Mancanza di risorse e approcci socio-assistenziali discutibili, mettono tutti noi davanti alla fragilità dei nostri anziani. Con impreparazione e violenza sempre dietro l’angolo. A cavallo della pandemia Covid-19 è ripartito il dibattito pubblico su come umanizzare i rapporti di assistenza e cura. Destinata una parte dei fondi europei del Pnrr a superare strozzature strutturali e la contenzione fisica dei nostri vecchi non autosufficienti. Il governo Draghi approvò il testo di riforma ma la crisi di governo impedì il voto delle Camere. Il governo Meloni ha ripreso quasi integralmente il testo originario di Draghi e le Camere vararono la nuova legge nel marzo 2023. Cos’è cambiato a distanza di due anni? Lo abbiamo chiesto ad una interlocutrice di eccezione. Nerina Dirindin è stata fra i protagonisti della fase preparatorio della riforma ed ha uno sguardo d’insieme molto prezioso per capire se abbiamo imboccato o meno la direzione giusta. Quella che segue è la sintesi di una lunga conversazione con lei del Difensore civico emerito della Regione Piemonte, Augusto Fierro, e del suo qualificato collaboratore Flavio Mazzucco


▷▷ Occuparsi di anziani non autosufficienti è complicato sempre. Occuparsi della loro “istituzionalizzazione” in strutture socio-sanitarie apposite significa affrontare problematiche vaste e complesse di per sé. Di loro, l’Ufficio del Difensore civico del Piemonte si è occupato per anni. Il che ci ha consentito di svolgere, nel 2019, la prima indagine ad ampio spettro volta ad accertare se e quanto gli strumenti della contenzione meccanica fossero utilizzati nelle Rsa piemontesi. Con altrettanta attenzione abbiamo seguito le carenze dell’assistenza domiciliare rivolta ai non autosufficienti, che nel nostro Paese risulta storicamente trascurata dal sistema di welfare. Per queste ragioni avevamo guardato con entusiasmo al percorso riformatore avviato nel 2021 dai ministri Roberto Speranza e Andrea Orlando, culminato nella proposta di un provvedimento normativo che, in astratto, mirava a realizzare un radicale cambio di paradigma in materia di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti.

Quel disegno di legge ambiva a costruire un sistema integrato tra intervento sanitario e intervento sociale, fondato su nuovi modelli di presa in carico della non autosufficienza, attraverso il potenziamento dei servizi domiciliari e l’introduzione di una prestazione universale a sostegno dei bisogni assistenziali, considerati nella loro globalità. Il Consiglio dei ministri, presieduto da Mario Draghi, approvò il testo poco prima della crisi di governo, ma non fece in tempo a sottoporlo al voto delle Camere, poi sciolte anticipatamente. Tra i primi atti del governo Meloni, appena insediato, vi fu proprio la riproposizione, con modeste modifiche rispetto al testo originario, di quel disegno di legge, che le Camere vararono nel marzo del 2023. Un anno dopo, il governo Meloni ha infine adottato il decreto attuativo della riforma delineata dalla legge delega. Tuttavia, le aspettative di un cambiamento incisivo sembrano essersi nel frattempo drasticamente ridimensionate. Sulla genesi di quel percorso riformatore e sui suoi esiti attuali abbiamo raccolto l’opinione della professoressa Dirindin, che di quell’impegno fu protagonista. — (augusto fierro e  flavio mazzucco)


◆ L’intervista di AUGUSTO FIERRO e FLAVIO MAZZUCCO con NERINA DIRINDIN, economista

Nerina Dirindin, economista, ex Direttrice generale del ministero della Sanità ed ex senatrice

Nerina Dirindin è professoressa associata d’economia pubblica e politica sanitaria presso l’Università degli Studi di Torino. È stata Direttrice generale del ministero della Sanità (1999 – 2000) ed assessora alla Sanità della Regione Sardegna (2004 – 2009). Fa parte della redazione di “Lavoce.info”. Eletta senatrice nella XVII Legislatura (2013 – 2018), è stata autorevole consulente del ministro Roberto Speranza negli anni dal 2019 al 2022. In quel periodo fu ipotizzata una riforma complessiva delle modalità di assistenza e cura degli anziani non autosufficienti che puntava molto anche sulla realizzazione di una rete di assistenza domiciliare, su misure in favore dei “care giver” familiari e su di un’integrazione tra attività di assistenza e cura sanitarie, sociosanitarie e sociali.  Quell’orientamento riformatore produsse una corposa quanto innovativa bozza di legge delega che aveva ad oggetto il complesso delle “politiche in favore delle persone anziane”, poi approvata nella successiva Legislatura.

Gentile professoressa, può dirci come si arrivò alla formulazione di quella bozza e quali ne erano le caratteristiche più salienti?

«Durante e dopo la pandemia ci fu una grande attenzione ai problemi dei più vulnerabili e, in particolare, degli anziani. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, nominò la Commissione “Paglia” e dopo poco il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, nominò la Commissione “Turco”, così chiamate dal nome dei due Presidenti. La Commissione “Paglia” non aveva come scopo la produzione di una bozza di provvedimento normativo, ma, nelle intenzioni del ministro, era indirizzata a riflettere sui problemi dell’età anziana e sulle soluzioni possibili. Si trattò di una Commissione in qualche modo anomala rispetto alla prassi, perché era presieduta da un religioso, Mons. Vincenzo Paglia, e tra i suoi componenti vi erano poeti, scrittori, architetti, e rappresentanti delle Istituzioni. Persone provenienti da diverse esperienze, che, però, in qualche modo avevano dimostrato sensibilità al problema e che, dunque, avrebbero potuto fornire contributi di analisi e di riflessione di carattere generale. La Commissione “Turco” era invece un consesso più istituzionale, composto da rappresentanti di tutte le Istituzioni ai diversi livelli di Governo e da tecnici e aveva l’obiettivo di produrre delle indicazioni per interventi normativi in materia di politiche in favore delle persone anziane.

«Queste due Commissioni lavorarono quasi in contemporanea ed io fui chiamata a fare parte di entrambe. La duplicità delle Commissioni, ancorché giustificata da un’ispirazione diversa, non giovò, forse, all’efficacia dell’attività svolta. Però questo è quello che i ministri avevano deciso e quindi ognuno di noi lavorava per quello che poteva fare. La Commissione “Paglia” produsse una “Carta dei diritti degli anziani”, che in realtà, mi pare, non ha avuto grande diffusione. La Commissione prestò grande attenzione alla condizione degli anziani conseguente al Covid, suggerendo al ministro interventi normativi volti a garantire il mantenimento delle relazioni fra gli anziani e le loro famiglie all’interno delle strutture sanitarie. E poi spinse molto per il potenziamento dell’assistenza domiciliare. La Commissione “Paglia” non fu mai ufficialmente sciolta, ma divenne nei fatti inoperativa, perché non fu più convocata.

«L’altra Commissione fu invece più concreta anche per la forte spinta di Livia Turco, che di questi temi si era sempre occupata. Livia Turco insistette con i componenti della Commissione nell’indicare quale obiettivo l’inserimento nella legge di bilancio (relativa al 2022) di provvedimenti di immediata applicazione, rinviando ad un momento successivo la traccia di una riforma più organica. Fu prodotto un documento di ampio respiro, da cui poi venne stralciata la parte che fu subito trasfusa nella legge di bilancio, in cui erano presenti previsioni puntuali sui diritti degli anziani, sui livelli essenziali ed erano anche stanziate risorse per la non autosufficienza, dopo anni di scarsa attenzione. La prima cosa fu un aumento del fondo per le non autosufficienze, in modo significativo. Le previsioni riguardanti l’invecchiamento attivo, il sostegno ai care giver, i diritti all’assistenza anche sociale e non solo sanitaria ecc., furono poi compattate in un testo che diede origine alla legge delega 33.

«La legge 33/2023 venne approvata dal Parlamento nei primissimi mesi successivi all’insediamento del governo Meloni. Fu vista, forse, come un’occasione per dimostrare attenzione alle problematiche degli anziani, e fu approvata con qualche piccola modifica, che però non ne inficiava la sostanza. Personalmente ritengo la legge 33 robusta, solida, condivisibile, perché, innanzitutto, per la prima volta ha una visione di carattere sistematico sulle persone anziane e in particolare sulle persone anziane non autosufficienti; in secondo luogo, stabilisce che l’assistenza agli anziani debba essere garantita all’interno di un intervento complessivo globale, governato dal sistema pubblico, che tenga conto sia delle esigenze sanitarie che di quelle sociali».

Circa un anno fa, nel marzo 2024 il governo Meloni ha infine approvato il decreto attuativo di quella legge delega. Qual è il suo giudizio su queste ultime disposizioni? Saranno in grado di realizzare le promesse contenute nella legge delega?

«Nella legge delega erano stati previsti quattro decreti attuativi, ma il Governo Meloni ne ha emanato uno solo, che, però, non è un vero e proprio decreto attuativo. Infatti, è in parte ripetitivo delle previsioni della legge delega e per altra parte introduce una sperimentazione della prestazione universale nei fatti limitatissima. Si tratta di una prestazione indirizzata a promuovere il sostegno alla domiciliarità e l’autonomia personale dei non autosufficienti. Ma essa è riconosciuta solo allorquando coesistano le seguenti condizioni: un’età anagrafica di almeno 80 anni, un livello di bisogno sanitario gravissimo, un reddito Isee non superiore a 6000 euro annui. Questa prestazione universale sperimentale riguarderà dunque circa lo 0,4% della popolazione anziana. Quindi un intervento davvero minimale. Nessuno la sta seguendo questa cosa, che sappia io».

Se abbiamo ben compreso, sottostante all’ispirazione della riforma appariva l’esigenza di un “cambio di paradigma”, declinato attraverso la “deistituzionalizzazione” e la “promozione della domiciliarità”. Tale esigenza era stata espressamente accolta, sul piano dei finanziamenti, nel Pnrr, in particolare nelle Missioni 5 e 6.

«Avete ragione. Infatti, mi chiedo: “ma sul Pnrr che cosa si sta facendo?”. Ho l’impressione, ma forse sono io che pretendo troppo, che si faccia poco e si faccia quello che è più facile fare, che non è esattamente quello che risponde ai bisogni più complicati delle persone. Per cui viene denominata assistenza domiciliare quella che non lo è, consistendo in limitate prestazioni sanitarie a domicilio, che non coinvolgono le autentiche esigenze di assistenza e cura degli anziani non autosufficienti. Tutto ciò, per dimostrare di aver raggiunto gli standard che l’Unione Europea aveva previsto. Purtroppo, non c’è sensibilità sui vulnerabili, non c’è proprio attenzione. Più li segreghiamo, meglio è. Temo che per il “cambio di paradigma” ci sarà da aspettare molto.

«D’altro canto, ho verificato recentemente l’esistenza di un grande interesse di gruppi finanziari internazionali sugli anziani e sulle Rsa. Stanno acquistando strutture. Si tratta di società di private equity, che fanno investimenti a breve, acquistano strutture, le rivoluzionano, imponendo condizioni di vita agli anziani molto dure, cioè, chiedendo agli operatori di ridurre il costo dei pasti, di contenere tutte le spese, per riuscire a trarre profitto. Poi le rivendono dopo quattro o cinque anni e ne comprano delle altre. Questa è una strategia molto preoccupante perché, se arrivano questi gruppi internazionali, e già in Italia sono presenti (in Piemonte, per esempio, ce ne sono parecchi), non hanno più nulla a che fare con l’imprenditoria del sociale o del sanitario, nel cui ambito erano presenti obiettivi a volte assolutamente condivisibili. Mentre, se c’è un investitore internazionale che ha interesse solo a trarre remunerazione dai suoi investimenti, che non si occupa di quello che succede dentro le strutture, che dà delle linee direttive molto aggressive ai responsabili delle stesse, ci si allontana dall’obiettivo di un’assistenza rispettosa della dignità delle persone ricoverate. Questo mi preoccupa molto. Nei Paesi in cui si è diffuso il fenomeno, più che in Italia, ci sono già richieste di regolamentazione rivolte ai governi. Questa è la “finanziarizzazione”, che, purtroppo, è molto peggio della “privatizzazione”».

Un’ultima domanda con riferimento all’importante iniziativa portata avanti dal ministro Speranza che, a tutela della dignità dei pazienti psichiatrici ricoverati negli Spdc, propose nel 2021 alla Conferenza delle Regioni di deliberare la messa al bando dell’utilizzo della contenzione meccanica entro la scadenza del 2023. Dell’esito di quella iniziativa non si è più saputo alcunché. Può dirci che cosa è accaduto?

«Devo dire che sono molto dispiaciuta per il mancato esito positivo di quella iniziativa che Giovanna Del Giudice ed io, insieme ad altri, avevamo prospettato al ministro Speranza. Lui aveva dato l’ok e il lavoro di preparazione del documento, che si intitolava “Per il superamento della contenzione meccanica nei luoghi di cura della salute mentale”, fu affidato ad una Commissione che già lavorava sui temi della salute mentale a cui partecipavano le Regioni, Comuni, medici ed esperti. Alla stesura del documento lavorai anch’io, con molto impegno, ed il risultato fu assai soddisfacente perché, per la prima volta, quel testo, molto ben motivato, avrebbe potuto consentire alle nostre Istituzioni psichiatriche l’intrapresa di un complesso ed articolato processo operativo (sette sarebbero stati gli snodi operativi, contenuti in altrettante Raccomandazioni) attraverso i quali si sarebbe potuto raggiungere l’obiettivo della messa al bando dell’utilizzo della contenzione meccanica nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura. Col senno di poi, visto che alla fine abbiamo sbattuto il naso contro il muro, forse si sarebbe potuto prestare maggiore attenzione ad alcuni aspetti che probabilmente in allora trascurammo. Le Regioni, che, dentro la Commissione che stese il documento, erano presenti e non avevano esposto osservazioni critiche, anche perché era ben strutturato anzi era stato molto apprezzato, erano state, così mi sembrò, infastidite da un documento del livello centrale che arrivava prima di quanto loro non avessero potuto fare: insomma forse si sentirono scavalcate. Qualcuno dei rappresentanti delle Regioni manifestò la propria contrarietà sostenendo che l’intervento sarebbe stato ingiustificatamente selettivo: fu detto “perché solo la psichiatria, bisogna parlare anche delle Rsa”. La risposta fu “sulla salute mentale ci abbiamo lavorato, ci siamo riusciti, sul resto si lavorerà ancora”. Probabilmente questo tipo di obiezioni erano formulate nel timore che quel testo potesse essere percepito come una colpevolizzazione degli operatori della psichiatria.

«Ricordo infatti che alcuni psichiatri dicevano: “non siamo solo noi che facciamo queste cose, le fanno anche altri. Perché fate un provvedimento solo contro di noi?”. E poi c’era comunque, c’è ancora, l’idea che qualche volta la contenzione può servire e per di più, in momenti in cui il personale è poco, i bisogni delle persone aumentano, la domanda è più elevata, forse non si può fare a meno della contenzione. Questo era il nocciolo della questione, le altre erano scuse. Tanto è vero che alcuni dei cambiamenti proposti erano solo formali, del tipo “la parte terza la mettiamo alla seconda, la seconda la mettiamo al posto della quarta” ed altre, poi, proposero di modificare qualche espressione ed infine di eliminare alcuni aspetti che apparivano interferire con l’autonomia organizzativa delle Regioni. Dopo che è arrivato il governo Meloni, che io sappia, nessuno se ne è più occupato. E quel documento, credo che sia ancora fermo in Conferenza delle Regioni senza essere stato né approvato né formalmente respinto. Ho poi saputo dal senatore Sensi del Pd che la questione contenzione meccanica, su sua richiesta, è stata messa di nuovo all’ordine del giorno della Commissione Diritti Umani del Senato, ma non so dire se ne siano scaturiti esiti. Mi fa piacere però aggiungere una notazione positiva: il Coordinamento Nazionale per la Salute Mentale ha tenuto a dicembre 2024 una Conferenza auto convocata, molto partecipata da tante Associazioni. Lì c’è stata anche una sessione che si è occupata del tema della contenzione e si è constatato che il numero di Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura “no restraint” è in aumento. Se non sbaglio, ce ne sono una quindicina che non utilizzano più la contenzione meccanica e ce ne sono forse qualche decina che stanno avviandosi su quella strada, riducendo progressivamente il ricorso alla contenzione».

Questa è un’ottima notizia.

«Sì, piccola ma, per il momento, ci dobbiamo accontentare».

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Difensore civico della Regione Piemonte dal primo luglio 2015. Precedentemente, a partire dal 1980 e fino al 2015, ha esercitato la professione di avvocato. Si è formato nello studio di Bianca Guidetti Serra che ha lasciato nel 1983, mantenendo però una relazione di collaborazione e di amicizia, mai venuta meno, con la sua Maestra. Ha ricoperto le funzioni di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Torino per quattro bienni, coordinando la Commissione per il Patrocinio a spese dello Stato e la Commissione Scientifica per la Formazione Professionale e i rapporti con l’Università. Nel 2007 ha ricoperto la carica di Presidente della Fondazione dell’Avvocatura Torinese “Fulvio Croce”. Tra le sue pubblicazioni: “Dove va l’avvocatura”, in Questione Giustizia, numero 1/1998; “Nuovi scenari in materia di patrocinio del non abbiente e difesa di ufficio”, in Questione Giustizia, numero 1/2002; “Lo scippo infinito (dal decreto Berlusconi alla legge Gasparri)”, in Questione Giustizia, numero 1/2004