Di fronte al collasso narrativo nella cultura occidentale, Papa Bergoglio ha ancorato il linguaggio della religione cristiana e le immagini dei suoi miti alla raffigurazione che la scienza moderna restituisce del pianeta che abitiamo. La pace siglata da Francesco tra religione e scienza accantona nei fatti una tradizione teologica che ha posto la ragione al servizio della fede. È la scienza, non la religione, ad ammonirci dei rischi che corriamo tutti: ricchi e poveri, credenti e no. Sui temi del lavoro siamo di fronte ad una novità per la Chiesa: non più divisioni come nella “Rerum Novarum” di Leone XIII, ma un contributo unitario verso tutte le culture per dare senso al conflitto sociale, oltre il paradigma di uno sviluppo che mina la sopravvivenza, con una politica ostile al criterio di sufficienza, insensibile ai limiti della natura e orientata all’economia dello scarto anche umano


◆ Il commento di MARIO AGOSTINELLI

Nel profluvio di analisi “post mortem” si è raramente rimarcato quanto la predicazione di Francesco avesse radici nella cultura delle generazioni del ’68 e nella pratica delle conquiste di democrazia sociale affrancate negli anni ’70. Cultura non solo presente nelle eredità delle chiese di base opposte ad un cattolicesimo tenacemente conservatore, ma anche nell’attenzione di quelle componenti del sindacato che si continuano ad ancorare all’esperienza dei consigli e alla liberazione del lavoro. E, ancora, non possiamo dimenticare l’eredità di Porto Alegre e del Movimento dei Movimenti a cavallo del millennio, che Bergoglio ha richiamato nei messaggi ai movimenti del Sud America e nel Sinodo sull’Amazzonia, così osteggiati dal nascere ed affermarsi delle destre in Italia, Europa e Stati Uniti. Non è difficile trovare continuità anche tra quelle profonde radici e la traduzione in programma politico della lotta al cambiamento climatico. Un anticipo di un lustro anche rispetto ai Fridays for Future, arricchito di un linguaggio efficacissimo ed irreversibilmente coinvolgente, impregnato delle immagini elaborate dai comitati per l’acqua, dalle lotte contro gli scarti anche umani, dai drammi degli immigrati e dalla cura rivolta al vivente tutto.

Un aspetto altrettanto poco significativamente ripreso riguarda la pace che Francesco ha siglato tra religione e scienza, rimarcata con l’adozione a più riprese del linguaggio della relatività e della quantistica nelle sue encicliche. Siamo di fronte, almeno nella cultura occidentale, ad un collasso narrativo, che il papa ha ritenuto necessario interrompere scegliendo il linguaggio della religione cristiana e le immagini dei suoi miti, ma ancorandole alla raffigurazione che la scienza moderna restituisce del pianeta che abitiamo. È indubbia la novità, espressa ripetutamente, di una compenetrazione tra fede, ragione e osservazione scientifica, quasi a ricomporre, in nome della prevista catastrofe della biosfera, tutti gli sforzi atti ad evitarla. Francesco accantona nei fatti una tradizione teologica che ha posto la ragione al servizio della fede. È la scienza, non la religione, ad ammonirci dei rischi che corriamo tutti: ricchi e poveri, credenti e no. Eppure, il “Foglio” del 25 Luglio 2015 aveva definita la Laudato “una circolare” per ambientalisti…

Quello del linguaggio scientifico, previsto dall’Enciclica e sfuggito a molti commenti, è un impianto descrittivo e interpretativo che si rivela apertissimo all’immagine più innovativa e recente del mondo – scientifica e internazionale per l’appunto – a partire dall’abbandono dell’antropocentrismo, almeno come riconoscimento di una autonomia della natura non più sottoposta a dominio, ma a cura e conservazione.  Siamo di fronte alla piena coscienza che l’essere umano è un tutt’uno con la materia costituente l’universo (siamo polvere di stelle!), che la realtà va descritta in uno spazio indistinto dal tempo – lo spazio-tempo! –  e che la condivisione dell’informazione genetica rende necessaria la biodiversità. Si constata poi che per vivere, mantenersi in vita e riprodursi si passa attraverso processi irreversibili, sottoposti alla legge dell’entropia e, quindi, al degrado da combattere con la cura. Francesco guarda con documentata preoccupazione alla velocità relativa tra i processi biologici e quelli artificiali dominati da un ricorso non neutrale alla tecnologia e, perciò, intesa come tecnocrazia. Poiché la digitalizzazione e la velocità della luce presentano sfide con cui ci confrontiamo per la prima volta, è l’uomo con ragione e scienza che reinterpreta le Scritture partendo da un passato di miliardi di anni attraversati da continue cosmogenesi e da una fluttuazione di materia ed energia misteriosa come il Big Bang e non più con davanti l’immagine della creazione della Cappella Sistina.  

Per il tributo al lavoro siamo anche qui di fronte ad una novità per la Chiesa: non più divisioni come nella “Rerum Novarum” di Leone XIII, ma un contributo unitario verso tutte le culture per dare senso al conflitto sociale, oltre il paradigma di uno sviluppo che mina la sopravvivenza e da cui non ci si separa mai definitivamente, con una politica ostile al criterio di sufficienza, insensibile ai limiti della natura e orientata all’economia dello scarto. Francesco riflette su come le merci e il loro consumo si siano eretti a mezzo di comunicazione quando non a scopo dell’esistenza e si sia creato uno spazio sociale transnazionale nel quale il tempo viene ad essere in continua accelerazione. Rompere uno schema così potenzialmente inclusivo, eppure distruttivo, è il compito che Francesco si è dato ed è la misura dell’ostilità incontrata da un autentico capovolgimento di valori, ispirati ad una riconversione della produzione verso valori d’uso condivisi e verso la dignità del lavoro. Si dà una nuova gerarchia nella triade libertà-uguaglianza-fraternità e si riscopre un primato di sorellanza e fratellanza tra gli individui ed un rapporto nuovo tra loro e la natura, mediato dal lavoro che si autolimita a creare soprattutto valore d’uso. La proprietà privata risulta qui un diritto naturale secondario e derivato dal principio primario della destinazione universale dei beni creati. Non deve allora stupire se si indica, scendendo al quotidiano, nella riduzione dell’orario un compito primario per il sindacato ed un crescendo di carico sul senso del lavoro per l’obbiettivo della piena occupazione e per l’universalità dei diritti.

L’auspicio è che «i movimenti popolari che aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri, crescano dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più coordinati, s’incontrino», mentre la divisione del lavoro, la meccanizzazione, l’automazione, la digitalizzazione, la globalizzazione del commercio, fino alla trasformazione delle merci in mezzi di comunicazione attraverso il loro consumo vanno prese in considerazione per contrattarne gli esiti, gli spazi di intervento, la trasformazione. Bergoglio ci lascia il messaggio che, accantonato l’antropocentrismo e superato l’equivoco dello sviluppo, è possibile alfine che gli uomini tornino a dare priorità e a vivere all’interno della sfera naturale e dei valori d’uso, nel rispetto della natura come della salute e dell’ambiente, dell’aria, dell’acqua e della terra, nell’ambito di quella ecologia integrale che andrà a sostegno della decolonizzazione dai poteri dominanti sui territori, finalmente valorizzati nelle loro diversità e “terrestritorietà”. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Dal 2011 presidente dell’Associazione Energia Felice. È stato ricercatore all’Enea, sindacalista Cgil e consigliere regionale in Lombardia. È portavoce del “Contratto mondiale per l’energia e il clima” e nella presidenza del comitato “No al nucleare, sì alle rinnovabili”

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