Busto di Giano presso i Musei Vaticani; sotto il titolo, medaglione con il Dies natalis Sol Invictus

Tutto si svolge sul finire del mese che chiude l’anno, dicembre, e che si prepara all’ordine nuovo, quello del dio Giano, dai due volti che osservano il passato ed il futuro. È gennaio che farà il ponte con l’inizio del nuovo anno, per il quale ci si deve preparare: tutto va scomposto e ricomposto. Tutto va invertito e ricostituito. I campi si purificano con il freddo e la neve. Le comunità, a febbraio, si depurano con riti di passaggio quali i Lupercalia e i Parentalia. Da dove nascono e come si sviluppano i riti di fine anno, nel passaggio da una civiltà storica all’altra, dal calendario precedente a quello successivo, in un racconto a cavallo tra storia e tradizione, società e antropologia


◆ Il racconto di SIMONA SCIONI

Nel decimo mese del calendario dei romani, il nostro dicembre, gli antichi festeggiavano la Luce. È il mese della fine della semina e del raccolto d’autunno. È la fine dei lavori più faticosi all’aperto e, con essi, il tempo delle feriae. La tradizione contadina comanda. Il tempo, quello di Kronos o Saturno, dell’inizio che ha una fine, quello di chi lavora per trarre frutti e guadagno dalla propria terra, è scandito dalla Luna e dal Sole. Si contano i giorni in base alle fasi lunari. Sono il suo crescere e tramontare, il concedere alla Terra di vederla in tutta la sua interezza, che decidono il calendario delle culture nel mondo. Ma se la luna influenza il tempo del nascere, le piene o le basse acque, è il Sole che scalda il mondo. È il sole che con il suo concedere i propri raggi scalda la sua sposa, la Terra, che genera i frutti rigogliosi che proliferano in Natura. 

Non è un caso che nelle culture antiche, la Luna ed il Sole, come la Terra, madre e nutrice, sono divinità che prendono sembianze umane cui si attribuiscono valori e simbologie dalle connotazioni spesso comuni. Non ci si stupisca dunque se, nomen omen, ogni nome presagisce il suo significato, la parola giorno, le ore del sole, il dies latino, si anima della radice *Div, rilucere, brillare ma anche Dio, divino. Il nome stesso con cui indichiamo i mesi, ci rimanda al tempo misurato dalla luna, ben documentata in sanscrito con la parola mâs da cui il greco μήν (men) ed il latino mensis o l’inglese month. D’altra parte, se ci pensiamo bene, la nostra agenda comincia a contare i giorni della settimana con il lunedì, moon-day, il giorno della luna o, secondo la moda inglese, con il giorno del Sole, sun-day. E così, paradosso vuole che dicembre − l’ultimo mese dell’anno, il mese dai giorni più bui e corti dell’anno, quello in cui il freddo arriva impietoso ed il sole ci fa rimpiangere il suo tepore − sia il mese dedicato alla Luce. 

La corsa del carro del Sole tra le divinità dell’Olimpo, contorniata dalle Allegorie dei quattro Continenti e dalle Allegorie delle Arti, Giambattista Tiepolo, affresco della Galleria degli Arazzi, Milano, Palazzo Clerici (dettaglio)

La luna domina le lunghe ore di buio. Il sole, stanco ed affaticato, sembra perdere le sue energie lasciando alla terra giornate sempre più corte. Ma il grande carro ha un dio fiero e ribelle che lo conduce ed il solstizio d’inverno arriva impietoso a ristabilire il dominio di Apollo nel cielo. È l’inizio lento della nascita del sole che concede alla Terra giornate pian piano più lunghe. È questa danza delle due luci che segna il tempo del lavoro nei campi, della produttività e con essa, dei valori simbolici, religiosi e scaramantici che accompagnano la vita dell’essere umano. 

A dicembre il mondo contadino si ferma con le feriae di solstizio. Il lavoro dei campi degli ultimi tre mesi dell’anno è impietoso: si sono appena riempite le botti del nuovo vino che si assaggerà per San Martino, il 9 novembre, che tutto è pronto per i dolci dei morti, il 2 di novembre, e l’inizio della raccolta delle olive. Un lavoro durissimo che terminerà bruciando la ripulitura del bosco e gli arbusti d’olivo, nella notte dei fuochi delle notti del 16 o 20 gennaio, in cui le piazze delle comunità contadine si illuminano del fuoco di Sant’Antonio e San Sebastiano, quale preludio dei riti di purificazione che precedono la semina del grano cui le comunità si preparano con riti purificatori, i Februa, dedicati all’etrusco Februus e alla romana dea Febris. Non è un caso che chiamiamo febbre l’aumento di temperatura del nostro corpo, la risposta dell’organismo ad un bug del sistema. Non è forse una forma di purificazione, di correzione degli errori? 

Aureliano con la corona radiata, su una moneta di bronzo

Tutto si svolge sul finire del mese che chiude l’anno, dicembre, e che si prepara all’ordine nuovo, quello del dio Giano, dai due volti che osservano il passato ed il futuro. È gennaio che farà il ponte con l’inizio del nuovo anno, per il quale ci si deve preparare: tutto va scomposto e ricomposto. Tutto va invertito e ricostituito. I campi si purificano con il freddo e la neve. Le comunità, a febbraio, si depurano con riti di passaggio quali i Lupercalia e i Parentalia. Gennaio e febbraio sono i mesi ponte al nuovo anno, l’undicesimo e dodicesimo mese, da Numa Pompilio in poi. Luci e candele, fuochi e processioni invocano la luce del nuovo Sole del nuovo Anno che inizia nel mese di Marte, marzo. Nel mese di Marte, si può riprendere il tempo della guerra, le giornate sono oramai più lunghe, il caldo sopportabile è prossimo, le terre sono state purificate dal freddo, dalle gelate e dalla neve dell’inverno. 

È la seconda metà di dicembre che il mondo contadino conosce una pausa. Si riposa insieme al Sole. Festeggia la fine del lavoro di un anno con i Saturnalia. Si prepara al nuovo inizio con il Natale del Sole Invitto. È un tempo di riposo e di festa. L’agenda del trimestre che chiude l’anno del mondo rurale è incalzante. A ottobre si preparano le terre per la semina delle semenze che sanno affrontare il freddo che arriverà. Si inizia con Ognissanti, il 1° novembre, e si termina per Sant’Andrea, il 30 novembre. Quando arriva dicembre, il lavoro nei campi va volgendo al temine. Ci si fermerà dopo il solstizio d’inverno, anticamente immaginato per le Idi del dicembre, il tredicesimo giorno. In questo giorno, il tema della luce ricorre in due festività, un pagano l’altra cristiana. 

Lucina, dea romana potente e misericordiosa, equivale alla greca Ilizia; la quale, a sua volta, sarebbe una rivisitazione, stile Monte Olimpo, della neolitica Grande Madre della natura e della fertilità

Il 13 dicembre, infatti, gli antichi festeggiavano Lucina, la dea che porta alla luce, che aiuta la nascita, la dea Lucina, dai capelli sciolti. A lei, la Giunone Lucina, equivalente della greca Ilizia o della Grande Madre neolitica mediterranea, i romani dedicheranno un tempio sull’Esquilino. A Lucina, le donne che speravano di diventare mamme o quelle prossime al parto. chiedevano protezione con vesti e capigliature libere da nodi, quale buon auspicio di parti privi di cordoni ombelicali “problematici”. I cristiani, sempre il 13 di dicembre, festeggiano santa Lucia nel giorno del suo martirio, avvenuto a Siracusa, la sua città. Il suo nome è legato alla luce. Il suo martirio è un miracolo della luce di Dio nel proteggere una fanciulla adolescente che è determinata a non sposarsi se non alla Fede in Cristo. A lei, torturata e martirizzata, si invocano le preghiere per i dolenti alla vista. 

In realtà le giornate in cui la luce del giorno svolta il suo corso e rinasce, ricadono pochi giorni dopo le Idi di dicembre, in una data che storicamente segna il tempo delle festività dedicate a Saturno, i Saturnalia, e quelle dedicate al Sole Invitto, introdotte a Roma dopo la battaglia vittoriosa di Enogabalo contro la regina Zanobia del Regno di Palmira, nel 272 d.C., e poi affermate con maggiore insistenza con Aureliano. Nei giorni dei Saturnalia, fra il 17 ed il 23 di dicembre, il mondo romano e contadino si ferma. Ci si festeggia. Le piazze si arricchiscono di feste, le famiglie si scambiano le visite ed i doni, la campagna non si lavora. Abbondano i banchetti nelle case e questi, sono spesso licenziosi. È un carnevale di allegria durante il quale la confusione è preludio dell’ordine necessario. Ci si prepara a buttare il vecchio e a predisporsi per il nuovo. Un po’ come facciamo noi per San Silvestro, l’ultimo dell’anno! 

Saturno che impugna la falce; affresco del secondo secolo d.C.; Museo archeologico nazionale di Napoli

Il dio Saturno troneggia con la sua falce, quella stessa con cui i contadini tagliano il grano, è inneggiato nei giochi e nelle corse dei cavalli. La sua falce ha posto fine ai lavori ed il sole promette di rinascere. I Saturnalia sono molto sentiti nel mondo latino. Si continueranno a festeggiare anche fra i primi cristiani la cui vera grande festa era lontana, a Pasqua. Così come si continuerà a lungo a festeggiare la nascita del Sole che sconfigge il buio. L’iconografia nelle statue come delle monete dell’imperatore incoronato con i raggi del sole, alla maniera dei sacerdoti che sacrificano al Sol Invictus, continuerà ad affermarsi e a mescolarsi con il culto di Mitra, con i misterici orientali che si diffondono nei secoli confusi d’inizio millennio. Sia sufficiente l’immagine del colosso di Nerone, coronato con i raggi trionfanti del sole, ben già noti nel I sec.. 

Il Sole che nasce è il nuovo che arriva, è rinascita, è nascita. Questi valori sono incarnati nei primi cristiani. Il messaggio di Cristo e la sua vincita sulla morte, la Resurrezione rivela il senso più profondo e rivoluzionario del cristianesimo. Per questa ragione, per i primi cristiani, sarà importante identificare non il giorno della nascita di Cristo ma festeggiare, commemorare ed onorare il giorno della sua morte e Resurrezione. La nascita di Gesù non risultava, nel Credo, un momento così saliente come la Pasqua, sino a quando, nell’evolversi della storia di vita cristiana, parve importante definire una cronologia dei momenti della vita di Cristo e la nascita, era di certo uno dei momenti salienti. 

Non ci scandalizzi, dunque, il non primario interesse per il compleanno di Gesù o la sua accettazione positiva in data vicina all’inizio dell’anno, la stagione calda. D’altra parte, nessuna scrittura nota, neppure apocrifa, ci dice il giorno della nascita di Gesù. A lungo e di sicuro sino alla fine del III sec. d. C., le date variavano dal 28 marzo, per san Cipriano al 23 aprile di Sant’Ippolito, al 20 maggio di Clemente Alessandrino. Si conoscevano anche le date del 29 maggio, 10 gennaio ed infine 6 gennaio, nel giorno dell’Epifania, in coincidenza con l’arrivo dei magi e la profezia della Luce che aveva accompagnato questi astrologi sovrani di terre lontane, a deporre oro incenso e mirra ai piedi di un bimbo speciale che le scritture indicavano come Re dei Re. Sarà quest’ultima a prendere piede nelle chiese d’oriente prima ed arrivare a Roma già dalla fine del II sec. d. C. Il 6 gennaio però è una vicina alle feste e culti dedicati alla Luce, alla pausa dell’attività agricola nel nome di Saturno, con i giorni di festa dedicata alla nascita del Sole Invitto, il 24 e 25 dicembre, il cui culto è ufficializzato in Roma tardi ma è ben radicato e confuso con il culto di Mitra già ben affermato da tempo nell’impero. 

Lucerna romana, con sole invitto, da Antiquarium Arborense, Oristano

A porre fine alle varianti esistenti nel mondo cristiano sulla data della nascita di Gesù è papa Leone Magno, nel 461, ratificando però quanto già stabilito precedentemente dall’imperatore Costantino il Grande, che nel 330 istituzionalizza la trasformazione della festa del 25 dicembre del Sole Invitto, nella data del dies natalis, il giorno natale, della nascita di Gesù. Le vicinanze del concetto di Luce, di Sole Invitto e del Messia portatore di Luce, erano già state acquisite nel tempo. La presunta conversione di Costantino, il presagio del in hoc signo vinces (vincerai in questo segno) che precede la battaglia di Massenzio (28 ottobre 312), la modifica il 7 marzo 321, del nome del Dies Solis, il giorno del sole, nel Dies Dominicus, il giorno del Signore, la domenica, mai accolto positivamente dal mondo germano o sassone che ad oggi custodisce la memoria del suo Sunday. 

Il valore simbolico della Luce prende il sopravvento sull’identificazione o la personificazione della divinità. Rimane nell’uomo il bisogno di rinascita, di speranza, del ciclo immutabile del tempo della nostra storia individuale e di quella globale, che è e rimane un punto di riferimento. Chissà se ci sarà un giorno nel quale i presagi dei film che ci immaginano vivere in un mondo senza luce naturale, senza Sole, avranno mai seguito. Una vita di una Natura spenta perché i fumi e l’atmosfera hanno oscurato la possibilità di penetrare l’atmosfera. Come mai si potrà sopravvivere se non cibo liofilizzato e comunità omologate di sopravviventi non più liberi. Certo, considerato i costi dell’energia e di un mercato più selvaggio che libero, manca poco al ritorno del gusto romantico o vintage della luce tremula delle lucerne. 

Tutto il resto delle storie accessorie al Natale, quelle evocate nell’invenzione del presepe da San Francesco, forse contro inutili guerre spacciate per Sante, o quelle delle calde luci di alberi illuminati e decorati della tradizione germanica e nordica o quelle, ancora, delle candele che illuminano le finestre decorate in attesa di un San Nicola, con le sue varianti paterne, finite nell’omologante campagna di comunicazione made in Coca Cola, le doniamo ai più puri fra noi, i bambini, nella speranza che i loro occhi, ancora privi di deviazioni e deturpazioni socio culturali stereotipate e sterili, quando non discriminatorie, sessiste e razziste, possano fare quel gioco della Felicità che porta al Buono ed al Bello che ridanno Speranza e Luce per tutte e tutti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giornalista, guida turistica e museale. Lavora da sempre nella promozione dei beni culturali con vocazione per la traduzione di linguaggi in favore di racconti rispettosi della verità dei fatti come della ricerca scientifica. Nel giornalismo come nella divulgazione scientifica è impegnata nel costruire ponti che raccontino fatti e storie della e dalla Sardegna per testate giornalistiche regionali e nazionali (Tiscali, Mediaset, La7, LaPresse, Skytg24, Sardegna 1, Nova Tv). Studia linguaggi per una comunicazione inclusiva che generi il piacere o il bisogno di sapere di più.