
Il libro racconta la storia e l’anima dell’impresa marchigiana che da una stalla in campagna ha conquistato il mondo. È stato presentato in anteprima nei giorni scorsi al Salone del libro e si pone nel solco di altre esperienze imprenditoriali di successo, come Camillo e Adriano Olivetti, Enrico Mattei e Aristide Merloni
◆ La recensione di IVO LEONE
► Nel gran mare dell’editoria e delle novità librarie del Salone del Libro di Torino, chiuso alla fine della settimana scorsa, ha fatto capolino una storia decisamente singolare. Ai tempi d’oggi il ricordo di Camillo e Adriano Olivetti, Enrico Mattei o Aristide Merloni sbiadisce nella memoria delle nuove generazioni. E con loro le figure imprenditoriali radicate nei rispettivi territori: Ivrea e l’Eporediese, la Pianura Padana e i distretti marchigiani. Imprese che “trascinano” i rispettivi territori verso il benessere economico, la coesione sociale, i benefici tecnologici per produrre e vivere meglio. Un modello d’impresa basato sulle persone e sulla conoscenza.
Ed è di questo modello sociale economico, umano e produttivo che scrive Mario Bartocci nel racconto “La terra e le idee. Loccioni e l’impresa come bene comune”, presentato in anteprima al Salone di Torino. Un racconto che è “quasi un romanzo”, scrive nella nota stampa l’editore Desiderio, sulla storia personale di Enrico Loccioni, «nato e cresciuto “sopra una stalla” nell’entroterra marchigiano, sullo sfondo della storia del paese, dal boom economico alle sfide di oggi». Un’infanzia, quella di Loccioni, trascorsa in campagna, in una casa senza energia elettrica né acqua corrente. Ma con una scuola rurale che ha stimolato la voglia di riscatto del protagonista. Lo ha spinto a crescere restando nella sua terra ma senza lavorare la terra come suo padre, senza abbandonarla mai.

Raccontando il protagonista, l’autore del libro riesce a mostrare con efficacia cosa c’è dentro un’impresa sana, «che non è solo proprietà privata, ma bene comune». Bartocci riesce «a codificare e rendere disponibili i valori, i metodi e le linee guida che hanno portato questa impresa di famiglia, partita da zero, a creare valore per il territorio e per le persone, ad essere appunto bene comune: l’innovazione come comportamento, l’internazionalizzazione come sfida, la formazione continua, la sostenibilità come opportunità di fare meglio». A coinvolgere di più il lettore è «quel legame profondo, viscerale con la terra, che continua ancora aggi ad essere lavorata e amata. E lei, la terra, in cambio nutre non solo il corpo ma anche le Idee. E dalla terra di mezzadri e contadini, dai monaci dell’Abbazia di Sant’Urbano viene quella spinta “ad meliorandum”, che diventa lo scopo dell’impresa: “lasciare meglio di come abbiamo trovato – dice Enrico Loccioni nel libro, con quello sguardo innamorato di un futuro che, aggiunge, – è meglio progettare da attori che subire da spettatori”».

e alta tecnologia che ha fatto vincere a Loccioni il Good Design Award 2024
Una motivazione formidabile anzitutto per i collaboratori e i protagonisti dell’impresa Loccioni di oggi e di domani, veicolata dal libro di Bartocci, anche lui con le radici personali a Fabriano. Fra i tanti riconoscimenti nazionali e internazionali, Loccioni è stata selezionata tra le eccellenze Made in Italy raccontate in “Storie di Successo, L’Italia dell’Ingegno e dell’Eccellenza nel Mondo” ideato e realizzato da Roberto Santori in collaborazione con Ansa, e scelto come dono istituzionale per il Vertice del G7 e le successive riunioni ministeriali per la Presidenza italiana del G7. Una motivazione, offerta attraverso l’esempio, anche per «imprenditori, manager, studenti, insegnanti, ricercatori, e per chiunque voglia fare del proprio lavoro un’occasione di “seminare bellezza”». © RIPRODUZIONE RISERVATA