Prima fiducia oggi al Senato per il governo Draghi. Ed è già dilemma sul nuovo ministero tra il nome e la cosa nel Paese del gattopardo. Il direttore di Greenpeace critica il neo ministro Roberto Cingolani sul fotovoltaico «bello, rinnovabile, ma ancora troppo caro» e gli propone «un rapido aggiornamento prima di iniziare». La transizione ecologica è anzitutto un processo. Vince se coniuga giustizia ambientale con giustizia sociale, coinvolgendo le persone e le comunità in un vero Green Deal che dia speranza e risposte concrete ai bisogni della gente. A cominciare dai più vulnerabili


L’analisi di VITTORIO COGLIATI DEZZA, coordinamento Forum Disuguaglianze e diversità

¶¶¶ Il nome e la cosa. Questo è il dilemma che si apre oggi con il nuovo ministero della Transizione ecologica. Questione non di poco conto in un Paese in cui il gattopardismo la fa da padrone. Il nome è certamente attraente e predispone all’ottimismo, soprattutto in linea con la svolta europea del NextGenerationEu, che al tema dedica non solo una Missione, la seconda, ma soprattutto vincola il 37% delle risorse. Un tesoro che non si può sprecare. Giusta anche l’acquisizione dell’energia alle attuali competenze del ministero dell’Ambiente, sotto una stessa regia. Certo è una visione ancora parziale della transizione ecologica, che richiede un rinnovamento complessivo della visione di sviluppo, della coesione sociale, e delle tecnologie su cui investire. Non è il superministero di cui qualcuno ha parlato, ma certamente è un grande salto di ruolo per il ministero dell’Ambiente che entra a far parte dei ministeri di spesa più importanti

Qui nascono i dubbi, che ci auguriamo non si trasformino in problemi. Ed entra in ballo “la cosa”, che è da tenere sotto osservazione: la reale portata del nuovo ministero. La prima domanda che sorge spontanea è perché in un governo dove la competenza tecnico-scientifica dovrebbe contare molto, più delle appartenenze politiche (stando alle dichiarazioni iniziali), dove si è pubblicamente parlato di governo ambientalista, non sia stato affidato questo incarico ad Enrico Giovannini, che è oggi tra i più autorevoli, se non il più autorevole, esponente della visione e delle proposte che debbono supportare la transizione ecologica. 

La seconda è, vista la misura “tecnica” del governo, perché è stato chiamato a ricoprire questo incarico uno scienziato e manager come Roberto Cingolani, che è certamente uomo di alto valore e ha dimostrato grandi capacità organizzative e di direzione all’Istituto Italiano delle Tecnologie e recentemente passato a ricoprire l’incarico di Chief Technology and Innovation Officer della società del settore difesa e aerospazio Leonardo. Con competenze altre da quelle che uno si immagina dovrebbero esserci a guidare un ministero della Transizione ecologica. Tanto che in un’intervista rilasciata un anno fa alla rivista dell’Eni We world energy, intervenendo sugli scenari energetici del prossimo futuro e sui pro e contro di ogni fonte in campo, ha, giustamente, sottolineato la necessità di integrare le varie fonti, a seconda della maturità tecnologica e della possibilità di sviluppo. E ha insistito molto sulla necessità di investire in educazione dei cittadini perché «sarebbe necessario che gli utenti considerassero che l’energia non è gratis» e che ogni azione ha una sua conseguenza. 

Giusto punto di partenza che però lo porta a rivalutare la fusione nucleare e a giudicare il metano «uno dei mali minori, nel medio e lungo termine la risorsa più sostenibile», poco giustificabili sul piano scientifico, se si ragiona − come l’Europa oggi ci chiede − nell’urgenza della risposta alla crisi climatica. Un giudizio che oggi lascia perplessi gli ambientalisti, come ha ironicamente stigmatizzato il direttore di Greenpeace Giuseppe Onufrio su Twitter criticando un’affermazione di Cingolani che il fotovoltaico «è bello, rinnovabile, ma ancora troppo caro» e che «se non ci fossero incentivi di Stato avrebbe scarso successo». Onufrio propone al neo ministro: «Prima di iniziare la transizione meglio fare rapido aggiornamento, siamo a disposizione». Va anche detto che oggi il ministro è chiamato ad assolvere ad altro compito e che non solo è auspicabile, ma altamente possibile, che quelle posizioni possano essere riviste, perché non vanno esattamente nella direzione che ci si immagina quando si sente parlare di governo ambientalista e di transizione ecologica. La quale non è riducibile ad un problema di tecnologia energetica, per quanto questa sia un fattore nodale.

D’altra parte, per quanto realistiche, non convincono neanche letture troppo politiciste, che lo vedono capace di tenere rapporti con Grillo come con Renzi.

La ragione vera di questa scelta va forse cercata nella volontà di tenere il controllo del Recovery Plan nelle mani di una tecnocrazia manageriale, che si è formata negli ultimi 20 anni. E forse sarà proprio qui la vera sfida a cui anche il movimento ambientalista è chiamato: far capire che la transizione ecologica è innanzitutto un processo sociale. E che vince se sa coniugare giustizia ambientale con giustizia sociale, coinvolgendo le persone e le comunità in un vero Green Deal che dia speranza e risposte concrete ai bisogni della gente, partendo dai più vulnerabili. Se questa è la sfida − e la transizione ecologica non è solo energia, ma anche economia circolare, mobilità, sviluppo urbano, riqualificazione edilizia −, allora a maggior ragione sale il ruolo ed il peso che nel governo dovrà giocare Enrico Giovannini. Egli ha ben chiaro come per la transizione ecologica non ci si può affidare solo alle tecnologie. La transizione ecologica o è solidale o non è. E non basta − come dice il Forum Disuguaglianze e Diversità − accontentarsi di agire «come prima solo un po’ meglio di prima». Serve una svolta. E questo è lecito aspettarselo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Foto: in alto a sinistra, il neo ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani

Già presidente nazionale di Legambiente dal 2007 al 2015, è oggi membro del Coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità e della Segreteria nazionale di Legambiente. È esperto di educazione, di processi formativi e di sostenibilità ambientale e sociale. Dal 2016 si occupa anche delle trasformazioni sociali e culturali connesse con il fenomeno delle migrazioni. Nel 2017 ha pubblicato “Alla scoperta della green society” (ed. Ambiente): un’inchiesta sui processi di innovazione sociale in Italia. Nel 2020 ha pubblicato alcuni interventi su La Stampa – Tutto Green, su Huffington Post, su La Nuova Ecologia e su Confronti. Recentemente ha pubblicato un contributo nel volume collettivo "Covid 19: costruire il futuro" (ed. Com Tempi Nuovi).