I francesi sono riusciti a racchiudere nella parola “terroir” un concetto enologico complesso, che condensa in sé tutti i fattori che influenzano il vino: il suolo, il clima, la tipologia del vitigno, l’esposizione e l’uomo. Questo weekend è dedicato al “più bel giardino vitato d’Europa”, il Trentino, e alla storia straordinaria di Giulio Ferrari, pioniere delle “bollicine” made in Italy. Un’avventura, o una missione, la sua, iniziata a cavallo del ventesimo secolo, quando il Trentino era ancora nell’impero austro-ungarico. Oggi lo Spumante Trentino Doc è un’eccellenza italiana che non ha nulla da invidiare a sua maestà lo Champagne francese. In entrambi i casi, si tratta di “bollicine di montagna” che vengono prodotte con il “méthode champenoise”, una tecnica antica nata nel Seicento nelle campagne francesi, con la seconda fermentazione e la presa di spuma direttamente in bottiglia

◆ Il weekend di MARIA CONCETTA MERENDINO

Oggi parliamo delle brillanti e briose bollicine: chi non le ama? Ci lasciamo spesso sedurre da loro negli eventi belli della nostra vita e ci è impensabile brindare senza la loro effervescenza. In quasi tutte le nostre regioni italiane oramai, da nord a sud, se ne producono un gran numero, anche da vitigni autoctoni diversi, dandoci un’ampia varietà di scelta. Se, oltre le bollicine, amate le località di montagna, le passeggiate nei boschi, i borghi affacciati sui laghi, la nostra meta non può che essere il Trentino.

Questa regione, definita “il più bel giardino vitato d’Europa”, vanta un terroir unico ed è riconosciuta come la più importante realtà spumantistica italiana e tra le migliori al mondo. Ma cosa significa esattamente “terroir”? I francesi hanno saputo racchiudere in questa breve parola un concetto enologico complesso che include tutti i fattori che influenzano il vino: il suolo, il clima, il vitigno, l’esposizione e l’intervento dell’uomo. Il Trentino è una terra antica e montuosa, caratterizzata da forti escursioni termiche e da esposizioni differenti, che si combinano con l’altitudine per creare un ambiente perfetto per la viticoltura. Qui, la coltivazione della vite è una tradizione secolare, portata avanti con passione e dedizione da uomini tenaci.

Gli spumanti delle valli intorno a Trento nascono sia da vitigni a bacca bianca che a bacca nera, spesso coltivati in piccoli appezzamenti di terra strappati alla montagna. Pensate che il 70% del territorio trentino si trova sopra i 1.000 metri di altitudine, il 20% sopra i 2.000 metri e ben 94 vette superano i 3.000 metri. La tipica forma di coltivazione delle viti, la “pergola trentina”, conferisce al paesaggio un caratteristico andamento “ad onda”, quasi fosse un mare verde. Le cantine sono circa 164 e spaziano da grandi aziende affermate a piccole realtà artigianali, ma ovunque la qualità si può toccare con mano.

Lo Spumante Trento Doc è una vera eccellenza italiana, che non ha nulla da invidiare allo Champagne francese, reso celebre nel mondo dalle straordinarie capacità commerciali dei cugini d’Oltralpe. Forse non tutti sanno che la Champagne e la zona del Trento Doc utilizzano le stesse varietà di uve: Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier (quest’ultimo coltivato unicamente in Trentino). A Trento è ammesso anche il Pinot Bianco. Entrambe le regioni, in definitiva, producono “bollicine di montagna” con il metodo classico, ovvero il celebre “méthode champenoise”. Questa tecnica, nata nel Seicento nelle campagne francesi, prevede la seconda fermentazione e la presa di spuma direttamente in bottiglia, dando origine a spumanti complessi, eleganti e con un perlage fine e persistente.

È stato il primo metodo classico italiano a ottenere la Denominazione di Origine Controllata, arrivata ufficialmente nel 1993, ma la sua storia è ben più antica. Già nel 1850 si sperimentavano le prime tecniche di spumantizzazione, ma fu un giovane agronomo trentino, Giulio Ferrari, a intuire la straordinaria vocazione di questa terra. Si racconta che Ferrari portò le barbatelle di Chardonnay di nascosto dalla Francia, insieme ad altre varietà come il Cabernet, il Pinot Noir e il Meunier. Suo padre lo aveva mandato, appena sedicenne, in Francia a specializzarsi, nonostante avesse pochi soldi e non conoscesse la lingua. Lavorò come garzone di un vivaista, dormendo in un fienile. Dopo aver studiato alla Scuola Agraria di San Michele all’Adige (oggi Fondazione Edmund Mach), Ferrari proseguì la sua formazione a Montpellier e poi in Renania, dove approfondì l’uso dei lieviti selezionati.

Fu in questo periodo che ebbe un’idea geniale: poiché il Trentino faceva ancora parte dell’Impero Austro-Ungarico, doveva trovare un nome adatto per i suoi spumanti che risultasse familiare ai dominatori austriaci. Con una mossa da vero esperto di marketing, scelse “Perlend”, che in tedesco significa “spumeggiante”, e lo francesizza in “Perlé”. Tornato in Francia, a Epernay e Reims, studiò le tecniche di produzione dello Champagne, intuì le similitudini tra il terroir francese e quello delle colline trentine e decise di impiantare le viti di Chardonnay nelle sue terre, convinto che la loro elevata acidità le rendesse perfette per la spumantizzazione. Nel 1902 fondò la Cantina Ferrari, diventando il primo produttore italiano di metodo classico. I suoi spumanti riscossero subito grande successo e nel 1906 , solo dopo quattro anni, ottennero la prima medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale di Milano accumulando, da allora, una lunga serie di riconoscimenti.

Giulio Ferrari è stato definito “un po’ scienziato e un po’ artista”  ma è diventato per tutti un mito. Oggi il marchio Ferrari è ritenuto un’icona delle bollicine italiane nel mondo e continua il suo cammino di eccellenza grazie alla famiglia Lunelli, che nel 1952 ha rilevato l’azienda e l’ha fatta crescere con passione, abnegazione e lungimiranza. E, se volete assaporare il meglio delle bollicine trentine, vi consiglio di provare il “Giulio Ferrari Riserva del Fondatore”, Chardonnay in purezza che affina sui lieviti per oltre dieci anni. Dai riflessi dorati e dal perlage finissimo è uno spumante aristocratico, monumentale per la sua grande complessità. Si trova anche in versione “Rosé”, blend di Pinot Nero (80%) e Chardonnay (20%), oltre undici anni sui lieviti. Il suo colore sfuma verso il corallo rosa ed è una promessa di eleganza, che vi rapirà con i suoi dolci sentori di rosa canina e le sue note speziate e minerali.

Ma non dimenticate di degustare la fortunata e  raffinata gamma dei “Ferrari Perlé”, che include il base, il Reserve Rosé, il Perlé Reserve Nero, il Perlé Reserve Bianco e il Perlé Dosaggio Zero. Tutti da scoprire. E, naturalmente, non perdete l’occasione di visitare il Trentino e le Cantine Ferrari, immergendovi nella storia, nei paesaggi mozzafiato e nell’arte della spumantizzazione italiana. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Siciliana nata a Salemi, toscana di adozione, vive tra Massa Carrara e Pantelleria. Diplomata Master Sommelier alla Alma-Ais Wine Academy in Gestione e Comunicazione del Vino, Sommelier Ais, Patente Assaggiatore Onav. Esperienza pluriennale nel settore Agricolo - Vitivinicolo e dell’Enoturismo. Innamorata degli studi classici, coltiva da sempre una passione per la storia della Vite e del Vino nata in famiglia, assieme all’amore per la terra e l’agricoltura. Il suo motto preferito: “Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia di vino, un buon libro e un buon amico” (Molière).