informazioni per capire e decidere. La pioggia cumulata caduta in questi giorni in Romagna è tanta (800 millimetri) e supera la media degli ultimi trent’anni (la fascia evidenziata in verde). Questo ci dice Arpae con quel grafico. E fin qui “tutto bene”. Ma se andiamo a scavare un po’ più indietro nel tempo, ad esempio prendiamo il 1979, scopriamo cose che ci aiutano a vedere più chiaro che cosa è accaduto e a quali responsabilità guardare.

La quantità cumulativa di pioggia caduta in Emilia-Romagna. A settembre del 1979 (linea verde) è caduta all’incirca la stessa quantità di acqua rispetto allo stesso mese del 2024 (linea nera)

La linea verde rappresentata nel grafico delle precipitazioni giornaliere cumulate in Emilia-Romagna si riferisce al 1979, mentre quella nera al 2024. Guardate in corrispondenza di fine settembre. I due valori sono più o meno alla pari. Che cosa significa? Semplice: che nel 1979 cadde la medesima pioggia, più o meno, di quella di qualche giorno fa. Ma nel 1979 non ci furono le alluvioni devastanti di questi giorni. Dove è allora la differenza? Probabilmente ce ne sono tante e sarebbe doveroso per le istituzioni mettersi a studiarle con rigore e urgenza. Tra queste è innegabile che la impermeabilizzazione del territorio degli ultimi anni sia una di queste “differenze” perché, cumulando cemento e asfalto sul territorio, si rende il territorio più incapace di svolgere le funzioni di controllo idrologico che il suolo svolge naturalmente.

Nella pagina, alluvioni e frane in Emilia Romagna (credit GettyImages)

Ricordo due dati. Un ettaro di suolo sano e ben permeabile arriva ad accumulare quasi quattro milioni di litri di acqua, una quantità enorme, pari a 150 tir che trasportano bottiglie d’acqua. Se quel suolo viene cementificato si azzera quella funzione e quindi quando piove quell’acqua rimane in superficie e/o va nei corpi idrici superficiali ingrossandoli e aumentando la quantità d’acqua che vediamo durante le alluvioni e di conseguenza danni e vittime. Secondo dato. La quantità d’acqua che rimane sulla superficie di un suolo sano e naturale (un prato permanente, ad esempio) è sei-sette volte meno di quella che rimane in superficie in un’area urbanizzata. Ed è quello che è accaduto in Romagna, come in altre Regioni e che non diciamo abbastanza: il consumo di suolo aumenta i danni che le piogge generano, per di più piogge che saranno sempre più aggressive per il clima danneggiato dal nostro assurdo modello di sviluppo.

La Regione Emilia-Romagna dal 2006 al 2022 ha cementificato oltre 11mila ettari, ovvero 110 chilometri quadrati e quasi tutto, per giunta, in aree alluvionabili. Un disastro ambientale silenzioso che ha cambiato completamente il ciclo naturale dell’acqua in quella Regione. Non solo. L’aumento di cemento corrisponde a un aumento di temperatura a terra e altri effetti ambientali che a loro volta concorrono a cambiare il clima, generando piogge e venti anomali che oggi sono diventati normali.

Mettiamo le cose in ordine. Se non si smette di cementificare, non vi sarà fine a tutto questo. Ci sono responsabilità di governo del territorio molto precise sebbene vengano messe in ombra da questo abuso di emotività davanti alla quale le idee si sfocano. C’è una legge di governo del territorio che ha fatto e fa acqua da tutte le parti. C’è impreparazione ecologica in chi governa il territorio. C’è una disattenzione completa alla difesa del suolo: negli ultimi anni si è speso 13 volte di più per allestire seggi elettorali e tenere in ordine l’anagrafe; 6,2 volte di più per lo sviluppo e la valorizzazione del turismo (anche quello insostenibile), 44 per le strade.

Paolo Pileri e la copertina del suo ultimo libro

Siamo in mezzo a una tempesta perfetta, perfino più dannosa delle piogge romagnole: consumo di suolo alle stelle senza alcuna legge seria che lo fermi; spesa pubblica per la difesa del suolo inconsistente; ignoranza ecologica sul comportamento del suolo di chi governa e di chi opera economicamente sui territori. E su tutto questo non si riflette. Dopo l’alluvione del maggio 2023 l’Emilia Romagna, che vantava una tradizione urbanistica tra le più avanzate d’Italia, non ha aperto un tavolo permanente di riflessione con i sindaci dell’Appennino coinvolti in decine di migliaia di frane per capire le cause e decidere insieme come cambiare il modo di governare il territorio. Era un’occasione unica per generare un laboratorio di idee e di cambiamento che invece non si è realizzato. In compenso il governo regionale si è premurato, poco prima delle elezioni europee, di mettere in forno altre deroghe urbanistiche per cementificare sempre più. Idem per le deforestazioni di decine e decine di ettari, come quelle lungo la Secchia. Quindi proviamo a vedere le cose con altri occhiali se vogliamo cambiarle e trovarci meno in quelle dolorose situazioni.

(*) Questa analisi è stata pubblicata su Altraecon0mia.it

Urbanista, insegna Usi del suolo ed effetti ambientali al Politecnico di Milano. Si occupa, oltre che di suolo e del suo consumo, anche di pianificazione di linee lente ciclabili e camminabili. È membro scientifico del rapporto nazionale sul consumo di suolo di Ispra e ideatore del progetto di territorio Vento, la dorsale cicloturistica tra Venezia e Torino. Tra i suoi libri: 100 parole per salvare il suolo (2018); Progettare la lentezza (2020); L’intelligenza del suolo (2022); Piazze scolastiche (con C. Renzoni e P. Savoldi, 2022);Urbanistica fragile (con R. Moscarelli, 2022). L’ultimo saggio “Dalla parte del suolo. L’ecosistema invisibile” (settembre 2024) è pubblicato da Laterza.