La definizione del celebre storico dell’arte Cesare Brandi si attaglia a meraviglia alle eccellenze paesaggistiche ricreate «di generazione in generazione … nel rispetto della creatività». Tutelate quasi tutte dall’Unesco, rappresentano la millenaria storia della Sicilia, dalla necropoli di Pantalica, alla Valle dei Templi, alla Villa del Casale, all’itinerario arabo-normanno e la straordinarietà, anche mitologica, del suo territorio, dalle Isole Eolie all’Etna. Diversità e bellezza sono le chiavi di volta − perché di ottima qualità se ne fa davvero tanta − ovunque in Italia. Quello che davvero nessuno ha è proprio quest’intreccio di mondi e di culture diverse, questa condivisione di spazi, anche fisici, tra agricoltura, archeologia e paesaggio. Averne consapevolezza è la premessa per salvaguardarlo, trasmetterlo ai giovani e goderselo in un anno speciale, iniziato un mese fa

La vite ad alberello di Pantelleria; sotto il titolo, il giardino di Kolymbethra ad Agrigento, sullo sfondo il tempio dei Dioscuri (credit Fai)

◆ Il commento di PAOLO INGLESE

Cosa hanno in comune l’Opera dei Pupi, lo Zibibbo allevato ad alberello di Pantelleria e la Dieta Mediterranea? Sono tutti patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, in quanto «pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e saperi … che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale. Tale patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e fornisce loro un senso di identità e continuità, promuovendo così il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana». Per non parlare dei siti che, in Italia e in particolare in Sicilia, sono anch’essi patrimonio mondiale Unesco e che di fatto rappresentano la millenaria storia della Sicilia, dalla necropoli di Pantalica, alla Valle dei Templi, alla Villa del Casale, all’itinerario arabo-normanno e la straordinarietà, anche mitologica, del suo territorio, dalle Isole Eolie all’Etna. 

Pantelleria, scorcio di un giardino pantesco per coltivare un solo agrume

Ma lo stesso discorso vale per la Val d’Orcia o per le Langhe-Roero e Monferrato, tutti quei luoghi d’Italia dove l’agricoltura ha generato paesaggi unici al mondo. Un intreccio tra risorse naturali, cultura e saperi che, di fatto, costituisce anche la diversità dell’agricoltura siciliana e dei suoi prodotti. Questa si che è cultura che si mangia, con buona pace di chi pensava, o pensasse ancora, il contrario! Un patrimonio materiale e, solo apparentemente, immateriale del quale occorre solo essere consapevoli e responsabili. È questo il grande salto di qualità che la Sicilia deve fare, a partire dal suo anno di Regione Gastronomica Europea, sul piano della produzione agricola e della promozione dei prodotti che ne derivano. È qualcosa di molto più importante della rincorsa al passato, reale o immaginifico che sia, a un ‘ieri’ o a un ‘naturale’ che a volte possono ridursi solo a slogan senza contenuti. E allora si inventano pani che lievitano ascoltando Mozart o Bach, oppure grani così come natura li ha fatti, non geneticamente modificati dall’uomo e ovunque appaiono molecole miracolose e soprattutto, ‘naturali’, che allungano la vita, evitano malattie, fanno tutti i miracoli possibili. Se solo, invece, si costruisse una rete consapevole tra quello che il modo riconosce come patrimonio di tutti e di ognuno e i prodotti della nostra agricoltura! 

Pantalica (Siracusa), la più grande necropoli rupestre d’Europa

La diversità e la bellezza sono le chiavi di volta, perché di ottima qualità se ne fa davvero tanta, e ovunque, in Italia. Ogni Regione, ogni territorio che abbia una storia agricola consolidata può, a buona ragione, rivendicare una qualche sua eccellenza. Quello che davvero nessuno ha, è proprio quest’intreccio di mondi e di culture diverse, questa condivisione di spazi, anche fisici, tra agricoltura, archeologia e paesaggio. Non si tratta di sognare, si tratta, al contrario, di avere consapevolezza della propria ricchezza e di come su questa si possa fondare un progresso capace di ‘tenere’ tutto insieme. Occorre comprendere realmente quello che Unesco scrive con chiarezza: e cioè che il patrimonio culturale è si trasmesso «di generazione in generazione», ma è anche «costantemente ricreato … nel rispetto della creatività». L’innovazione che costruisce la tradizione.

Molto si è fatto, per esempio, nella promozione di modelli e  prodotti agricoli legati alla cultura della legalità, anche utilizzando i terreni confiscati alla mafia. Altrettanto e meglio dovrebbe farsi partendo non solo dalla ‘lotta’, quanto, piuttosto, dalla consapevolezza della bellezza. Dalla consapevolezza e, soprattutto, dalla responsabilità di questa bellezza che noi, che ogni giorno la viviamo, riconosciamo sempre meno di quelli che da secoli fanno della Sicilia meta prediletta del loro viaggio, fin dai tempi del Gran Tour. Basta, fra tutti, ricordare il grande Cesare Brandi, che fu anche professore nell’Università di Palermo. In quell’atto d’amore che è ‘Sicilia mia’ edito da Sellerio, così scriveva: «Ma può esserci al mondo un paese più bello della Sicilia?… e se aranci e limoni potete trovarli anche altrove, mai saranno così come li vedete in Sicilia, in questa contraddizione di inverno e di primavera. Sì, lo so, uno spettacolo del genere può esserci anche in Marocco o in Andalusia, con altri fascini sicuramente, ma qui in Sicilia vi appare come una cosa naturale, per cui non c’è bisogno di andare in terre esotiche. È la natura naturale qui in Sicilia di mettere assieme l’arancio e la neve. Non è esotica la Sicilia, è favolosa».

Mosaico nella Villa Romana del Casale di Piazza Armerina (Enna)

Appunto, favolosa. E questa favola dobbiamo imparare a raccontarla e, prima ancora, a farla davvero nostra, trasformandola in realtà. Che la zucca si faccia carrozza. Per farlo, occorrono visione, responsabilità, coraggio e, soprattutto, una politica sana e disinteressata e imprese che, finalmente, comprendano che la condivisione di intenti, di progetti, di risorse è la sola strada per il progresso di tutti e di ognuno. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Ordinario di Arboricoltura Generale e Coltivazioni Arboree nell’Università degli Studi di Palermo dal 2000, della quale è stato pro-Rettore e Direttore del Sistema Museale che include l’Orto Botanico. Specializzato in “Irrigation & water management “ al Volcani Center (Israele) nel 1987, è tra i fondatori, nel 1993, della rete internazionale di cooperazione scientifica e tecnica – Cactusnet – della Fao, che ha diretto per oltre 10 anni. Presidente della società di Ortoflorofrutticoltura Italiana dal 2007 al 2013, è laureato Honoris causa all’Università di Santiago del Estero (Argentina) per il suo contributo allo sviluppo della coltura del ficodindia nel mondo.