Sul nostro Paese incombono altre quattro procedure di infrazione in tema di collettamento, fognatura e depurazione. E riguardano complessivamente circa 800 Comuni. La Commissione europea, nelle sue conclusioni alla Corte di giustizia, evidenzia che sono già intervenute sei sentenze di condanna e che in Italia persiste da decenni una situazione generalizzata di inosservanza al dettato comunitario nel settore (la prima condanna è del 2012). Con ulteriori aggravanti: gli scarichi avvengono in aree sensibili per le quali esiste «la necessità di una tutela ambientale rafforzata»; il mancato riutilizzo delle acque reflue urbane non diminuisce l’inquinamento e non garantire la disponibilità di acqua per usi diversi  (agricoltura, industria e verde pubblico) in un contesto di crescente scarsità idrica e cambiamenti climatici


◆ L’analisi di GIANFRANCO AMENDOLA, giurista

Possibile che nessuno dica niente? Non dica, cioè, che stiamo pagando decine di milioni di soldi pubblici per le gravi inadempienze dell’Italia agli obblighi previsti dalla normativa europea per tutelare le nostre acque dagli scarichi delle pubbliche fognature (“acque reflue urbane”) e che si tratta di inadempienze che, in buona parte, vanno avanti da anni nonostante i richiami delle autorità comunitarie. Ma andiamo con ordine. Pochi giorni fa, nell’indifferenza generale, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea di giustizia a pagare 10 milioni di euro subito e poi 13.687.500 euro per ogni semestre di ritardo in quanto, nonostante una prima condanna del lontano 2014, alcuni importanti Comuni (“agglomerati”) – e precisamente Castellammare del Golfo, Cinisi, Terrasini, Courmayeur – sono tuttora sprovvisti di fognature ovvero privi dei trattamenti di depurazione previsti dalla normativa comunitaria; tanto più che si tratta di Comuni ricadenti in aree sensibili soggette ad eutrofizzazione. 

Il fatto più rilevante è che non è la prima condanna e non sarà l’ultima in quanto attualmente sono quattro le procedure di infrazione contro l’Italia in tema di collettamento, fognatura e depurazione e riguardano complessivamente circa 800 Comuni. E intanto abbiamo già pagato oltre 142 milioni di sanzioni che aumentano per ogni semestre di inadempienza. E abbiamo fatto ben poco visto che 623 Comuni sarebbero ancora inadempienti. Tanto è vero che la Commissione europea, nelle sue conclusioni alla Corte, evidenzia con chiarezza che sono già intervenute sei sentenze di condanna e che in Italia persiste da decenni una situazione generalizzata di inosservanza al dettato comunitario nel settore (la prima condanna è del 2012). 

Trattasi – motiva la sentenza della Corte europea di giustizia – di fatti gravi in quanto la normativa comunitaria non rispettata «ha lo scopo di proteggere l’ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue. Orbene, l’assenza o l’insufficienza di sistemi di raccolta o di trattamento delle acque reflue urbane rischia di arrecare danni all’ambiente e deve essere considerata come particolarmente grave»; e il danno è tanto più grave se si considera che, come abbiamo detto, gli scarichi avvengono in aree sensibili per le quali esiste «la necessità di una tutela ambientale rafforzata». Aggiungiamo che questa persistente inadempienza è ancora più grave se si considera che oggi c’è una nuova direttiva di settore la quale non si basa su un contesto puramente difensivo ma punta decisamente al riconoscimento della importanza strategica del riutilizzo delle acque reflue urbane per diminuire l’inquinamento e per garantire la disponibilità di acqua per diversi usi in un contesto di crescente scarsità idrica e cambiamenti climatici.

Sequestro del depuratore di Castellammare del Golfo

Più in particolare, come opportunamente evidenzia il rapporto Snpa (Sistema Nazionale Protezione Ambiente) del 2024, il riutilizzo delle acque reflue riduce lo stress idrico, preserva gli ecosistemi, costituisce un’alternativa più economica rispetto all’utilizzo di acqua potabile per scopi non potabili, e può consentire il recupero di energia. E, altrettanto opportunamente, precisa che le acque reflue depurate possono essere utilizzate per irrigazione agricola e di aree verdi, per usi industriali (raffreddamento, lavaggio e processi produttivi), ricarica delle falde acquifere e per usi civili. Tutti obiettivi che resteranno solo sulla carta se il nostro Paese continua a restare inadempiente svuotando le tasche dei contribuenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Dal 1967 Pretore a Roma, inizia ad occuparsi di normativa ambientale dal 1970. Dal 1989 al 1994 parlamentare europeo, vice presidente della commissione per la protezione dell’ambiente. Dal 2000 al 2008 Procuratore aggiunto a Roma con delega ai reati ambientali, poi Procuratore della Repubblica a Civitavecchia fino al pensionamento (2015). Ha ricoperto numerosi incarichi pubblici partecipando a tutte le vicende che hanno visto nascere ed affermarsi il diritto dell'ambiente in Italia. Ha insegnato diritto penale dell’ambiente in varie Università scrivendo una ventina di libri fra cui “In nome del popolo inquinato” (7 edizioni). Attualmente fa parte del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare ed è docente di diritto penale ambientale presso le Università “La Sapienza” e Torvergata di Roma.